E tu lo conosci l’umami? Segni particolari: corposo, sapido e piacevole
C’è l’amaro, il dolce, il salato, l’acido e poi c’è l’umami. Il cosiddetto “quinto gusto”, che a definirlo sembra avere caratteristiche poco chiare, ma che in realtà è quello che ci consente di riconoscere tutto il sapido che “sa di buono”.
Il primo ad averlo identificato, agli inizi del secolo scorso, è stato Kikunae Ikeda, professore di chimica dell’Università Imperiale di Tokyo, studiando il sapore del dashi, un brodo tipico della cucina giapponese, a base di alghe.
Ikeda notò che lo stesso gusto scoperto nei pomodori, negli asparagi, nella carne e nel formaggio, mangiati durante i suoi soggiorni in Europa, era inconfondibilmente presente anche nel brodo a base di alghe. Decise allora di isolare la sostanza gustativa di base di questo alimento, arrivando a scoprire l’acido glutammico che era uno dei suoi elementi centrali. In questo modo aveva individuato il quinto gusto che chiamò appunto “umami” (da “umai”, che in giapponese vuol dire “buono”).
Come spiega l’Umami Information Center, in termini tecnico-scientifici, l’umami è “il sapore dei sali che combinano glutammato, inosinato o guanilato con ioni del calibro di sodio, come glutammato monosodico o ioni potassio”. Inoltre, anche l’acido succinico, che conferisce ai crostacei il loro gusto caratteristico, è stato identificato come un’altra possibile sostanza umami.
La percezione di questo gusto deriva dalla stimolazione della parte bifrontale del nostro cervello, vicino alla sezione del dolce, atta a recepire “neurologicamente” la salinità. Ma non è così semplice: “Umami nasce dall’unione di almeno due alimenti: uno che contiene Msg (glutammato monosodico naturale, non quello chimico del dado da cucina) con un secondo alimento, definito Nucleotide, che fa da neurotrasportatore alla prima sapidità, quella principale, implementando cerebralmente proprio la salinità contenuta nell’Msg”, ha spiegato Alfredo Iannaccone, ieri giornalista, oggi cuoco ricercatore.
Per ricondurre la definizione alla nostra esperienza gustativa, umami è quel gusto che appartiene naturalmente a prodotti lattiero caseari, carne, pesce e ad alcune verdure, come pomodori, piselli, asparagi, broccoli, spinaci, cipolle e verze.
In sostanza, un bel piatto di pasta al ragù, una pizza con mozzarella e pomodoro, una porzione di risotto ai funghi, un pezzo di Parmigiano Reggiano sono degli esempi di alimenti della nostra tradizione enogastronomica che hanno un gusto umami, pieno e forte.
Inoltre è da tenere presente che il livello di glutammato aumenta considerevolmente quando un alimento viene sottoposto a procedimenti di stagionatura o maturazione (carni e o formaggi).
Il riconoscimento dell’umami come gusto fondamentale è stato molto lento, soprattutto nella cultura occidentale: nel 1920 cominciarono gli studi scientifici a livello internazionale, ma solo nel 1985 si tenne, alle isole Hawaii, il primo simposio internazionale in cui l’umami venne ufficialmente riconosciuto come gusto di base, indipendente dagli altri quattro. E nel 2013 l’Unesco ha inserito la cucina tradizionale giapponese nel Patrimonio immateriale dell’Umanità per i suoi cibi saporiti e sani creati proprio grazie all’uso del sapore umami degli ingredienti.
Studi scientifici recenti hanno dimostrato come cibi che hanno alla base il glutammato siano tra quelli più apprezzati dai bambini, poiché esso possiede proprietà di intensificatore del sapore, e il gusto corposo che ne deriva è quello dei cibi proteici, nutrienti, necessari al nostro organismo e molto energizzanti. Anche gli anziani amano il gusto umami nei cibi perché li rende più saporiti, appetibili e dunque digeribili.
Negli anni Novanta, inoltre, Schiffman e Warwick scoprirono che l’intensificazione dei sapori indotta dal MSG nei cibi rafforza le difese immunitarie poiché determina un piacere maggiore nel mangiarli, creando un complesso di sensazioni positive che fanno diminuire i livelli di cortisolo, conosciuto come l’ormone dello stress psico-fisico. Un beneficio che smentisce la convinzione che il glutammato mononosodico fosse associato a quella che in Occidente è stata conosciuta come la “Sindrome da ristorante cinese”, probabilmente riconducibile invece alla elevata concentrazione di olii fritti. Ricerche giapponesi hanno verificato al contrario come l’insensibilità all’umami determini perdita di appetito, astenia e generale indebolimento fisico.
Tra i cibi che più di tutti sanno di umami, naturalmente troviamo le alghe, l’alimento da cui la ricerca è partita. Oggi che sempre più stiamo familiarizzando con questo ingrediente, anche per il suo interessante e ricco profilo nutrizionale, il quinto gusto potrebbe essere il sapore della sua sostenibilità alimentare.