Le bucce degli agrumi per il riciclo delle batterie esauste: un progetto pilota che parla anche italiano

Soltanto in Italia sono 700mila le tonnellate annue di scarti derivati dalla filiera degli agrumi (a livello globale le stime raggiungono i 47 milioni di tonnellate), mentre nel 2030 le batterie al litio non riciclate potrebbero raggiungere gli 11 milioni di tonnellate. Ma la buona notizia è che dagli scarti degli agrumi può arrivare un aiuto prezioso per riciclare le batterie esauste e trovare così, in un colpo solo, una soluzione a due problemi.

 

Grazie a ricerca e innovazione tecnologica applicata, ma anche creatività e coraggio di sperimentare, due importanti progetti pilota stanno indicando come gli scarti degli agrumi rappresentino un “ingrediente” indispensabile per progettare stazioni di riciclo delle batterie con elevate performance e un basso impatto ambientale.

 

Sono infatti due i gruppi di ricercatori – uno in Giappone, presso la Nanyang Technological University a Singapore, e uno in Puglia, riunitosi nella start up foggiana AraBat – che, con procedimenti differenti, stanno lavorando allo sviluppo di quella che si chiama “idrometallurgia verde”, una delle nuove e molto interessanti frontiere aperte dall’economia circolare.

 

La questione del recupero delle batterie esauste e dei metalli preziosi, come litio, nichel, manganese e cobalto che contengono, è una delle questioni più attuali e più urgenti sul tavolo di tutti i paesi, soprattutto europei, per diversi motivi: da un lato, le batterie esauste sono rifiuti tossici che devono essere smaltiti con grande attenzione; dall’altro, contengono quelle cosiddette materie prime critiche, come appunto il litio, che sono sempre più necessarie per la de-carbonizzazione, ma che devono essere quasi totalmente importate, con costi sempre più elevati.

 

Ed ecco che la nuova tecnologia “circolare” messa a punto con gli scarti di agrumi può contribuire a dare una risposta a entrambe le necessità, nel segno della sostenibilità ambientale. In base a questa procedura, gli acidi inorganici comunemente usati nel processo di riciclo, tutti prodotti chimici dal forte impatto sull’ambiente, vengono infatti sostituiti con l’acido citrico presente negli agrumi. Impiegarlo insieme alle bucce essiccate e ridotte in polvere, ricche di cellulosa e di antiossidanti naturali, costituisce un’ulteriore opportunità di miglioramento del processo di recupero dei metalli. Si possono ricavare così carbonato di litio, idrossido di cobalto, manganese e di nichel a elevata purezza.

 

Realizzare stazioni di riciclo fondate su questo procedimento rientra pienamente nella strategia di Urban mining (lett. “estrazione urbana”), che permette di ricavare risorse dall’enorme quantità di rifiuti prodotti dalle nostre città e dalle diverse filiere produttive, riducendo l’impatto ambientale dell’attività estrattiva e riducendo anche l’impronta ambientale dell’attività di recupero.

 

Con il progetto della start up foggiana, si rivela dunque un’altra fruttuosa opportunità di impiego degli scarti e dei residui della filiera degli agrumi, che va ad aggiungersi a quella nel campo del tessile, con il tessuto Orange fiber, così come in agricoltura per la produzione di fertilizzanti e concimi, o ancora nel settore farmaceutico, per ricavare composti bioattivi come i polifenoli. Senza dimenticare che ci potrebbe anche capitare di bere una spremuta d’arancia in un bicchiere fatto proprio con le sue bucce. Perché, una volta essiccate, polverizzate e miscelate con un biopolimero di origine vegetale possono essere utilizzate anche per produrre oggetti in bio-plastica, da smaltire nell’organico.

Un super classico dell’estate, da servire freddo o caldo e da portare anche in spiaggia: ecco il pomodoro ripieno di riso

Uno dei piatti popolari più classici della tradizionale italiana che sa unire le delizie del pomodoro, inteso questa volta come contenitore e declinarle nelle mille varianti locali e di gusto che comporta il ripieno: che sia di tonno, riso, altre verdure, ragù o formaggio fuso il godimento è assicurato.

 

 Il pomodoro ripieno è un grande classico dell’estate, un alimento prelibato che si può tranquillamente portare anche in spiaggia, servito tiepido oppure freddo. E non sfigura nemmeno in una cena tra amici, anche elegante. Bastano pochi e semplici ingredienti per realizzare uno scrigno di meraviglie.

 

Diffuso anche in Francia, nella versione farcita con carne macinata, pangrattato e formaggio, oppure ripieno di cipolla, aglio, melanzana e peperone, questo incredibile piatto è universale: In Grecia accoglie altri ortaggi che racchiudono la carne, in Turchia, Iran e altri paesi mediorientali viene servito con riso, carne di agnello e cipolla. Mentre in Sud America i pomodori ripieni sono prima svuotati e poi guarniti con uova o tonno e maionese.

 

Per tornare, invece, in Italia i pomodori ripieni sono di tradizione un po’ ovunque, cotti al forno, come in Romagna dove sono riempiti con pangrattato, aglio e prezzemolo, oppure alla brace o, ancora, al tegame. In Umbria sono farciti con pangrattato, olio, uova, erbe, e aglio, nel Lazio si predilige aromatizzarli con la mentuccia e il prezzemolo, in Piemonte uova e formaggio grattugiato la fanno da padroni e, in Calabria, possono anche racchiudere della pasta corta, a sua volta condita con olio e varie erbe aromatiche. Questa che proponiamo è una semplice e gustosa ricetta che parte dal riso, a patto che sia cotto non troppo duro e nemmeno troppo molle.

 

Pomodori ripieni di riso

 

Ingredienti (per 4 persone)

4 pomodori rossi tondi di buona dimensione

200 g di riso arborio o baldo

1 spicchio d’aglio e 2 rametti di prezzemolo

1 rametto di menta e 2 di basilico

Olio extravergine di oliva

Sale e pepe

 

Procedimento

Lavare, asciugare i pomodori per poi tagliarne la cima a circa due terzi della loro altezza.

Svuotare con l’aiuto di un cucchiaino i pomodori raccogliendo la polpa in una ciotola, avendo cura di non bucarli. Lasciare, poi, i pomodori capovolti ad asciugare.

Frullare la polpa di pomodoro e aggiungere l’aglio pulito, privato dell’anima e tritato finemente. Aggiungere anche il basilico, la menta e il prezzemolo puliti e spezzati con le mani.

Aggiungere al pomodoro condito il riso crudo dopo averlo sciacquato sotto acqua corrente. Condire con olio, sale e pepe e lasciare insaporire il tutto per una buona mezz’ora.

Stendere un foglio di carta da forno in una teglia e disporre i pomodori avendo cura di riempirli per bene con riso e pomodoro. Coprire, infine, ogni pomodoro con la sua parte mancante tagliata in precedenza.

Passare un giro d’olio sui pomodori e cuocere in forno caldo a a 180 gradi per circa un’ora.

La morbida cremosità dello yogurt greco alla vaniglia che nutre e avvolge senza grassi

Ottenuto per colatura dalla fermentazione naturale di latte greco a filiera certificata, lo Yogurt greco 0% grassi alla vaniglia della linea Ohi Vita è ideale a colazione e come dessert nei momenti di pausa. Unendo la ricchezza nutrizionale di proteine, calcio e vitamine al gusto aromatico e avvolgente della vaniglia.

 

Perché la sua golosa cremosità senza l’apporto calorico dei grassi è un’ottima fonte di proteine, che lo rendono un alimento dallelevato potere nutriente, capace di generare un appagante senso di sazietà. I fermenti lattici presenti nello yogurt greco promuovono inoltre la buona funzionalità dellintestino, favorendo l’equilibrio del microbiota, a vantaggio del benessere complessivo e del rafforzamento delle nostre difese immunitarie.

 

Senza dimenticare che, come fonte di Vitamine del gruppo B, soprattutto la Vitamina B12, e di Sali minerali come calcio e magnesio, lo yogurt greco può promuovere la corretta funzionalità del sistema nervoso e del metabolismo.

 

Grazie ai suoi fermenti lattici, lo yogurt rappresenta un alimento che offre numerosi benefici per il nostro organismo, per la sua facile digeribilità e la ricchezza nutrizionale.

 

 Lo yogurt greco, nello specifico, si distingue per l’esperienza gratificante del gusto che garantisce e per una ricca cremosità che soddisfa e sazia a fronte di un apporto calorico contenuto.

 

È il ripetuto processo di colatura attraverso il quale viene prodotto lo yogurt greco a determinare il suo profilo sensoriale e nutrizionale: alla ridotta componente liquida corrisponde infatti un contenuto maggiore di proteine e inferiore di sodio e lattosio, ma soprattutto quella consistenza ricca a cui è legato il grande successo di questo alimento.

 

La curiosità è che lo yogurt che conosciamo come greco, in realtà, è un alimento dalla storia millenaria che non ha origini elleniche, bensì balcaniche, in quanto deriva dalla tradizione gastronomica bulgara. Lo yogurt, inventato dagli antichi popoli nomadi dellAsia, che scoprirono un po per caso che il latte conservato in otri ricavate dalle pelli degli animali fermentava, presto si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo grazie ai commercianti Fenici ed Egizi, e da allora si svilupparono diversi metodi di produzione. Oggi lo yogurt greco è diventato un ingrediente base nella cucina ellenica, da consumare da solo, ma anche in tantissime preparazioni dolci e salate. Si sposa molto bene con le verdure, con la carne di pollo, con il pesce, e, nei dessert, con il miele, le amarene e le fragole.

 

Lo yogurt, come alimento che offre un’esperienza di gusto e di benessere nel segno della naturalità, può essere consumato anche tutti i giorni, a colazione o come spuntino, nell’ambito di una dieta equilibrata e completa. Secondo gli studi di alcuni ricercatori canadesi, infatti, consumare yogurt abitualmente rappresenta unottima consuetudine a favore di uno stile di vita sano e per colmare eventuali carenze nutrizionali di calcio e vitamine del gruppo B. Inoltre la semplicità del suo processo di produzione, caratterizzato da bassissime emissioni climalteranti, lo rende un alimento a ridotto impatto ambientale.

 

Lo Yogurt greco 0% grassi alla vaniglia Ohi Vita è prodotto con latte 100% greco a Km 0, proveniente dalle fattorie che si trovano sulle colline della città di Drama, nella Grecia settentrionale, secondo il metodo tradizionale della colatura, vasetto per vasetto. E tutte le fasi del processo produttivo, dalle materie prime alla distribuzione, sono tracciabili e rigorosamente monitorate sul piano della sicurezza alimentare e della qualità, fino alla sua distribuzione con una logistica sempre più snella ed efficiente, a garanzia della freschezza e dell’integrità del prodotto.

Pasta con fagiolini, ricotta e pomodorini freschi: un piatto nutriente e saporito per la bella stagione

L’arrivo della stagione calda segna il trionfo di quelli che siamo abituati a chiamare “piatti unici”, pietanze squisite che, unendo insieme vari alimenti, sono ideali per garantire un apporto equilibrato di energia e soprattutto semplici e veloci da preparare, anche quando il tempo da dedicare alla cucina non è molto.

Tra i piatti unici primaverili, la pasta con fagiolini, ricotta e pomodori freschi è uno dei più gustosi per la consistenza cremosa e il felice incontro di ingredienti che si abbinano in un trionfo di sapori davvero indovinato e stuzzicante. Carboidrati, fibre, vitamine e proteine: a questo piatto non manca proprio nulla per essere ricco e salutare.

 

Ingredienti per 4 persone:

320 g di spaghetti (ma va bene anche la pasta corta, se preferita)
400 g di fagiolini bio Ohi Vita
10 pomodorini ciliegini

100 g di ricotta di pecora
1/2 cipolla rossa

sale q b
olio evo q b
basilico fresco

due cucchiai di grana padano grattugiato

 

Preparazione:  

Stufare in un tegame la cipolla tritata con un po’ di olio. Con un frullatore a immersione o col mixer preparare una salsa aggiungendo buona parte dei fagiolini Ohi Vita, scolati e velocemente sciacquati per privarli dell’acqua di conservazione, il formaggio grattugiato, la ricotta, il sale, il basilico, e l’olio extra vergine di oliva. Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata, e, una volta scolati, porli nel tegame con la cipolla stufata, aggiungere la salsa, i fagiolini interi messi da parte e i pomodorini tagliati a metà, facendo saltare il tutto a fuoco dolcissimo. Servire caldo con qualche fogliolina di basilico a decorare ciascun piatto. E se ne avanza un po’? La pasta fagiolini ricotta e pomodorini è ottima anche consumata fredda.

 

Buon appetito!

Mangiare bene per un buon riposo e dormire abbastanza per non eccedere a tavola: il legame tra sonno e alimentazione

Sono 9 milioni gli italiani che lamentano problemi di insonnia, mentre uno su tre dorme un numero insufficiente di ore: i dati resi noti dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in un recente studio pubblicato su Scientific Reports descrivono la diffusione di disturbi legati al sonno. Eppure la qualità del riposo notturno è uno dei fattori decisivi per il nostro benessere psicofisico, poiché incide su memoria, concentrazione e qualità delle prestazioni quotidiane, ma anche sul buon funzionamento del sistema immunitario e di quello cardio-vascolare. Non solo, un sonno insufficiente e/o disturbato può anche causare alterazioni dell’umore, ansia, e depressione.

 

Posto che in presenza di una stanchezza spossante prolungata (astenia) o di una accentuata sonnolenza diurna, occorre rivolgersi ad uno specialista, è importante comunque sapere che un valido aiuto per combattere l’insonnia può provenire anche dalle nostre scelte alimentari.

 

In effetti, il rapporto dieta e qualità del riposo è molto più stretto di quanto non si pensi. Ed agisce in entrambe le direzioni,

 

se mangiare bene può aiutare a dormire bene, un buon sonno aiuta a compiere scelte alimentari corrette, a tutto vantaggio del benessere e della forma fisica.

 

Una ricerca dell’Università di Pittsburgh, presentata all’American Heart Association’s Epidemiology, Prevention, Lifestyle & Cardiometabolic Health Scientific Sessions 2023 ha infatti rivelato come “concentrarsi su un buon sonno, dalle sette alle nove ore di notte con un orario regolare può essere un fattore importante che aiuta a rispettare gli obiettivi in fatto di attività fisica e alimentazione”, confermando che i disturbi del sonno costituiscono un significativo fattore di rischio per obesità.

 

L’effetto “dimagrante” del sonno è legato alla produzione di quegli ormoni che definiscono l’equilibrio fame-sazietà che limita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress, responsabile della fame nervosa. Se la notte non riposiamo abbastanza, accadrà che durante il giorno saremo più stanchi, più inquieti e più affamati e dunque più attratti dal cosiddetto comfort food, molto più ricco di grassi e zuccheri, che certo non giova al benessere del nostro organismo.

 

Ma vale anche il contrario, ovvero quello che mettiamo in tavola può contribuire a decidere della qualità del nostro sonno, perché ciò che mangiamo influirà sulla nostra disposizione a riposare bene e secondo il giusto numero di ore.

Il parere dei nutrizionisti consiste dunque nell’evitare o limitare il consumo di alcolici, di caffè e di cibi troppo elaborati e non facilmente digeribili nel pasto serale, mentre sono sempre consigliati i cereali integrali, i legumi, il pesce, la verdura e la frutta di stagione e, come condimento, l’olio extravergine di oliva soprattutto a crudo.

Esistono poi alcuni cibi che, in quanto ottime fonti di Sali minerali, vitamine e triptofano, rivelano la spiccata proprietà di disporci al buon sonno. Come, per esempio, le banane (fonti di magnesio, potassio, vitamina B e triptofano); i pistacchi e le mandorle (ricchi di magnesio e facilitatori della produzione melatonina, l’ormone che regola il ritmo sonno-veglia); i semi oleosi come quelli di zucca (magnesio e triptofano) e di sesamo (triptofano).

 

Prima di andare a dormire, anche una bella tazza di tisana calda o un bicchiere di latte caldo possono favorire un riposo di qualità.

La linea Ohi Vita, pensata per rispondere alla domanda di benessere di chi la sceglie, propone la Tisana Relax Ohi Vita, a base di camomilla, melissa, passiflora biancospino e malva, un mix di piante officinali pensato per offrire un riposo tranquillo e sereno, grazie alle proprietà rilassanti, sedative e carminative dei suoi singoli componenti; e la Camomilla con Melatonina Ohi Vita, che unisce le virtù dell’estratto solubile di camomilla a quelle della melatonina, una sostanza naturalmente presente nel nostro organismo, in una bevanda gradevole e profumata che favorisce il relax serale e un sonno regolare e riposante.

Buone, versatili e più leggere: tutto il gusto del formaggio in pratiche fettine

Il gusto del formaggio subito disponibile in fettine che consentono di preparare in modo semplice e veloce sfiziose ricette e spuntini gustosi per tutte le età. Con 9 grammi di grassi per 100 grammi di prodotto, le Fettine Light Ohi Vita contengono infatti il 50% di grassi in meno rispetto alla media dei prodotti similari più venduti.

 

Tutto il gusto del formaggio unito al latte rende queste fettine leggere e a ridotto contenuto di grassi, adatte per una merenda come per arricchire in modo gustoso ogni preparazione preferita.

 

La quantità di proteine del latte, caseine e sieroproteine, presenti nelle Fettine Light sono, infatti, bilanciate con una componente di grassi ridotta, in un formato pratico, versatile e gustoso pensato per tutte le esigenze.

 

Una storia antica quella trasformazione del latte in formaggio: un bassorilievo ritrovato a Ur e risalente al III millennio a.C. rappresenta la prima fonte documentale della pratica della caseificazione. Chiamato il “Fregio del latte”, in esso i Sumeri descrissero le tecniche usate dai sacerdoti per produrre formaggio. Formaggio deriva dalla parola greca formos, che indicava il paniere di vimini nel quale veniva riposto il latte cagliato per dargli forma. L’arte casearia poi si sviluppò e perfezionò nei secoli, con pratiche e tradizioni differenti, ma sempre costanti sono rimasti gli elementi di base: latte, sale, calore, caglio.

 

Fu, poi, Lucio Giunio Moderato Columella, contemporaneo di Seneca, nel trattato De re rustica a dedicare un intero capitolo al formaggio, De caseo faciendo, in cui descrive il procedimento più adatto per le diverse tipologie e qualità di formaggi. A partire dall’uso esclusivo di latte “sincero e freschissimo”, e specificando che “conviene coagulare il latte con caglio di agnello o di capretto, quantunque si possa anche rapprendere col fiore di cardo silvestre o coi semi del cartamo e col latte di fico, che l’albero emette se si ferisce la sua corteccia verde. In ogni modo il cacio migliore” è quello che viene prodotto con il “minimo possibile di medicamento; e il minimo di caglio che una coppa di latte può ricevere è il peso di un denaro d’argento”.

 

Nell’antichità si produceva solo formaggio molle, realizzato soprattutto con latte caprino, oppure misto, ovino e caprino. È stata la diffusione degli allevamenti bovini nei monasteri e nelle abbazie a favorire la produzione dei formaggi vaccini e insieme il perfezionamento delle pratiche casearie e di stagionatura dei formaggi.

 

Sono proprio le pratiche produttive e le materie prime che giocano, quindi, un ruolo decisivo anche nella produzione delle Fettine Light Ohi Vita. Materie prime che vengono selezionate con cura, ingrediente per ingrediente coniugando l’aspetto artigianale con le più avanzate tecnologie alimentari, nel segno della tradizione gastronomica italiana.

 

Una filiera rigorosamente certificata in tutte le sue fasi a cui si aggiungono analisi accurate da parte di laboratori interni ed esterni all’azienda, con migliaia di test effettuati ogni anno per garantire la salubrità e la sicurezza di tutti i prodotti: la competenza derivata da 70 anni di attività si arricchisce delladesione ai più elevati standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale. Si tratta di standard che riguardano gli ambienti di lavoro, i fornitori della materia prima, il prodotto, il processo, il personale addetto alla produzione, così come il posizionamento del sito produttivo e l’accumulo, la raccolta e l’eliminazione del materiale di rifiuto, in una logica di sostenibilità che si estende a tutte le fasi e a tutti gli attori della filiera produttiva.

 

In sostanza, la cura nella selezione delle materie prime, insieme al rispetto dei più stringenti parametri igienico-sanitari, garantiscono alle Fettine Light della linea Ohi Vita la massima qualità produttiva.

22 maggio 2023: Giornata mondiale della biodiversità. Il futuro fragile della natura è nelle nostre mani

I Paesi dell’Onu hanno concordato alla Cop15 sulla biodiversità di Montreal dello scorso dicembre di rendere area protetta il 30% del territorio e dei mari entro il 2030. Oltre che di stanziare 30 miliardi di dollari all’anno per aiutare i paesi in via di sviluppo nella tutela della natura, di risanare il 30% degli ecosistemi degradati e di dimezzare il rischio legato ai pesticidi. Al momento sono aree protette il 17% delle terre e l’8% dei mari.

 

Con queste recenti premesse e promesse, il 22 di maggio si celebra la Giornata della Biodiversità, istituita dall’ONU per sensibilizzare l’opinione pubblica attorno ai temi della vita e della varietà  sul nostro pianeta.

 

La data è stata scelta per ricordare l’anniversario della firma della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), trattato internazionale firmato nel 1992 in occasione del Summit della Terra di Rio de Janeiro.

 

Che cos’è la biodiversità

Il termine biodiversità (traduzione dall’inglese biodiversity, a sua volta abbreviazione di biological diversity) è stato coniato nel 1988 dall’entomologo americano Edward O. Wilson. Secondo Ispra, la biodiversità “può essere definita come la ricchezza di vita sulla terra: i milioni di piante, animali e microrganismi, i geni che essi contengono, i complessi ecosistemi che essi costituiscono nella biosfera”. Una varietà che include “anche la diversità intesa come abbondanza, distribuzione e interazione tra le diverse componenti del sistema. In altre parole, all’interno degli ecosistemi convivono ed interagiscono fra loro sia gli esseri viventi sia le componenti fisiche ed inorganiche, influenzandosi reciprocamente. Infine, la biodiversità arriva a comprendere anche la diversità culturale umana”. La biodiversità, quindi, esprime il numero, la varietà e la variabilità degli organismi viventi e come questi varino da un ambiente a un altro nel corso del tempo.

 

Il quadro della situazione

Il declino degli ecosistemi nel mondo ha raggiunto le dimensioni di una vera catastrofe: spiega il WWF come “l’impatto del genere umano su tutte le altre forme di vita sia arrivato ad accelerare tra le 100 e le 1.000 volte il tasso di estinzione naturale delle specie”. Ci resta il 12,5% della foresta atlantica, abbiamo perso più del 50% delle barriere coralline e una vastissima porzione della foresta amazzonica (probabilmente il 20% se non di più) è stata distrutta”.

 

Segnali di fragilità evidenti anche in Italia, dove la biodiversità raggiunge valori elevatissimi: contiamo metà delle specie vegetali e circa 1/3 di tutte le specie animali presenti in Europa.   Dalle Liste Rosse nazionali della flora dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) emerge che, “in Italia circa l89% degli habitat di interesse comunitario si trova in uno stato di conservazione sfavorevole. Il 68% degli ecosistemi italiani si trova in pericolo, il 35% in pericolo critico. Il 100% degli ecosistemi è a rischio nell’ecoregione padana, il 92% in quella adriatica e l’82% in quella tirrenica”. Inoltre, “Il 57% dei fiumi e l80% dei laghi si trova in uno stato ecologico non buono. E i dati sullo stato di conservazione delle specie non sono meno allarmanti: il 30% delle specie di animali vertebrati e il 25% delle specie animali marine del Mediterraneo sono a rischio estinzione.

 

L’edizione 2023

Il tema della Giornata internazionale per la diversità biologica 2023 è una chiamata all’azione: Build Back Biodiversity (Ricostruire la biodiversità). E fa riferimento proprio agli accordi della Cop15 sulla biodiversità di Montreal dello scorso dicembre che, ora, devono passare all’azione per mettere in atto tutto quanto è stato previsto entro il 2030. Il tema mostra la strada di come la biodiversità possa essere l’unica risposta possibile alle numerose sfide che tutti noi dobbiamo affrontare in termini di sviluppo sostenibile. Anche per rispettare gli impegni previsti dall’Obiettivo 15 dell’Agenda ONU 2030, ovvero: Proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e invertire il degrado dei suoli e fermare la perdita di biodiversità.

 

Con il 2023, che segna la metà del percorso dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, è giunto il momento di agire con urgenza. Il rapporto del Segretario generale ONU Guterres, pubblicato alla fine di aprile, avverte proprio come solo il 12% degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) sia sulla buona strada. Il rapporto chiede a tutti i Paesi, anche in occasione della Giornata per la biodiversità,  “di impegnarsi per porre fine alla guerra alla natura, esortandoli a sostenere l’Agenda per l’azione sul clima e a realizzare il nuovo quadro globale per la biodiversità”.

Api e biodiversità: la Giornata mondiale delle api 2023 e il progetto CittaslowBee

Fondamentali per la vita e l’equilibrio degli ecosistemi: sono gli insetti impollinatori, e, tra loro, il ruolo da protagonista spetta alle api, per la preziosa azione che svolgono a favore sia delle piante da fiore selvatiche sia delle colture agrarie. Per ricordare la loro importanza per la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità, il 20 maggio si celebra la Giornata mondiale delle api, istituita dall’Onu nel 2017.

 

E quest’anno Cittaslow, la “Rete Internazionale delle città del buon vivere” per la promozione di uno sviluppo locale sostenibile, per la riqualificazione dei territori e per la tutela dell’ambiente, che raccoglie 88 città italiane dal Nord a Sud partecipa alla Giornata con il progetto “CittaslowBee”, una iniziativa patrocinata dal Ministero della Transizione Ecologica e con il sostegno delle Città del Miele.

 

A livello globale circa un terzo della produzione agricola a scopo alimentare dipende dall’azione degli impollinatori, mentre in Europa più dell’80% delle specie coltivate necessita dell’impollinazione degli insetti e oltre 4.000 differenti specie vegetali si riproducono grazie alle api, che volando di fiore in fiore trasportano il polline anche a chilometri di distanza.

Ma purtroppo la loro esistenza è sempre più minacciata da un insieme di fattori, tra cui soprattutto l’inquinamento ambientale e il largo uso di pesticidi e diserbanti chimici in agricoltura. Le api, infatti, sono molto sensibili a queste sostanze, che raccolgono insieme col polline o col nettare per portarle nel loro nido, dove si accumulano per diventare il nutrimento per le larve, interferendo con il loro ciclo vitale.

“Salute delle api, Salute dell’ambiente”, come slogan della Giornata delle api di quest’anno, sta a ricordarci efficacemente il ruolo di agente e sentinella ambientale che le api svolgono ogni giorno. E che ogni giorno ciascuno di noi può impegnarsi per favorire.

 

Nasce proprio da qui CittaslowBee. “Mentre tutti parliamo di grandi temi a livello globale come il green deal e la next generation –  spiega il presidente di Cittaslow, Mauro Migliorini -, come sindaci e cittadini delle Cittaslow abbiamo voluto dare subito un contributo concreto, impegnandoci nella difesa delle api”.

Si tratta di un “progetto aperto”, fatto di tante azioni concrete e diffuse, rivolte alle Amministrazioni e ai cittadini: “un documento che contiene suggerimenti tecnici e operativi per le pubbliche amministrazioni e indicazioni di comportamento per i cittadini – aggiunge Pier Giorgio Oliveti, Segretario Generale Cittaslow -. Uno strumento concreto, che riporta ad esempio l’elenco delle piante mellifere indicate per la piantumazione di parchi urbani e aree pubbliche. Oppure, per i cittadini, le modalità di prendersi cura di giardini e balconi fioriti. E ancora agli agricoltori vengono suggerite le buone pratiche per aumentare l’abbondanza degli impollinatori, sia domestici che selvatici”.

 

Qualche esempio? L’apiario di comunità realizzato a Parrano, piccolo comune nella provincia di Terni, che fa parte anche della rete Comuni Amici delle Api, nata nell’ambito della CooBEEration Campaign, campagna di sensibilizzazione sul valore dell’Apicoltura come Bene Comune, dato il ruolo che le api svolgono per la tutela della biodiversità, della sicurezza alimentare e dello sviluppo locale sostenibile. E ancora, la creazione del sentiero degli impollinatori a Usseglio, in provincia di Torino: un corridoio ecologico creato ad hoc per gli insetti impollinatori, con stazioni di polline, vasi di fiori e piante mellifere posti ogni 250 metri su tetti o balconi, aiuole, parchi o giardini. Rientrano nel progetto CittaslowBee anche le case per api naturali, che si trovano ad Acquapendente, nella Riserva Naturale Monte Rufeno della Regione Lazio; l’oasi di biodiversità di Asolo, in provincia di Treviso, con i suoi 8 ettari di bosco, in cui si possono trovare castagneti secolari, alberi da frutto selvatici, vitigni e ulivi antichi; e ancora, il giardino delle api a Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna, dove si trova anche la sede dell’Osservatorio Nazionale Miele, e dove l’obiettivo è la realizzazione di una vera e propria “pista delle api” con piante mellifere come salice, tiglio, rosmarino, lavanda, ginestra, tamerici, rosa, salvia, timo, origano, santoreggia, erba cipollina e girasole.

 

Nella Giornata mondiale delle api 2023, la straordinaria cultura del miele, che attraversa da Nord a Sud il nostro Paese – l’unico che ne produce ben sessanta varietà in base alle piante da cui le api si procurano il polline -, può rappresentare davvero un presidio concreto a difesa di questi preziosi insetti. A cui Città della Pieve, Cittaslow in provincia di Perugia e Comune amico delle api, ha deciso di dedicare anche un monumento celebrativo, una stele simbolica che stia sempre lì a ricordarci l’importanza di questi insetti e la necessità di proteggerli e fermare la distruzione degli ecosistemi.

 

Facile come cucinare un uovo sodo. Sicuri? Segreti, trucchi e curiosità di un alimento per nulla banale

Perché quando prepariamo le uova sode il tuorlo non è più esattamente al centro dell’albume come quando sono crude?

 

Per il principio di Archimede: “un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari alla forza-peso del volume del liquido spostato”. Il che significa, semplicemente, che il tuorlo dell’uovo, composto per il 55% da acqua e poi da grassi e proteine è più denso dell’albume che è composto invece per l’87% da acqua. Quindi, in sostanza, accade che in cottura venga spinto verso l’alto in base proprio al principio di Archimede e risulti, una volta sodo, fuori centro. Per la verità, per annullare questo effetto e centrare il tuorlo per bene basta, ogni tanto, rotolare l’uovo nella casseruola durante la cottura.

 

E, poi, è nato prima luovo o la gallina? Oggi abbiamo la risposta a questo eterno dilemma: l’uovo esiste da ben prima della comparsa degli uccelli. Le prime uova al mondo risalgono infatti alla specie dei rettili, vissuti circa 350 milioni di anni fa mentre le prime tracce di uova di uccello risalgono a circa 200 milioni di anni fa.

 

Insomma, l’uovo, nella sua perfezione, è un alimento pieno di proprietà e di gusto che, soprattutto quando è sodo, diventa un ingrediente di tantissime ricette, sia dolci che salate.

Il suo uso in cucina risale a tempi antichi, già gli Egizi erano soliti nutrirsi delle uova dei volatili da cortile. Quelle sode, in particolare, erano alimenti ben presenti sulle tavole dellAntica Roma e venivano servite come antipasto. Ma anche che le uova siano importanti per la salute del nostro organismo lo scopriamo molto presto: secondo il padre della medicina occidentale Galeno, vissuto nel Secondo secolo d.C, un uovo non deve mai mancare nella dieta, soprattutto degli anziani.

 

E l’uovo di Colombo?

Si narra che al rientro dal suo primo viaggio in America, Cristoforo Colombo venne deriso da alcuni nobili spagnoli che volevano sminuire l’impresa compiuta. Lui lì sfidò a mettere un uovo diritto su un piano. Nessuno vi riuscì, tranne lui, che diede un piccolo colpo alluovo per incrinarne leggermente il guscio e metterlo in perfetto equilibrio. Tutti avrebbero potuto trovare un modo per farlo, ma solo lui fu unico a riuscirci, proprio come solo lui fu l’unico a scoprire un nuovo continente. Anche se oggi possiamo dire che la prova di Colombo è stata possibile grazie alla resistenza delle uova che, malgrado abbiano un guscio molto sottile, possono sopportare la pressione di diversi chili.

 

Si pensa che cucinare un uovo sodo sia una delle preparazioni più facili in cucina, eppure spesso ci accorgiamo che non escono esattamente come le vorremmo. Questo, perché prima di tutto per preparare un uovo sodo perfetto, bisogna conoscere almeno questi 5 segreti…

 

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È fondamentale scegliere un prodotto di qualità: le uova devono essere fresche. Meglio se ricche di proteine nobili, ideali da fare sode e non solo, come le uova biologiche Ohi Vita che sono al 100% italiane, con filiera certificata e da galline allevate a terra, senza luso di antibiotici.

 

2

Siete abituati a conservare le uova in frigo? Tiratele fuori almeno 15 minuti prima di iniziare la preparazione per consentire loro di recuperare la temperatura ambiente ed eviterete così che il guscio si rompa in cottura per lo shock termico.

3

Un cucchiaino di aceto non guasta. Da aggiungere all’acqua prima di accendere il fornello, contribuisce a rendere più compatto l’albume impedendogli di fuoriuscire nel caso che il guscio si crepi in cottura. Così come un pizzico di sale, che contribuisce a rassodare gli albumi ancora più velocemente.

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La cottura. Per preparare le uova sode, immergerle in un pentolino con tanta acqua fredda quanto basta a coprirle. Mettere sul fuoco e portare a bollore, poi calcolare 7 minuti a fuoco moderato di cottura se piace il tuorlo cremoso e 9 minuti se piace compatto.

 

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Una bacinella d’acqua fredda. Per sbucciare le uova sode ancora calde, meglio farlo all’interno dell’acqua fredda: si evita, così, che la pellicina resti attaccata al guscio staccando parte della polpa durante l’operazione.

Sua eccellenza la cucina italiana? Un patrimonio dell’umanità

Presentata all’Unesco dal governo italiano, la candidatura ufficiale della cucina italiana a patrimonio dellumanità è “un insieme di pratiche sociali, riti e gestualità basate sui tanti saperi locali che, senza gerarchie, la identificano e la connotano. Questo mosaico di tradizioni riflette la diversità bioculturale del Paese e si basa sul comune denominatore di concepire il momento della preparazione e del consumo del pasto come occasione di condivisione e di confronto”.

 

Un patrimonio di riti, saperi, gestualità e pratiche sociali che anche Coldiretti identifica censendo i 5450 tesori gastronomici del Made in Italy, specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni. Una mappa dei sapori, della tradizione e della cultura della tavola che tocca grandi città e piccoli borghi dove nasce il 92% delle produzioni tipiche nazionali. E che, come rivela l’indagine Coldiretti/Symbola: “Spinge a tavola 1/3 della spesa turistica, alla scoperta di un Paese come l’Italia che è l’unico al mondo che può contare su primati nella qualità, nella sostenibilità ambientale e nella sicurezza della propria produzione agroalimentare.

 

Dietro ogni prodotto c’è una storia, una  cultura e una tradizione che sono rimaste vive nel tempo ed esprimono al meglio la specificità di ogni territorio.

 

In Italia cucinare è un modo di prendersi cura della famiglia e degli amici (quando lo si fa in casa) o degli avventori (quando lo si fa al ristorante). È un mosaico di tanti saperi locali, unespressione di creatività e conoscenza che si fa tradizione e si trasmette tra generazioni. È anche una forma di tutela della biodiversità, basata sul non sprecare nulla, sul riutilizzo del cibo avanzato e sui prodotti stagionali dei vari territori. La cucina italiana fa parte della nostra storia ed è un patrimonio per 60 milioni di italiani che vivono nel Paese, per 80 milioni di italiani e loro discendenti che vivono al di fuori del Paese e per tanti stranieri che amano e si ispirano allo stile di vita italiano.

 

Alla base del successo del Made in Italy c’è anche un’agricoltura che è diventata la più green d’Europa con 80mila operatori nel biologico, il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (319), 526 vini Dop/Igp.

 

La candidatura è stata promossa da Collegio Culinario, Fondazione Casa Artusi, La Cucina Italiana, Accademia italiana della Cucina mentre la scrittura del dossier è stata portata a termine a cura di Pier Luigi Petrillo, professore della Luiss, che già ha curato i riconoscimenti Unesco delle Dolomiti, del Prosecco Superiore di Conegliano, della Dieta mediterranea, dell’Arte dei pizzaiuoli napoletani. La procedura di valutazione dovrebbe concludersi al massimo entro dicembre 2025. Ha spiegato il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano: “Da parte mia ci sarà tutto il sostegno, perché promuovere la cucina italiana significa promuovere l’idea di qualità della vita e del vivere italiano che è fatto di arte, di cultura, di paesaggi, di monumenti, ma anche di esperienze come quelle delle eccellenze alimentari”.