L’uva e la vendemmia: gesti antichi per un frutto benefico che racconta il suo territorio
Una buona qualità, ma una produzione non abbondante: con la vendemmia alle porte, il 2023, purtroppo caratterizzato da siccità e molti eventi climatici avversi, promette di riscattarsi con un’annata discreta per l’uva italiana, una delle nostre produzioni di eccellenza e più rappresentative del made in Italy.
Sia che si tratti di uva da tavola, coltura agricola tra quelle maggior valore aggiunto, di cui il nostro Paese è leader a livello internazionale, sia che si tratti di uva da vino, con le nostre 332 produzioni Doc, 76 Docg e 118 Igt, a testimoniarne la qualità indiscutibile, quella dell’uva è infatti un’economia preziosa nell’ambito dell’agroalimentare italiano.
Ma anche una tradizione produttiva che nei secoli ha disegnato il territorio in modo unico e all’insegna di una sostenibilità ante litteram, diventata oggi un modello positivo di rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Basti pensare alle Langhe-Roero e Monferrato o alle colline del Valdobbiadene o ancora alle Cinque Terre, tutti territori che sono stati riconosciuti Patrimonio dell’Umanità Unesco e in cui la vite, con le sue diverse varietà, ha ricoperto un ruolo da protagonista.
Anche per questo la vendemmia (dal latino vinum, vino, e demĕre, levare) non è soltanto un momento di raccolta, ma una vera e propria festa della comunità nella cultura contadina, un appuntamento annuale da celebrare con il suo nome (nessun’altra “raccolta” ha un termine specifico che la identifica). Ancora oggi, pur svolgendosi ormai sempre più con mezzi meccanici, la vendemmia conserva il suo fascino legato al lavoro, spesso faticoso, che giunge a maturazione e dà i suoi frutti. Tanto più in quei territori dove la viticoltura è definita “eroica”, perché si svolge in luoghi difficili e su crinali impervi, che è proprio l’attività dell’uomo a proteggere da pericolosi fenomeni di dissesto idrogeologico. E anche la vendemmia ha le sue regole, che sono parte del suo rituale: va iniziata quando la rugiada scompare dai grappoli e va condotta con sapienza e proteggendo l’uva dal caldo, per non rovinarne il sapore e la qualità.
Oggi, in Italia, sono più di 500 le varietà di vite da vino e quasi 200 quelle di vite da tavola: un patrimonio di biodiversità di cui i viticoltori sono i primi custodi. L’uva, infatti, ha la caratteristica di acquisire proprietà organolettiche e sfumature del gusto in base alle diverse zone di produzione, raccontando l’identità più profonda del territorio da cui proviene.
Ma di qualsiasi varietà si tratti, le proprietà benefiche dell’uva sono sempre le stesse e conosciute fin dall’antichità. Digeribile, depurativa, lassativa, dissetante, diuretica, oltre che buonissima: sono davvero molte le virtù che si accompagnano alla sua straordinaria dolcezza.
Oggi sappiamo anche che il buon contenuto di fito-nutrienti che presenta, come il resveratrolo, la quercetina e il beta-carotene, la rendono un valido alleato per contrastare i processi infiammatori e il normale invecchiamento, mentre ricerche recenti ne hanno messo in luce una possibile azione positiva a vantaggio dei processi cognitivi. Il succo d’uva fresco, infine, gustato non appena preparato per evitare la veloce ossidazione, potrebbe contribuire a un miglior controllo dell’insulina. Senza dimenticare l’ampeloterapia, una dieta a base di uva che può disintossicare l’organismo, con proprietà ricostituenti e a favore del recupero della buona funzionalità epatica e intestinale.
Che sia bianca o rossa, dalla forma tondeggiante oppure allungata, l’uva va consumata quando è matura, per apprezzarne il sapore nella sua pienezza, e dai grappoli con acini interi e ben attaccati al raspo. Questo perché deve essere sempre accuratamente lavata, dal momento che si mangia con la buccia, e occorre essere sicuri di aver eliminato ogni residuo eventualmente dannoso.
Con la certezza della buona qualità della produzione italiana: la crescente diffusione della viticoltura biologica, con una superficie vitata bio che raggiunge i 126mila ettari (+9%), e l’ampia affermazione della viticoltura integrata, regolata su base regionale da protocolli sempre più stringenti per la riduzione dell’impiego di fitofarmaci nelle vigne, stanno a dimostrarlo.