Da sempre e in tutte le culture il cibo e la sua preparazione sono associati alla donna: colei che quotidianamente pensa al pasto, lo rende invitante e lo offre all’interno di una relazione che assume la forma (e il buon sapore) della cura e dell’accudimento. Meno frequentato è invece il valore economico della partecipazione femminile alla filiera alimentare, che è il tema dell’ultimo Rapporto FAO “The status of women in agrifood systems”.
Uguaglianza di genere come leva economica e di resilienza
Il Report è arrivato a quantificare in circa 1000 miliardi di dollari il superamento delle disparità di genere nell’agroalimentare a livello globale, mentre si stima che
il ruolo attivo della donna nel settore primario potrebbe addirittura salvare dall’insicurezza alimentare ben 45 milioni di persone.
Ma non finisce qui: il raggiungimento della parità di genere nei sistemi agroalimentari, infatti, secondo il Rapporto Fao, che analizza tutte le filiere dalla produzione alla distribuzione fino al consumo, rappresenta anche un fattore fondamentale per rafforzare la loro resilienza rispetto alle crisi legate ai cambiamenti climatici e a eventi catastrofici come quelli pandemici. Crisi di cui purtroppo le donne hanno risentito in misura maggiore: l’insicurezza alimentare ha visto crescere il divario di genere dall’1,7% del 2019 al 4,3% del 2021. Così come le donne sono state le prime e le più numerose a perdere il lavoro durante il periodo della pandemia: il 22% delle donne impiegate nei segmenti extra-agricoli dei sistemi agroalimentari rispetto al 2% degli uomini.
La condizione femminile nell’agroalimentare oggi
Considerati globalmente, i sistemi agroalimentari occupano un numero pressoché uguale di donne e uomini, rispettivamente il 36% e il 38%. Ma i ruoli sono diversi, perché il lavoro femminile dipendente si caratterizza per precarietà, informalità, tempo parziale e basse qualifiche. Se invece si considera il lavoro autonomo, si vede come le donne accedono meno al controllo della terra e della proprietà, al credito e alla formazione.
Inoltre, nei Paesi del sud del mondo, quelli più legati a un’economia di sussistenza, sono proprio le donne a essere impiegate in maggior numero nei sistemi agroalimentari: nell’Africa subsahariana, il 66% delle donne a fronte del 60% degli uomini; in Asia meridionale, il 71% rispetto al 47%.
Il divario retributivo, che segna circa il 18% in meno del salario femminile a parità di mansioni, completa il quadro generale del gap di genere tracciato dal Report FAO.
SDG 5 dell’Agenda 2030: le donne come protagoniste dello sviluppo sostenibile
Insieme all’analisi della situazione, il documento si impegna però a fornire anche delle soluzioni, offrendo ai responsabili politici e amministrativi un’ampia rassegna delle misure che hanno funzionato.
Soprattutto il Rapporto insiste sulla necessità di fare leva su progetti mirati a promuovere l’emancipazione femminile nell’ambito dell’SDG 5 dell’Agenda di Parigi per lo Sviluppo Sostenibile (Uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze).
Se almeno il 50% dei piccoli produttori beneficiasse di questo tipo di iniziative, si osserverebbe un significativo miglioramento del reddito per altri 58 milioni di persone, con una ricaduta positiva per 235 milioni di individui complessivamente.
“Se riusciremo a rimuovere le disuguaglianze di genere nei sistemi agroalimentari e a favorire l’emancipazione femminile, il mondo farà passi da gigante verso il conseguimento degli obiettivi della lotta alla povertà e della creazione di un mondo libero dalla fame”, scrive il Direttore Generale della FAO, QU Dongyu, nella prefazione al Rapporto. Per concludere: “L’efficienza, l’inclusività, la resilienza e la sostenibilità dei sistemi agroalimentari non possono prescindere dall’emancipazione di tutte le donne e dalla parità di genere. Le donne sono da sempre al servizio dei sistemi agroalimentari. Ora è giunto il momento di garantire che i sistemi agroalimentari siano al servizio delle donne”.