Pastore: un baluardo per la biodiversità e un lavoro sempre più scelto dalle donne
Cresce in Italia il numero delle donne che scelgono la pastorizia come mestiere, e se fino al 2000 si concentravano su Alpi e Appennino Tosco-Emiliano ora capita anche al Centro-Sud e in Sardegna di incontrare donne che accudiscono il gregge di pecore o capre, ribaltando ogni stereotipo sulla pastorizia patriarcale. E anche sull’economia ancestrale perché sono oltre un centinaio le donne-pastore, tra i 20 e i 102 anni, lungo la Penisola, testimonial nel docufilm In questo mondo realizzato da Anna Kauber che ha vissuto a tratti con loro tra ovili e vie della transumanza.
“A differenza dal passato – racconta Kauber all’Ansa – oggi è un lavoro che si sceglie. E costa farlo perché è una scelta spesso osteggiata dalle famiglie, e persino dalle comunità montane. Fare il pastore è spesso il piano B per donne laureate o per cittadine che, soffocate dallo stress, a una certa età scelgono di allontanarsi dalle realtà urbane per fare il pieno di libertà andando all’ovile”.
“Ci sono donne di tutte le generazioni ma sono per lo più le quarantenni a fare questo passo. Certo è una passione che devi avere dentro e forte, sotto sotto ‘devi avere il sangue di pecora’ ha detto una delle intervistate in Val Camonica”.
Ma a muovere questa scelta professionale “è fondamentalmente il bisogno di tornare in contatto con la natura, di ritrovare un’armonia che non contempla mai, nella pastorizia al femminile, la brutalità con gli animali. È una scelta di vita, e sì pure di morte, perché l’allevamento contempla anche la morte procurata per il bestiame da carne, ma tutto rientra nei cicli stagionali e della natura”. Ogni donna-pastore che ha incontrato l’autrice rivendica spazi di libertà. “Sui monti fanno mille cose, non si limitano ad accudire gli animali ma fanno corsi per produrre formaggi a norma o sono raccoglitrici, ad esempio, di timo per caratterizzare specialità casearie”.
Un baluardo di tutela della cultura rurale, ma anche della biodiversità zootecnica: l’Italia, ricorda Coldiretti, conta, infatti, 38 specie di capre autoctone e 50 razze autoctone di pecore. Il ritorno ad attività pastorali tradizionali, anche secondo quanto sostenuto dal Wwf, rappresenta, infatti, una strategia di conservazione delle praterie e di quei territori che hanno bisogno di una gestione periodica per tenere sotto controllo la crescita spontanea degli arbusti che ne minacciano la straordinaria varietà. Inoltre, la riduzione o perfino la scomparsa dei pascoli rappresenterebbe un evidente danno anche dal punto di vista produttivo perché si verrebbero così a perdere la biodiversità botanica e la ricchezza organolettica delle specie vegetali presenti che sono indispensabili anche per la creazione di prodotti, soprattutto caseari, legati al territorio e di grande valore identitario e commerciale.