Soltanto in Italia sono 700mila le tonnellate annue di scarti derivati dalla filiera degli agrumi (a livello globale le stime raggiungono i 47 milioni di tonnellate), mentre nel 2030 le batterie al litio non riciclate potrebbero raggiungere gli 11 milioni di tonnellate. Ma la buona notizia è che dagli scarti degli agrumi può arrivare un aiuto prezioso per riciclare le batterie esauste e trovare così, in un colpo solo, una soluzione a due problemi.
Grazie a ricerca e innovazione tecnologica applicata, ma anche creatività e coraggio di sperimentare, due importanti progetti pilota stanno indicando come gli scarti degli agrumi rappresentino un “ingrediente” indispensabile per progettare stazioni di riciclo delle batterie con elevate performance e un basso impatto ambientale.
Sono infatti due i gruppi di ricercatori – uno in Giappone, presso la Nanyang Technological University a Singapore, e uno in Puglia, riunitosi nella start up foggiana AraBat – che, con procedimenti differenti, stanno lavorando allo sviluppo di quella che si chiama “idrometallurgia verde”, una delle nuove e molto interessanti frontiere aperte dall’economia circolare.
La questione del recupero delle batterie esauste e dei metalli preziosi, come litio, nichel, manganese e cobalto che contengono, è una delle questioni più attuali e più urgenti sul tavolo di tutti i paesi, soprattutto europei, per diversi motivi: da un lato, le batterie esauste sono rifiuti tossici che devono essere smaltiti con grande attenzione; dall’altro, contengono quelle cosiddette materie prime critiche, come appunto il litio, che sono sempre più necessarie per la de-carbonizzazione, ma che devono essere quasi totalmente importate, con costi sempre più elevati.
Ed ecco che la nuova tecnologia “circolare” messa a punto con gli scarti di agrumi può contribuire a dare una risposta a entrambe le necessità, nel segno della sostenibilità ambientale. In base a questa procedura, gli acidi inorganici comunemente usati nel processo di riciclo, tutti prodotti chimici dal forte impatto sull’ambiente, vengono infatti sostituiti con l’acido citrico presente negli agrumi. Impiegarlo insieme alle bucce essiccate e ridotte in polvere, ricche di cellulosa e di antiossidanti naturali, costituisce un’ulteriore opportunità di miglioramento del processo di recupero dei metalli. Si possono ricavare così carbonato di litio, idrossido di cobalto, manganese e di nichel a elevata purezza.
Realizzare stazioni di riciclo fondate su questo procedimento rientra pienamente nella strategia di Urban mining (lett. “estrazione urbana”), che permette di ricavare risorse dall’enorme quantità di rifiuti prodotti dalle nostre città e dalle diverse filiere produttive, riducendo l’impatto ambientale dell’attività estrattiva e riducendo anche l’impronta ambientale dell’attività di recupero.
Con il progetto della start up foggiana, si rivela dunque un’altra fruttuosa opportunità di impiego degli scarti e dei residui della filiera degli agrumi, che va ad aggiungersi a quella nel campo del tessile, con il tessuto Orange fiber, così come in agricoltura per la produzione di fertilizzanti e concimi, o ancora nel settore farmaceutico, per ricavare composti bioattivi come i polifenoli. Senza dimenticare che ci potrebbe anche capitare di bere una spremuta d’arancia in un bicchiere fatto proprio con le sue bucce. Perché, una volta essiccate, polverizzate e miscelate con un biopolimero di origine vegetale possono essere utilizzate anche per produrre oggetti in bio-plastica, da smaltire nell’organico.