Bevi che ti passa: secondo una ricerca americana l’acqua è la prima alleata del nostro benessere

“Una corretta idratazione può rallentare l’invecchiamento e prolungare la vita senza malattie”: è questa la conclusione a cui giunge uno studio del National Institutes of Health USA pubblicato su eBioMedicine di Lancet. La ricerca è stata condotta su un campione di 11.255 persone che nel corso di 30 anni sono state sottoposte a visite periodiche per monitorare il loro stato di salute.

Il risultato ha dimostrato come chi beve poca acqua vada soggetto a un invecchiamento più precoce e abbia più probabilità di sviluppare malattie croniche, soprattutto di natura cardiocircolatoria.

Tutto dipende dalla quantità di sodio nel sangue, che è più elevata in chi beve meno con le conseguenze negative per la salute che ne derivano. Se consideriamo che l’acqua è il costituente principale del nostro organismo, superando il 60% del nostro peso corporeo, è facile rendersi conto come una buona idratazione promuova il buon funzionamento dei nostri processi organici e metabolici.

 

Una corretta idratazione contribuisce a regolare la temperatura corporea, a rinforzare le difese immunitarie, a depurare l’organismo, a ridurre la sensazione di fatica e di stanchezza, a stimolare il metabolismo.

 

In particolare, lo studio americano ha valutato la correlazione tra i livelli di sodio e l’invecchiamento biologico, attraverso 15 marcatori di salute, come la pressione del sangue, il colesterolo e la glicemia, che fornivano indicazioni sul funzionamento del sistema cardiovascolare, respiratorio, metabolico, renale e immunitario di ogni persona.  I soggetti con livelli più elevati di sodio nel sangue mostravano con maggiore probabilità segni di invecchiamento biologico più rapido e avevano un rischio dal 15 al 50% più alto di presentare una età biologica superiore a quella anagrafica.

Inoltre, presentavano un aumento del 21% del rischio di morte prematura rispetto a chi aveva quantità di sodio nella norma. Infine, avevano un rischio fino al 64% maggiore di sviluppare malattie croniche come l’insufficienza cardiaca, l’ictus, la fibrillazione atriale e le malattie delle arterie periferiche, oltre a malattie polmonari croniche, diabete e demenza senile.

Bere acqua insomma si rivela una delle migliori pratiche di benessere e di prevenzione che possiamo mettere in atto, a costo praticamente zero.

 

Ma quanta acqua dobbiamo bere?

La quantità minima consigliata al giorno è di almeno un litro e mezzo al giorno, l’equivalente di 6 bicchieri, per raggiungere in condizioni ottimali i 2/2,5 litri. Tuttavia, lo studio ha evidenziato come solo una persona su due segua questa abitudine salutare, così fondamentale per il nostro benessere.

È pur vero che i liquidi che introduciamo nel nostro organismo non provengono soltanto dall’acqua che beviamo, ma dipendono anche dalla nostra dieta complessiva, per cui un’alimentazione che preveda le cinque porzioni raccomandate di frutta e verdura può aiutarci a integrare la giusta quantità di acqua quotidiana.

Tradizioni e saperi antichi in un infuso intenso che unisce le migliori proprietà di zenzero e curcuma

Dal particolare e inconfondibile sapore speziato, zenzero e curcuma assieme sviluppano specifiche proprietà benefiche, esaltate dalla combinazione degli ingredienti. In un mix intrigante con lemongrass, pezzetti di mela e scorza di limone, zenzero e curcuma dispiegano, infatti, il loro gusto speziato e le loro proprietà antinfiammatorie e antiossidanti in un infuso dal gusto deciso e molto energizzante.

 

I principi attivi dello zenzero sono contenuti nel rizoma, ovvero nella radice che sviluppa, tra l’altro, oli essenziali e composti antiossidanti in grado di svolgere una buona azione antiossidante e antinfiammatoria. Utile per il trattamento della nausea, anche in gravidanza, lo zenzero esplica, inoltre, una buona azione gastroprotettrice. Mentre la curcuma può essere proficua per depurare lorganismo ed è anche un buon antiossidante grazie, soprattutto, al principio attivo della curcumina in grado di contrastare l’invecchiamento cellulare.

 

Tradizioni e saperi antichi si incontrano nell’infuso per mettere a disposizione, in modo semplice e piacevole, i preziosi principi attivi di erbe officinali, impiegate da secoli, e presso popoli diversi, con scopi curativi. Presso alcune popolazioni dell’India, lo zenzero è ritenuto così benefico da essere perfino trattato in forma di pasta che, se applicata su fronte e tempie, può alleviare i dolori di testa e alcuni mali stagionali come il raffreddore.

 

In Cina consumano bevande a base di zenzero per le stesse ragioni, oltre che come digestivo, mentre in Congo, schiacciato e mescolato con la linfa dell’albero del mango, lo zenzero diventa una sorta di panacea per tutti i mali.

 

Anche la curcuma, come lo zenzero, è una pianta erbacea della famiglia delle Zingiberacee ed è nota anche come zafferano delle Indie. Tradizionalmente è propria della cucina e della cultura mediorientale oltre che della medicina Ayurvedica, tanto che in alcune zone dellIndia viene portata al collo delle ragazze come promessa di matrimonio. Nel film del 2003 Un tocco di zenzero con la regia di Tassos Boulmetis, il personaggio Vasilis spiega che lo zenzero, delicato e pungente, spinge a guardarsi negli occhi.

 

Nelle aree tropicali, la coltivazione di zenzero secondo il metodo biologico è stata individuata come una delle strategie sostenibili per arginare il problema della deforestazione. La coltivazione biologica, infatti, non ricava spazio a danno degli alberi e rispetta la biodiversità e la ricchezza del suolo. Il biologico, inoltre, garantisce un buon livello di redditività per le popolazioni locali e permette il sostentamento anche di produttori di piccole dimensioni, nel segno di una sostenibilità che è ambientale, ma anche sociale. Le produzioni agricole biologiche sono in grado, infatti, di salvaguardare l’ambiente, la fertilità dei terreni, il paesaggio, il territorio e la comunità che lo abita.

 

Linfuso di zenzero e curcuma bio Ohi Vita è, quindi, un prodotto certificato con logo Euro Leaf, che ne attesta la provenienza degli ingredienti da agricoltura biologica. Le coltivazioni biologiche rendono i prodotti più ricchi di sostanze antiossidanti e riducono il rischio di esposizione a residui di sostanze indesiderate, come metalli pesanti nocivi.

 

Dolci e gelati Made in Italy? Un successo, anche all’estero

 

È record storico per dolci e gelati Made in Italy sulle tavole mondiali, con le esportazioni che arrivano a circa 9 miliardi di euro nel 2022 grazie a un incremento del 18% in valore. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat.

 

Il principale mercato è la vicina Francia, dove gli acquisti di dolci tricolori sono cresciuti del 12% arrivando a rappresentare circa un settimo delle esportazioni totali, seguita a poca distanza dalla Germania (+13%) mentre al terzo posto ci sono gli Stati Uniti dove però si registra l’incremento più notevole, con un balzo del 30%.

 

Ma gelati, dolci, caffè e cioccolato conquistano anche gli inglesi (+11%) gli spagnoli (+20%), i cinesi (+17%) e i giapponesi (+13%), a testimonianza di un gradimento che non conosce confini.

 

Tra i singoli comparti le performance migliori vengono dal caffè che mette a segno una crescita del 28%, seguito dal gelato con un aumento del 18%. Ma vanno in doppia cifra anche la pasticceria (+16%) che rappresenta comunque la voce principale dell’export dolciario e la cioccolata (+11%).

 

La domanda cresce anche in Italia dove la spesa per dolci e dessert è cresciuta del 7,6% mentre quella per i gelati del 15,8 %. Ma si segnala anche una crescente attenzione per i dolci della pasticceria e della panetteria fatti con farina da grani antichi, con il recupero di varietà italiane salvate dall’estinzione. Tra i trend si segnala la crescita dell’interesse per l’italianità delle produzioni, con l’utilizzo di ingredienti 100% nazionali, con un vero e proprio boom delle agrigelaterie artigianali che garantiscono la provenienza della materia prima. Ma qual è la differenza tra una gelateria tradizionale e una agrigelateria? Nel fatto che quest’ultima utilizza esclusivamente materie prime provenienti da agricoltura biologica certificata. Solo prodotti naturali di produzione locale, quindi, e zero coloranti, addensanti o aromi artificiali.

 

Anche nel settore più ristretto dei dolci da ricorrenza, il Made in Italy è leader in Europa. L’Italia, infatti, è il primo paese europeo per saldo del commercio estero di questo particolare mercato che celebra le grandi festività come il Natale e la Pasqua: più 717 milioni di euro nel 2021, ottenuti sottraendo agli 867 milioni di euro di esportazioni un import da 150 milioni di euro.  Il nostro Paese si posiziona davanti alla Francia con 544 milioni di euro, al Belgio con 196 milioni e alla Polonia con 172 milioni. In termini percentuali, il 2021 ha segnato una crescita nelle vendite italiane allestero di dolci da ricorrenza del 25,3% su base annua, un dato superiore anche al +22,8% della media Ue. Una crescita, quella del 2021, che compensa in larga misura il calo registrato nell’anno dello scoppio della pandemia (-5,4% nel 2020) e supera del 18,5% anche il saldo precedente del 2019.

 

Pastore: un baluardo per la biodiversità e un lavoro sempre più scelto dalle donne

Cresce in Italia il numero delle donne che scelgono la pastorizia come mestiere, e se fino al 2000 si concentravano su Alpi e Appennino Tosco-Emiliano ora capita anche al Centro-Sud e in Sardegna di incontrare donne che accudiscono il gregge di pecore o capre, ribaltando ogni stereotipo sulla pastorizia patriarcale. E anche sull’economia ancestrale perché sono oltre un centinaio le donne-pastore, tra i 20 e i 102 anni, lungo la Penisola, testimonial nel docufilm In questo mondo realizzato da Anna Kauber che ha vissuto a tratti con loro tra ovili e vie della transumanza.

 

“A differenza dal passato – racconta Kauber all’Ansa – oggi è un lavoro che si sceglie. E costa farlo perché è una scelta spesso osteggiata dalle famiglie, e persino dalle comunità montane. Fare il pastore è spesso il piano B per donne laureate o per cittadine che, soffocate dallo stress, a una certa età scelgono di allontanarsi dalle realtà urbane per fare il pieno di libertà andando all’ovile”.

 

“Ci sono donne di tutte le generazioni ma sono per lo più le quarantenni a fare questo passo. Certo è una passione che devi avere dentro e forte, sotto sotto ‘devi avere il sangue di pecora’ ha detto una delle intervistate in Val Camonica”.

 

Ma a muovere questa scelta professionale “è fondamentalmente il bisogno di tornare in contatto con la natura, di ritrovare un’armonia che non contempla mai, nella pastorizia al femminile, la brutalità con gli animali. È una scelta di vita, e sì pure di morte, perché l’allevamento contempla anche la morte procurata per il bestiame da carne, ma tutto rientra nei cicli stagionali e della natura”. Ogni donna-pastore che ha incontrato l’autrice rivendica spazi di libertà. “Sui monti fanno mille cose, non si limitano ad accudire gli animali ma fanno corsi per produrre formaggi a norma o sono raccoglitrici, ad esempio, di timo per caratterizzare specialità casearie”.

 

Un baluardo di tutela della cultura rurale, ma anche della biodiversità zootecnica: l’Italia, ricorda Coldiretti, conta, infatti, 38 specie di capre autoctone e 50 razze autoctone di pecore. Il ritorno ad attività pastorali tradizionali, anche secondo quanto sostenuto dal Wwf, rappresenta, infatti, una strategia di conservazione delle praterie e di quei territori che hanno bisogno di una gestione periodica per tenere sotto controllo la crescita spontanea degli arbusti che ne minacciano la straordinaria varietà. Inoltre, la riduzione o perfino la scomparsa dei pascoli rappresenterebbe un evidente danno anche dal punto di vista produttivo perché si verrebbero così a perdere la biodiversità botanica e la ricchezza organolettica delle specie vegetali presenti che sono indispensabili anche per la creazione di prodotti, soprattutto caseari, legati al territorio e di grande valore identitario e commerciale.

 

 

 

Il turismo in Italia comincia a tavola. Con le grandi eccellenze come l’ Aceto Balsamico Tradizionale di Modena

Oltre un terzo della spesa di italiani e stranieri in vacanza in Italia è destinato alla tavola per consumare pasti in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche per cibo di strada o specialità enogastronomiche in mercati, feste e sagre di Paese. La stima Coldiretti per il bilancio delle vacanze in Italia nel 2022 centra l’attenzione proprio sull’alimentazione che “è diventata la principale voce del budget turistico con un impatto economico valutato attorno ai 30 miliardi di euro su base annua, divisi tra turisti italiani e stranieri che sempre più spesso scelgono il Belpaese come meta delle vacanze per i primati enogastronomici”.

 

La tavola, insomma, si conferma come il vero valore aggiunto della vacanza in Italia che è leader mondiale del turismo enogastronomico potendo contare sull’agricoltura più green d’Europa,

 

su 5450 specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni censite dalle Regioni, 316 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg, la leadership nel biologico con circa 86mila aziende agricole biologiche, 25mila agriturismi che conservano i segreti della cucina contadina e le numerose iniziative di valorizzazione, dalle sagre alle strade del vino.

 

Numeri confermati anche dalla fotografia scattata dall’Istat sui prodotti agroalimentari di qualita Dop, Igp e Stg per l’anno 2021. Numeri che evidenziano la predominanza del settore degli ortofrutticoli e cereali nel numero di riconoscimenti: nel 2021 si attestano a 118, di cui 38 Dop e 80 Igp. Segue il settore dei Formaggi con 56 prodotti e l’Olio extravergine di Oliva con 49 prodotti. A livello territoriale lEmilia-Romagna e la regione con il maggior numero di riconoscimenti Dop e Igp, seguita dal Veneto, dalla Sicilia e dalla Lombardia.

 

Sono soprattutto i settori di eccellenza assoluta a registrare i più alti tassi di crescita. Si è chiuso, per esempio, con un clamoroso segno più l’anno 2022 dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop. Soprattutto in termini di bottiglie certificate, che rispetto al 2021 hanno registrato un ulteriore incremento del 43%, addirittura migliorando il già lusinghiero +30% dello scorso anno rispetto al precedente. I numeri del Consorzio Tutela evidenziano ben 145mila confezioni certificate dalla filiera dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP.

 

Spiega il Presidente del Consorzio di Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Enrico Corsini: “I circa 250 produttori del territorio insieme detengono nelle loro acetaie circa 3 milioni di litri di prodotto in invecchiamento. Una produzione quantitativamente limitata, che unitamente ai grandi investimenti necessari per installare e gestire una acetaia e la lunghezza dell’invecchiamento ne fanno un prodotto esclusivo e di grande pregio, dall’elevato valore non solo economico – che può arrivare fino a mille euro al litro – ma altresì valoriale per l’importante bagaglio di storia di cui si fa portatore”.

 

L’anno 2022 è stato anche l’anno in cui il Consorzio di Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena ha avviato la pratica per il riconoscimento dell’omonimo Distretto del Cibo per la promozione e lo sviluppo del prodotto di riferimento, la valorizzazione della filiera e della cultura e tradizione del territorio.