Le fragole, un autentico dono della natura a primavera

Per William Shakespeare, era “il cibo delle fate”, mentre la saggezza popolare la chiama “frutto cuore” per la forma e il colore rosso intenso: si tratta della fragola, delicata e dal sapore intenso e aromatico, il frutto che più rappresenta il trionfo della primavera, la stagione del risveglio della natura.

Fin dal mito greco che la vuole nata dalle lacrime versate da Venere per la morte di Adone, la fragola si associa alla passione amorosa, anche per le virtù afrodisiache che gli vengono riconosciute. In realtà,

il frutto vero sono i “semini”, chiamati acheni, che si trovano sulla superficie del ricettacolo succoso, che è quello che possiamo gustare in tutta la sua fresca dolcezza.

Originaria delle zone alpine dell’Europa e dell’Asia, dopo il 1500, la fragola non viene più soltanto raccolta nei boschi, ma viene trapiantata nei giardini a scopo ornamentale e coltivata negli orti come prelibatezza destinata al consumo delle famiglie nobili. Le fragole che conosciamo oggi nascono da una molteplicità di incroci: dalla Fragaria chiloensis, importata dal Cile ai primi del 1700 da Amedée Frezier, un ingegnere militare ed esploratore francese, che si è poi unita alla Fragaria virginiana, originaria del Nord America, dando infine origine alla Fragaria x ananassa, la varietà più diffusa, molto più grossa e dolce.

Con sole 27 Kcal per 100 gr, le fragole sono un frutto che per le numerose proprietà benefiche per la salute non può mancare in una dieta equilibrata e varia. Addirittura rientrano nella classifica ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity), in quanto ottime fonti di antiossidanti, Vitamina C, flavonoidi, calcio, magnesio e potassio. Le fragole possono vantare anche interessanti proprietà digestive, diuretiche, rinfrescanti e, secondo alcuni studi, anche anticancerogene.

 

Inoltre, sono valide alleate della nostra bellezza: grazie al contenuto di xilitolo proteggono la salute dei denti; la Vitamina C che apportano in quantità aiuta a mantenere la pelle fresca ed elastica, mentre le loro virtù drenanti sono un toccasana contro ritenzione idrica e cellulite.

 

Le fragole si possono gustare in molti modi, ma uno dei più semplici e di sicuro successo è insieme al limone e a qualche fogliolina di menta, per un matrimonio di profumi, aromi e sapori davvero intrigante e piacevole.

 

Ingredienti:

500 g di fragole; 1 limone biologico; 3 cucchiai di zucchero di canna; 8 foglie di menta.

 

Preparazione:

Dopo aver lavato accuratamente le fragole, tagliarle a pezzetti ponendole in una ciotola. Spremere il limone sulle fragole, dopo averlo lavato e averne grattugiato la buccia, aggiungere lo zucchero e le foglioline di menta spezzandole con le mani (se tagliate con il coltello si scuriscono). Lasciar riposare in frigorifero per almeno due ore prima di servire.

 

E se non abbiamo a disposizione fragole fresche, la Composta Cremosa di fragole bio Ohi Vita conserva tutto il sapore dei frutti appena raccolti: un cucchiaio di Composta rappresenta un’ottima aggiunta allo yogurt bianco, per dolcificare e rendere più gustosa una merenda leggera. Oppure per arricchire un gelato alla vaniglia, donandogli un tocco cremoso e saporito. La dolcezza della fragola incontra, poi, con piacere alcuni formaggi come l’Asiago o la ricotta di pecora.

La fresca cremosità di uno yogurt greco, alimento antico, salutare e a ridotto impatto ambientale

Ideale per la prima colazione o per uno spuntino goloso, ricco di proteine e calcio disponibili anche per chi ha specifiche ipersensibilità o intolleranze, lo Yogurt greco bianco 0% grassi e senza lattosio della linea Ohi Vita è ottenuto per colatura dalla fermentazione naturale di latte greco a filiera certificata.

 

Lo Yogurt greco bianco 0% grassi Ohi Vita ha un contenuto di zuccheri inferiore rispetto allo yogurt tradizionale, ed è indicato anche nelle diete a ridotto regime calorico e per gli sportivi.

 

Grazie alla componente liquida ridotta, lo yogurt greco è un’ottima fonte di proteine, che lo rendono un alimento dallelevato potere nutriente, e capace di generare un appagante senso di sazietà. I fermenti lattici presenti promuovono la buona funzionalità dell’intestino, favorendo l’equilibrio del microbiota, a vantaggio del benessere complessivo e del rafforzamento delle nostre difese immunitarie. Come fonte di Vitamine del gruppo B, soprattutto la Vitamina B12, e di Sali minerali come calcio e magnesio, lo yogurt greco può anche promuovere la corretta funzionalità del sistema nervoso e del metabolismo.

 

Per la sua consistenza cremosa e il sapore fresco e gustoso, lo yogurt greco rappresenta uno degli alimenti in crescita di gradimento a livello planetario. Si distingue per l’esperienza gratificante del gusto che garantisce, con una ricca cremosità e che soddisfa e sazia, a fronte di un apporto calorico contenuto. È soprattutto il ripetuto processo di colatura attraverso il quale viene prodotto lo yogurt greco a determinare il suo profilo sensoriale e nutrizionale: alla ridotta componente liquida corrisponde infatti un contenuto maggiore di proteine e inferiore di sodio e lattosio, ma soprattutto quella consistenza ricca a cui è legato il grande successo di questo alimento.

 

La curiosità è che lo yogurt che conosciamo come greco, in realtà, è un alimento dalla storia millenaria che non ha origini elleniche, bensì balcaniche, in quanto deriva dalla tradizione gastronomica bulgara. Lo yogurt, “inventato” dagli antichi popoli nomadi dell’Asia, che scoprirono un po’ per caso che il latte conservato in otri ricavate dalle pelli degli animali fermentava, presto si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo grazie ai commercianti Fenici ed Egizi, e da allora si svilupparono diversi metodi di produzione. Oggi lo yogurt greco è diventato un ingrediente base nella cucina ellenica, da consumare da solo, ma anche in tantissime preparazioni dolci e salate. Si sposa molto bene con le verdure, con la carne di pollo, con il pesce, e, nei dessert, con il miele, le amarene e le fragole.

 

Lo Yogurt bianco greco 0% grassi della linea Ohi Vita è prodotto con latte 100% greco a Km 0, proveniente dalle fattorie che si trovano sulle colline della città di Drama, nella Grecia settentrionale, secondo il metodo tradizionale della colatura, vasetto per vasetto. Tutte le fasi del processo produttivo, dalle materie prime alla distribuzione, sono tracciabili e rigorosamente monitorate sul piano della sicurezza alimentare e della qualità, fino alla sua distribuzione.

 

Parliamo di un prodotto a base di latte che presenta numerosi benefici per il nostro organismo, perché è un alimento naturale e semplice, ottenuto soltanto dall’aggiunta di due fermenti lattici, lo Streptococcus thermophilus e il Lactobacillus bulgaricus. Lo yogurt, infatti, è un alimento che offre un’esperienza di gusto e di benessere nel segno della naturalità, può essere consumato anche tutti i giorni, a colazione o come spuntino, nell’ambito di una dieta equilibrata e completa. Secondo gli studi di alcuni ricercatori canadesi, infatti, consumare yogurt abitualmente rappresenta unottima consuetudine a favore di uno stile di vita sano e per colmare eventuali carenze nutrizionali di calcio e vitamine del gruppo B. Inoltre la semplicità del suo processo di produzione, caratterizzato da bassissime emissioni climalteranti, lo rende un alimento a ridotto impatto ambientale.

1 italiano su 3 consuma pesce con regolarità. Sul podio orata, salmone e nasello

Il pesce fa bene alla salute: ne è convinto 1 italiano su 3. I prodotti ittici sono un’ottima soluzione da mettere in tavola per tutta la famiglia perché è fondamentale variare il regime alimentare con diversi elementi nutritivi che fanno bene all’organismo. Per questo, sono parte integrante della dieta degli italiani: solo il 2,5% della popolazione non li mangia, prevalentemente per una questione di gusto, ma il 42,2% consuma pesce appena 1 volta a settimana, mentre il 12,2% lo mangia mediamente ogni 2 settimane.

 

1 italiano su 3 consuma pesce con regolarità, due o tre volte a settimana: unabitudine che nel 2021 coinvolgeva 1 italiano su 5.

 

Ma quali sono i prodotti ittici mediterranei più presenti sulle tavole degli italiani? L’Orata (36,5%) e il salmone (30,8%) si aggiudicano il podio tra i prodotti ittici maggiormente ricercati e acquistati.

 

A rivelarlo è un’indagine sull’evoluzione dei consumi inserita nell’ambito del progetto FoodHub, realizzato dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e da Unioncamere con la collaborazione tecnico-scientifica di Isnart, BMTI e Italmercati.

Una scelta, quella dell’orata e del salmone, legata alla facilità di preparazione che è uno degli elementi chiave per la scelta dei prodotti da portare a casa. E alla convinzione di una maggiore salubrità” e/o bontà rispetto a quelli che sono considerati i pesci poveri, come ad esempio il pesce azzurro.

 

Al terzo posto sulle tavole degli italiani si piazza il nasello (acquistato dal 27,2%), che prende il posto del “cugino” merluzzo nordico (quarto prodotto più venduto nel 2021, ma in nona posizione nel 2022). Proseguendo la classifica delle specie mediterranee maggiormente consumate troviamo al sesto posto il polpo (scelto dal 20,1% degli italiani nel 2022, contro il 7,4% dell’anno precedente quando occupava l’11° posizione) e a seguire le cozze, che vengono comprate dal 19,2% degli italiani (5,9% del 2021, 14° posizione).

 

Tra i prodotti in crescita e maggiormente amati dagli italiani, in particolare dai consumatori over 56, compare un altro prodotto della nostra tradizione culinaria: le alici, che passano dal 7,5% del 2021 al 10,9% nel 2022.

 

E al ristorante? I preferiti dagli italiani sono i calamari che si confermano, come nel 2021, al primo posto fra i prodotti ittici maggiormente consumati nel fuori casa. Al secondo posto il polpo (ordinato al ristorante dal 27,8% degli italiani nel 2022), mentre le cozze vengono scelte dal 26%. Seguono poi al quarto posto il gambero rosso (24,2%) e al quinto i lupini (18,9%), varietà più venduta delle vongole veraci (17,1%).

 

A casa, invece, negli ultimi due anni il consumo di pesce è rimasto stabile per il 67,3% degli italiani, mentre il 18,2% ne ha mangiato di più. Stiamo parlando di un prodotto che per 8 famiglie su 10 è consumato da tutti, grandi e piccini: si predilige pesce fresco pescato o, in alternativa, si passa direttamente al surgelato. Meno ricercati i prodotti ittici allevati e i trasformati.

 

Infine, anche a tavola cresce l’attenzione alla sostenibilità: sono molte le specie meno conosciute ma altrettanto buone e con un rischio di sfruttamento molto più basso, in termini di rispetto degli ecosistemi. Non è un mistero che il Mediterraneo veda sempre

più ridotta la sua pescosità e che i pesci pescati siano di taglia sempre più piccola, perché non hanno tempo di riprodursi e di crescere. In questo senso, la conoscenza della materia e la disponibilità a proporre pesci diversi spesso passano anche da un ruolo educativo del ristoratore o del negoziante, che possono raccontare il prodotto e farlo comprendere in una narrativa che aiuta a fornire valore al piatto.

 

Uno dei principali stereotipi, ad esempio, riguarda il pesce di allevamento, ritenuto di qualità inferiore; tuttavia, la sostenibilità passa anche da qui, da prodotti che, se certificati o a marchio biologico, garantiscono gli stessi standard qualitativi di quello pescato in alto mare.

Piccola storia di un legume sottovalutato. Il lupino: nutriente, versatile, sostenibile e, soprattutto, buono

Come i piselli, le lenticchie, le fave e i fagioli, anche i lupini sono legumi che fanno parte della famiglia delle Fabaceae. Eppure, pur essendo anche loro molto buoni, nutrienti e con tante proprietà nutritive, sono meno conosciuti e valorizzati rispetto ai loro parenti.

 

La pianta del lupino include numerose specie che vengono coltivate anche in Italia sin dai tempi degli antichi romani. Tra i lupini commestibili, i più diffusi in Europa sono il Lupinus Albus o bianco, il Lupinus Luteus o giallo e il Lupinus Angustifolius o blu. Da noi si punta tutto sul lupino bianco, coltivato soprattutto in Lazio, Campania, Puglia e Calabria, regioni dove è anche per tradizione associato a un discreto consumo. Aprendo i confini, le maggiori coltivazioni si trovano in Australia e in Cile mentre, in Europa, sono soprattutto la Polonia e la Germania a produrne e a consumarne in alta quantità.

 

Indicati nelle diete ipocaloriche, i lupini sono senza glutine e molto apprezzati anche da chi segue un’alimentazione prevalentemente o prettamente a base vegetale perché rappresentano un’ottima fonte di proteine vegetali, di vitamine e di sali minerali.

 

Ricchi anche di fibre, i lupini vengono tradizionalmente consumati da soli come snack e vengono spesso venduti nei chioschi alle sagre. Oppure possono essere cucinati e abbinati anche alle verdure, essiccati e ridotti in farina come base per paste fresche o preparazioni da forno.

 

Inoltre, sono sostenibili e molto versatili: sono, infatti, in arrivo dal lupino nuovi biomateriali per la biomedicina e il food. Grazie ad una ricerca realizzata all’Università di Roma Tor Vergata, la bioplastica derivata dalla buccia del legume può infatti diventare cerotto per supportare la rigenerazione dei tessuti con cellule staminali da applicare sulle ferite, o per ottenere nuovi biosensori oppure per produrre nuovi cibi.

 

Creare nuovi materiali bioplastici dagli scarti vegetali della lavorazione del lupino è una sfida interessante. “Nell’ultimo decennio – spiega Sonia Melino docente di Biochimica del dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche di Tor Vergata – vi è stato un crescente utilizzo del lupino a livello mondiale per le sue proprietà nutrizionali, come alimento a elevato contenuto proteico e di fibre. La presenza di numerose sostanze fitochimiche (lupeolo, polifenoli) rende il lupino un ottimo candidato per la produzione di alimenti funzionali, che hanno cioè un effetto benefico su una o più funzioni biologiche dell’organismo”.

 

Tant’è che attualmente è cresciuto l’investimento industriale sulla produzione di alimenti a base di farina di lupino: “I materiali da noi ottenuti e studiati non solo potrebbero essere usati per supportare la crescita cellulare ed eventualmente promuovere la rimarginazione delle ferite, ma il loro campo applicativo potrebbe essere anche quello alimentare sia per food packaging”. Senza dimenticare che fa bene anche all’ambiente: come tutte le leguminose, arricchisce il terreno di azoto e di sostanza organica.

 

Con la dieta a colori la nostra tavola si fa bella e salutare

“Anche l’occhio vuole la sua parte”, dice la saggezza popolare, per ricordarci quanto noi tutti siamo attratti anche dall’aspetto di quel che ci circonda. Ma quando l’aspetto contiene (e rivela) informazioni circa le caratteristiche funzionali, il discorso si fa interessante. È questo il caso del colore dei cibi che la natura ci offre e che possiamo mettere in tavola, proprio a partire dalla loro componente cromatica.

Si tratta di un approccio agli alimenti che si fonda sull’associazione che esiste tra il colore e la presenza di sostanze che hanno particolari proprietà a vantaggio del nostro benessere. Naturalmente questo costituisce uno tra i tanti criteri che possono orientarci nelle nostre scelte alimentari quotidiane, ma si tratta comunque di un “metodo” capace di stimolare la creatività e la curiosità in cucina, guardando anche all’estetica dei nostri piatti.

La “dieta a colori” è un regime alimentare Plant Based, cioè orientato al consumo prevalente di alimenti di origine vegetale, senza escludere però nessuna fonte proteica, anche di origine animale.

Del resto, frutta e verdura custodiscono, insieme ai fiori, alcuni dei colori più belli che il nostro occhio può percepire, generando un senso diffuso di piacevolezza e di serenità. Oltre a rappresentare una vera e propria “tavolozza della salute”, a cui ispirarsi nella definizione di una alimentazione corretta, equilibrata e varia.

 

Le grandi categorie cromatiche degli alimenti sono cinque:

 

Giallo/Arancione: il colore di carote, albicocche, meloni, peperoni, nespole, limoni e arance, per fare qualche esempio, caratterizza cibi ricchi di vitamine A, B, C, preziose per la salute dei tessuti e per il sistema immunitario.

 

Verde: ferro, magnesio, clorofilla, acido folico e vitamina B12 si possono trovare negli alimenti vegetali verdi, come piselli, cetrioli, zucchine, bietole, mentre peperoni verdi, spinaci, kiwi e prezzemolo sono buone fonti anche di Vitamina C. I nutrienti di questi cibi migliorano la digestione, la vista e sono antiossidanti.

 

Rosso: è il colore di pomodori, fragole, peperoni rossi, melograni, cocomeri, tutti i cibi che si distinguono per un elevato contenuto di carotenoidi e antiossidanti come il licopene, una sostanza che contrasta l’invecchiamento cellulare.

 

Blu/Viola: legato alla presenza di antocianine, flavonoidi che conferiscono questo particolare pigmento, è il colore di cibi dalle spiccate proprietà antiossidanti come uva rossa, frutti di bosco, barbabietole e mirtilli, per dirne alcuni che si rivelano validi alleati per la salute di pelle e mucose, capaci di contrastare infiammazioni e invecchiamento e di promuovere le funzioni cognitive.

 

Bianco: beta-glucani, flavonoidi e isotiocinati sono i nutrienti che caratterizzano nel complesso gli alimenti di questo colore, come cipolle, aglio, patate, banane, rape e cavolfiore, che hanno la peculiarità di promuovere la circolazione, la depurazione e la buona digestione, e di stimolare il sistema immunitario.

 

La dieta a colori può essere declinata secondo due diverse interpretazioni. La prima consiste nell’individuare un colore diverso per ogni giorno della settimana (per esempio, il lunedì il rosso, il martedì il viola, il mercoledì il bianco e così via), riservando al fine settimana i menu che mixano i cibi a piacimento. La seconda, che qualche anno fa era stata al centro della campagna di educazione alimentare americana «5 A Day The Color Way», sostenuta anche dalla l’Harvard Medical School di Boston, si fonda sul consumo quotidiano di cinque cibi vegetali di colore differente. Una sorta di arcobaleno della salute in tavola per integrare le specifiche sostanze nutritive che ciascun alimento, in base alla sua valenza cromatica, può apportare.

 

A questo punto non c’è che l’imbarazzo della scelta, che, in ogni caso, ci consentirà di beneficiare di tutte le proprietà nutrizionali delle cinque porzioni di frutta e verdura, preferibilmente fresca, di stagione e a Km0, secondo i principi della Dieta Mediterranea.

Energia e pelle luminosa: come fare il pieno di Vitamina C nella bella stagione

Una pelle elastica e luminosa si può conquistare anche a tavola. Il segreto sta nell’assicurarsi una corretta idratazione e un’alimentazione salutare, equilibrata e varia. Come diceva Coco Chanel, “La natura ti dà la faccia che hai a vent’anni; è compito tuo meritarti quella che avrai a cinquant’anni.” Il vero nemico della nostra pelle sono infatti i radicali liberi, i principali responsabili della sua perdita di tono e compattezza.

 

Per combatterli fin da giovani, le armi più efficaci sono uno stile di vita sano, che riduce se non elimina alcol e fumo come cause di invecchiamento precoce, e una alimentazione varia e ricca di tutti i principi nutritivi, tra i quali vitamine e Sali minerali giocano un ruolo da protagonista.

Anche la vitamina C (acido ascorbico), che siamo più abituati ad associare al potenziamento delle difese immunitarie, è una delle importanti vitamine di bellezza, per le sue spiccate proprietà antiossidanti. Inserire nella propria dieta alimenti che la contengono in buona quantità rappresenta pertanto un’ottima strategia per potenziare l’elasticità dei tessuti e rendere la pelle più liscia e morbida.

 

Senza dimenticare che il primo accorgimento per garantirsi un aspetto fresco, e soprattutto per rimanere in forma, consiste nell’apportare la giusta idratazione al nostro corpo, a maggior ragione nella stagione calda in cui il fabbisogno aumenta.  Mediamente la quantità ottimale di liquidi da assumere al giorno è pari a circa 2 litri per le donne e 2,5 per gli uomini, tra acqua e o bibite, caffè, tè, tisane, latte e bevande vegetali, oltre ai liquidi che si ricavano dall’alimentazione.

 

Largo dunque al consumo di frutta e verdura fresche e di stagione, soprattutto a quelle ricche di Vitamina C, essenziale anche per la produzione di collagene, la proteina che mantiene giovane e forte la struttura della pelle.

 

E non si tratta solo di agrumi. Rucola, peperoni, spinaci, limoni, fragole pomodori, more, lamponi, ribes e kiwi, solo per fare qualche esempio, sono la scelta giusta per garantirsi il fabbisogno quotidiano di vitamina C. La sua caratteristica infatti è che non può essere accumulata dall’organismo, ma deve essere assunta quotidianamente, in una quantità ottimale pari a circa 75 mg nell’uomo adulto e 60 mg nella donna.

Basti pensare che 100 grammi di rucola contengono più o meno 110 mg di vitamina C; 100 g di peperoni ne apportano circa 151 mg; 100 g di kiwi circa 85 mg; 100 g di fragole 59 mg; 100 g di pomodori da insalata 21 mg. Il consiglio è di consumare questi alimenti crudi o a seguito di una cottura veloce, perché la vitamina C è sensibile alle alte temperature e si disperde facilmente, soprattutto nell’acqua, essendo idrosolubile. È anche molto volatile, pertanto le spremute di agrumi vanno bevute non appena fatte, per conservare intatto il patrimonio di vitamina C che contengono.

 

E se si vuole preparare una maschera di sicuro successo per dare una sferzata di energia alla nostra pelle e rendere il colorito immediatamente più luminoso e uniforme, basta prendere un cucchiaino di miele di acacia biologico, il succo di mezzo limone appena spremuto e mezzo cucchiaino di zucchero di canna integrale, mescolare bene, stendere sul viso con leggeri movimenti rotatori per un effetto scrub, lasciare agire per una ventina di minuti, quindi sciacquare con acqua tiepida e asciugare tamponando con delicatezza. Se durante la posa decidiamo anche di gustarci una deliziosa coppetta di fragole con limone, il gioco è fatto: golosità, benessere e bellezza sono davvero a portata di mano.

Gusto e proteine ad alto valore biologico in un pratico formato: sono gli Snack di Grana Padano DOP Ohi Vita

Con il suo gusto dolce e delicato, lo Snack di Grana Padano DOP Ohi Vita è ideale per la merenda e uno spuntino veloce, saporito e nutriente. Con sole 80 Kcal per 20 grammi e il 33% di proteine, lo Snack Di Grana Padano DOP Ohi Vita, nel suo pratico formato monoporzione, che può essere consumato fino a 4 ore dopo essere stato tolto dal frigo, è consigliato per la crescita, per gli sportivi e per tutti coloro che conducono una vita attiva.

 

Il Grana Padano DOP è infatti un vero e proprio concentrato di energia e di nutrienti: per produrne un chilo occorrono ben 15 litri di latte fresco.

Le proteine del Grana Padano DOP sono ad alto valore biologico con i 9 amminoacidi essenziali indispensabili per la crescita e il buon funzionamento dell’organismo. Per questo, gli Snack Ohi Vita forniscono energia immediatamente disponibile per l’apparato muscolare. Naturalmente privo di lattosio, ma con un ottimo contenuto di calcio, utile per sostenere la buona salute delle ossa a tutte le età, il Grana Padano DOP può essere inserito nelle diete di chi è intollerante a questa componente del latte.

È inoltre ricco di antiossidanti come la vitamina A, lo zinco e il selenio, oltre che di fosforo e magnesio e di vitamine del gruppo B, indispensabili per il metabolismo dei carboidrati e dei grassi. Per il modesto contenuto di colesterolo, infine, è un formaggio che può rientrare nella dieta di chi soffre di ipercolesterolemia.

Il Grana Padano nasce da una ricetta del XII secolo creata nell’Abbazia di Chiaravalle dai monaci cistercensi, per impiegare le eccedenze di latte.

Conosciuto col nome latino di Casus vetus (“formaggio invecchiato”), nel tempo questo formaggio venne chiamato dai contadini formai de grana, per la sua pasta fatta di caratteristici granelli bianchi, dovuti ai cristalli di calcio. Dalla ricetta dei monaci di Chiaravalle del 1100 a oggi, passando per il Disciplinare del marchio DOP del Grana Padano, riconosciuto nel 1996 dall’Unione Europea, sono passati quasi mille anni. Ma il metodo produttivo del Grana, dalla scelta della materia prima fino alle buone pratiche di caseificazione, è rimasto lo stesso ed è custodito dal Consorzio per la Tutela del Grana Padano DOP, attivo dal 1957.

Un’eccellenza gastronomica che piace agli Italiani, ma non solo: una ricerca Nomisma ha evidenziato come nel triennio 2019-2020-2021 il Grana Padano DOP sia stato il più venduto e il più consumato al mondo tra tutti i 199 DOP registrati in Europa. Del resto, “il formaggio costituisce, con il pane e il vino, la trinità della tavola europea” ha dichiarato lo scrittore francese Michel Tournier, mentre Italo Calvino, a proposito del rapporto speciale con il proprio preferito, scriveva: “Non è questione di scegliere il proprio formaggio, ma d’essere scelti. C’è un rapporto reciproco tra formaggio e cliente”.

 

Gli Snack di Grana Padano DOP Ohi Vita sono prodotti secondo i criteri rigorosi indicati nel Disciplinare di Produzione del Consorzio, che riguardano la materia prima, le fasi di caseificazione e la stagionatura, a partire dall’impiego esclusivo di latte vaccino proveniente da vacche munte non più di due volte al giorno e alimentate con foraggi verdi o conservati del territorio di produzione, individuato dal Disciplinare. La Denominazione di Origine Protetta è infatti una garanzia di qualità, genuinità e sicurezza alimentare nel solco della tradizione locale, oltre che di tracciabilità del prodotto finito in ogni passaggio della filiera produttiva.

 

Si tratta di un formaggio semigrasso a pasta dura, cotta ed a lenta maturazione ottenuto da latte vaccino nella zona di produzione definita dal Disciplinare e comprendente alcune province del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia Romagna, la provincia autonoma di Trento e alcuni comuni della provincia autonoma di Bolzano.

Una tradizione antica, conservata e tramandata di generazione in generazione, fatta di genuinità e filiere rigorosamente tracciate e certificate dall’allevamento per la produzione di latte alla trasformazione e stagionatura del formaggio, fino al confezionamento del prodotto finito.

 

A questo si aggiunge una sempre maggiore sostenibilità dell’intero processo produttivo: ottimizzare l’impiego di materia ed energia in tutte le fasi della filiera è uno degli impegni prioritari del Consorzio per la Tutela del Grana Padano DOP nell’ambito della transizione ecologica del settore agroalimentare delineata dall’Unione europea. Rientrano in questo obiettivo il ricorso sempre più largo alle energie rinnovabili, l’attenzione al benessere animale e una sempre maggiore integrazione della produzione, grazie all’adozione di buone pratiche di economia circolare per reimpiegare, per esempio, il siero di latte, che “avanza” dalla caseificazione, e può costituire una preziosa materia prima seconda per altre filiere, come quella dolciaria.

La Torta delle Rose, per portare in tavola un dolcissimo bouquet

Inventata alla fine del 1400 a Mantova, la Torta delle Rose venne preparata per la prima volta in occasione del matrimonio di Isabella D’Este con Francesco II di Gonzaga. Una festa grandiosa a cui parteciparono ben 17mila invitati, per celebrare un’unione dai molteplici risvolti per gli equilibri politici dell’epoca. Un matrimonio che non fu felice, tra distanze, tradimenti e intrighi, ma che mise in luce una delle personalità femminili italiane tra le più affascinanti e ammirate del Rinascimento. Isabella d’Este venne infatti definita dal condottiero e letterato, suo contemporaneo, Niccolò da Correggio «la prima donna del mondo», mentre Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso le rese omaggio con versi gentili e pieni di ammirazione:

 

D’opere illustri e di bei studî amica,
Ch’io non so ben se più leggiadra e bella
Mi debba dire, o più saggia e pudica,
Liberale e magnanima Isabella,
Che del bel lume suo dì e notte aprica
Farà la terra che sul Menzo siede.

 

Dotata di rare abilità diplomatiche, Isabella d’Este si dedicò anche al mecenatismo e all’arte, chiamando ad esprimersi alla sua corte i talenti più straordinari dell’epoca, come Raffaello, Andrea Mantegna, Tiziano, Perugino e Baldassare Castiglione.

 

La ricetta della Torta delle Rose, dopo le nozze di Isabella, diventò presto un dolce tipico della tradizione gastronomica mantovana. E se nei secoli ha conosciuto varianti e interpretazioni, sempre uguale rimane il suo carattere di torta morbida fatta di pasta lievitata dolce e la sua bellissima presentazione a mazzo di rose, ottenuta arrotolando la pasta per formare tanti boccioli.

 

Proponiamo qui una versione “leggera” della ricetta, che può essere tranquillamente gustata da chi in primavera pone qualche attenzione in più alla linea e, grazie all’accorgimento di impiegare latte senza lattosio, anche da chi è intollerante a questa componente.

 

Ingredienti:

Per la pasta: farina tipo 00 750 gr – 3 uova intere Ohi Vita senza antibiotici – zucchero semolato 60 gr – Latte senza lattosio Ohi Vita 200 gr – lievito di birra 50 gr – olio di semi 65 gr – buccia grattugiata di un limone bio – 1 cucchiaino di estratto di vaniglia – un pizzico di sale;

Per la farcitura: Composta cremosa di albicocche bio Ohi Vita 250 gr – Mandorle tritate 100 gr;

Per spennellare: 1 uovo Ohi Vita senza antibiotici – 10 gr di Latte senza lattosio Ohi Vita.

 

Preparazione

 

Versare la farina in una zuppiera ampia, fare una piccola fontana e al centro sbriciolare il lievito di birra, unire lo zucchero, versare una metà del latte facendo sciogliere il lievito e lo zucchero e mescolare bene. Coprire con un canovaccio e aspettare che inizi la lievitazione. Quando il composto inizia a gonfiarsi unire le uova una alla volta, il latte avanzato, il limone grattugiato, il pizzico di sale e l’olio. Impastare il tutto lungamente e fare lievitare per almeno 2 ore, in modo tale che il volume possa quasi raddoppiare. Dividere quindi l’impasto in due parti uguali e stendere la sfoglia formando due rettangoli con uno spessore di circa ½ centimetro, farcirli con la composta di albicocche unita alle mandorle tritate, arrotolare con delicatezza e tagliare i cilindri formando tante girelle di pasta.

Porle dunque in una tortiera del diametro di 28 cm cominciando dall’esterno e lasciando un po’ di spazio fra l’una e l’altra. Procedere poi al centro e mettere a lievitare per almeno 1 ora nel forno spento. Una volta che con la lievitazione le rose si saranno attaccate, spennellarle con il tuorlo sbattuto assieme al latte.

Infornare in un forno statico già caldo a 180° per circa 45-50 minuti fino a quando la torta non raggiunge un bel colore dorato. Servire tiepida o fredda, con una spolverata di zucchero a velo se gradito.

L’obiettivo è sempre il benessere e non la linea: ogni 6 maggio il No Diet Day ce lo ricorda

La dieta è parte di uno stile di vita orientato al raggiungimento di uno stato di benessere psico-fisico, e non una restrizione forzata per rincorrere canoni estetici, magari non compatibili con la propria costituzione naturale. È per ribadire questo messaggio, semplice ma purtroppo spesso lasciato sullo sfondo, che a partire dal 1992 ogni 6 maggio si celebra l’International No Diet Day.

 

Istituita nel Regno Unito per iniziativa di Mary Evans Young, femminista inglese e direttrice del gruppo “Diet Breakers”, la giornata ha l’obiettivo di mettere in guardia verso l’ossessione del peso forma che può condurre a scelte drastiche, mortificanti e malsane, o ribaltarsi nel suo contrario generando quell’insieme di disturbi del comportamento alimentare che oggi, tra anoressia, bulimia e binge eating (abbuffata incontrollata) interessano, guardando solo all’Italia, circa 3 milioni di persone.

 

Mentre, come altra faccia della medaglia, quasi un italiano maggiorenne su due (circa 25 milioni di persone) risulta in sovrappeso o obeso. In questo quadro, gli eventi pandemici hanno purtroppo determinato un generale aggravamento della situazione, soprattutto nelle fasce di età più giovani, di età compresa tra i 12 e i 18 anni. Gli esperti stimano che le reali proporzioni degli effetti della pandemia si potranno valutare soltanto dal 2024. 

 

A partire dalla sua dolorosa storia personale, Mary Evans Young ha deciso di attivarsi lanciando un messaggio chiaro a favore del body positivity. Non dimentichiamo che il Body Positive Movement viene fondato proprio negli anni ’90 da altre due ragazze, Connie Sobczak ed Elizabeth Scott, anche per contrastare l’ossessione per la magrezza e la “stigmatizzazione” dei corpi non conformi ai canoni estetici imperanti. Accettare il proprio corpo, conoscerne le esigenze, imparare ad amarlo per come è, alimentarsi ogni giorno variando i cibi e senza imporsi privazioni dannose per la salute: il No Diet Day, più che il giorno della trasgressione a tavola, si propone di ricordare l’importanza della consapevolezza nelle proprie scelte alimentari, sul piano individuale ma anche sociale, per ribellarsi alla cosiddetta “diet culture”.

 

”Ho deciso di passare all’azione – spiega Young in uno dei suoi libri – dopo aver visto un programma televisivo in cui delle donne si sottoponevamo a interventi chirurgici per ridurre il peso, e dopo aver saputo che una ragazza di 15 anni si era suicidata perché la prendevano in giro perché grassa”.

In breve tempo, la giornata si è affermata in Usa, Canada e Australia per diventare in tutto il mondo un appuntamento prezioso per incoraggiare gli individui ad avere stili di vita salutari senza preoccuparsi di taglie o magrezza.

 

Un contributo concreto per arginare la crescente diffusione dei disturbi alimentari. Perché se è vero che si tratta di “patologie multifattoriali”, in cui possono incidere fattori ereditari così come eventi traumatici, è pur vero che i fattori socio-culturali e la pressione derivante dalla diffusione di criteri quasi “artificiali” possono giocare un ruolo altrettanto decisivo.

 

Il 6 maggio può così rivelarsi utile per capire che invece basta poco per prendersi cura di sé e sentirsi (e apparire) in forma: bere una bibita zuccherata in meno al giorno consente per esempio di ridurre del 30% il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, oppure alzarsi anche per soli due minuti ogni ora diventa una abitudine salutare per chi svolge un lavoro sedentario.

Quell’oro verde che aiuta anche a concentrarsi: il basilico, una pianta aromatica regale

Con il sugo di pomodoro, sulla caprese, nel pesto ligure e sulla pizza: il basilico è un po’ come il prezzemolo, sta bene dappertutto. Lo dice già con il suo nome, perché basilico ha origine dal greco basilikon che significa regale. Un’erba aromatica degna dei re e, quindi, molto preziosa sia per il suo aroma che per le sue tante proprietà, non può che essere stata molto richiesta e valorizzata fin d’antichità, visto che già nell’antico Egitto le si attribuivano qualità di grande valore per la memoria e la concentrazione degli studenti. Nella biblioteca di Alessandria d’Egitto venivano poste sui banchi di studio alcune piante di basilico per favorire lo studio e il suo olio essenziale viene utilizzato ancora oggi come tonico del sistema nervoso di grande efficacia per gli studenti sotto esame.

 

La pianta di “Ocimum basilicum”, originaria dell’Asia, viene coltivata in tutto il mondo anche se ne esistono oltre sessanta varietà differenti per colore, dimensione e aroma.

 

C’è ovviamente, il famoso basilico genovese ideale per la preparazione del pesto, il basilico comune crespo, il basilico greco, il basilico thai, quello messicano e tante altre varietà ancora che rendono questa erba aromatica diffusa in ogni continente. Anche, come abbiamo visto, per le sue tante proprietà che vanno dal favorire la digestione all’essere un buon rimedio naturale contro l’alito cattivo. Inoltre, le foglie consumate fresche sono efficaci per contrastare gli effetti della nausea e calmare i crampi addominali. Secondo la tradizione popolare, diffusa anche in Africa e in America Latina, infusi e tisane preparate con le sue foglie secche sono in grado di apportare anche una buona azione sedativa e disinfiammante.

 

Il basilico, sicuramente per il suo aroma profumato e intenso, veniva considerato sia dagli egizi che dai greci nei riti connessi alla morte, mentre per i romani era associato alla capacità di produrre torpore e, perfino, pazzia. Nel Decameron di Boccaccio, Lisabetta da Messina ne utilizza un vaso intero per seppellire la testa del suo amante e tenerselo vicino dopo che le appare in sogno per rivelarle il luogo in cui è stato nascosto dai fratelli che lo hanno ucciso. Una volta recuperata la testa, la mette al riparo proprio coprendola con una profumatissima e rigogliosa pianta di basilico. Ogni giorno Lisabetta piange e si dispera sul vaso di basilico, trasferendo su di lui l’amore e la passione per l’amato Lorenzo: “Poi prese un grande e un bel testo, di questi ne quali si pianta la persa o il basilico, e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo; e poi messavi sù la terra, sù vi piantò parecchi piedi di bellissimo bassilico salernetano, e quegli da niuna altra acqua che o rosata o di fior darancio delle sue lagrime non innaffiava giammai. E per usanza aveva preso di sedersi sempre a questo testo vicina e quello con tutto il suo disidero vagheggiare, sì come quello che il suo Lorenzo teneva nascoso: e poi che molto vagheggiato lavea, sopresso andatasene cominciava a piagnere, e per lungo spazio, tanto che tutto il basilico bagnava, piagnea”.

 

Nella nostra gastronomia, il basilico è diventato nel tempo il rinomato ingrediente base del pesto genovese che si prepara nel mortaio pestando qualche grano di sale grosso con uno o due spicchi d’aglio, aggiungendo una manciata di pinoli e, a seguire e piano piano, le foglie piccole e fresche del basilico lavato e asciugato bene. Inserire, ancora, il Parmigiano o il Padano per due terzi ma anche il Pecorino Fiore Sardo per un terzo e una giusta quantità di olio extravergine di oliva ligure fino a ottenere la cremosità desiderata.

 

Ma il basilico è anche protagonista su un tradizionale piatto di pasta con il pomodoro o sopra una fumante pizza margherita. Senza dimenticare la caprese, quell’equilibrato incontro tra pomodoro, mozzarella, olio e, appunto, basilico che compongono il gustoso tricolore della bandiera italiana. Fino a completare il menù all’interno di una aromatica macedonia di fragole e ananas oppure entrando anche tra i gusti del gelato. Per una lunga conservazione, il basilico può essere lavato, asciugato bene e posto nel congelatore dentro la carta argentata: conserverà intatto il suo sapore per mesi così come frullato con un filo d’olio e messo nelle vaschette per il ghiaccio, sempre dentro il congelatore.