I tortellini, la pasta ripiena che dal Medioevo ai giorni nostri racchiude la bontà della festa in famiglia

Il tortellino non è solo un tipo di pasta ripiena, ma qualcosa di più. Un fatto culturale, un elemento identitario, una sapienza antica e uno straordinario piacere della tavola. Soprattutto una pietanza squisita e sostanziosa, che ha il gusto e il profumo della festa, ideale per arricchire la nostra tavola di Pasqua.

 

Nato per raccogliere gli avanzi di cibi pregiati dalle tavole nobiliari, le prime notizie dei tortellini affondano nel Medioevo e attraversano i secoli, consegnandoci oggi un’autentica prelibatezza che incontra un elevato gradimento anche nella produzione su larga scala. I dati Nielsen relativi al 2021 hanno infatti mostrato che “tortellini & affini” sono tra i prodotti gourmet a crescere di più, generando il 60% delle vendite e un +6% a valore.

 

La paternità del tortellino, in verità, è ragione di contesa tra Bologna e Modena, presso le cui Camere di Commercio sono state depositate le ricette tipiche del luogo.

 

Ma mentre per il tortellino di Modena viene accettata una certa varietà di ricette leggermente differenti l’una dall’altra, pur sempre riconosciute come tradizionali modenesi (specificando comunque l’obbligo nell’utilizzo di Parmigiano Reggiano stagionato 18 mesi, di prosciutto e mortadella IGP e altre carni pregiate),  per difendere il tortellino bolognese da interpretazioni troppo diverse dall’originale, nel 2008 la “Dotta Confraternita del Tortellino”, in collaborazione con l’Accademia Italiana della Cucina, ha depositato l’autentica ricetta del Classico Tortellino di Bologna.

 

Solo seguendo questa ricetta e ricordando le quattro caratteristiche che lo rendono “unico e inconfondibile”, si può preparare l’autentico tortellino di Bologna, e cioè:

 

la classica e originale forma (che si dice ispirata all’ombelico di Venere); la particolarità del ripieno; lo spessore e la genuinità della sfoglia; il peso finale di 5 grammi complessivi.

 

Di seguito riportiamo la ricetta tradizionale bolognese.

 

Ingredienti per circa 1000 tortellini:

pasta fresca gialla preparata con 10 uova e 1 chilo di farina

 

Per il ripieno:

  • 300 g lombo di maiale rosolato al burro
  • 300 g prosciutto crudo
  • 300 g vera mortadella di Bologna
  • 450 g formaggio Parmigiano Reggiano
  • 3 uova di gallina
  • odore di noce moscata

 

Per il brodo:

  • 1 kg di carne di manzo
  • ½ gallina ruspante
  • sedano
  • carota
  • cipolla
  • sale

 

Il lombo va tenuto in riposo per 2 giorni con sopra un battuto composto di sale, pepe, rosmarino ed aglio, quindi va cotto a fuoco lento con un po’ di burro e poi va tolto dal tegame e ripulito del suo battuto. Infine, possibilmente col battilardo, si trita molto finemente il lombo, il prosciutto e la mortadella, si impasta il tutto con parmigiano e uova, aggiungendo l’odore della noce moscata. L’impasto si deve mescolare a lungo fintanto che risulti ben amalgamato e deve essere lasciato riposare per 24 ore, prima di riempire i tortellini.

 

Sia che si tratti di tortellino bolognese o modenese, la sfoglia deve essere lavorata a mano e tirata con il mattarello. La chiusura del tortellino la si vuole attorno al mignolo a Bologna e attorno all’indice a Modena.

Il pomodoro: quella polpa fresca, profonda e dal gusto inesauribile che mette tutti d’accordo a tavola

Punto di riferimento della nostra cucina, il pomodoro irradia di gusto i primi piatti con sughi, ragù e zuppe, accompagna pesce e carne e diventa assoluto protagonosta di  capolavoro di perfezione che si chiama pizza. Ma il pomodoro fa anche bene: la polpa è fonte di licopene, un potente antiossidante il cui assorbimento migliora mangiando il pomodoro cotto. Senza dimenticare che il pomodoro è a basso contenuto calorico: ricco d’acqua, vitamine e sali minerali, è ottimo per chi segue una dieta ipocalorica. Inoltre, è un frutto ricco di vitamina C, fondamentale nel corretto funzionamento del nostro sistema immunitario. Contiene anche vitamina A, che previene i disturbi della vista e protegge le ossa e la pelle.

 

La storia del pomodoro da salsa nel nostro Paese risale almeno a un paio di secoli fa, anche se, come frutto, il pomodoro venne portato in Europa dopo la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo.

 

Tomatl è il suo nome azteco, una radice rimasta in uso nelle lingue come lo spagnolo e l’inglese. Il pomodoro deve però il suo nome al pomo damore, in quanto un tempo considerato afrodisiaco e pomo d’oro, per l’allora larga diffusione di una varietà di pomodori dal colore giallo. Il primo sugo a base di polpa di pomodoro viene tradizionalmente attribuito agli Aztechi, anche se in realtà si tratta di una salsa preparata sì con i pomodori, ma anche con peperoncini, semi di zucca, cipolle e spezie varie.

 

Una volta raggiunta l’Europa, il pomodoro all’inizio non viene considerato come alimento, ma coltivato solo come pianta ornamentale perché si ritiene che sia nocivo per la salute. È nel pieno del 600 che il pomodoro raggiunge le tavole dellallora città borbonica di Napoli e che diventa un cibo popolare anche per le sue caratteristiche di prodotto economico e facilmente reperibile. La pratica delle conserve prende, invece, avvio nel Settecento quando i contadini italiani cominciano a essiccare i pomodori al sole prima di trasformarli in salsa. Per avere una vera e propria conserva, bisognerà attendere, di lì a poco, linvenzione del metodo di sterilizzazione dei barattoli a chiusura ermetica di Nicolas Appert.

 

La Polpa di pomodoro Ohi Vita è conforme al metodo di produzione biologica secondo le normative del settore, nel rispetto della sostenibilità ambientale e del benessere dell’uomo. Con l’equilibrato impiego di tecniche agronomiche e irrigue, con una coltivazione senza uso di OGM e sostanze chimiche di sintesi, i pomodori utilizzati in questo prodotto della linea Ohi Vita sono coltivati nel rispetto dell’ecosistema naturale e conservano intatte tutte le loro proprietà nutritive a vantaggio di un’alimentazione sana, equilibrata e salutare. Anche perché adottare soluzioni strategiche sempre più sostenibili rappresenta una delle sfide delle filiere agroalimentari a vantaggio dei consumatori di oggi e di domani. La Polpa di pomodoro Ohi Vita è prodotta nel rispetto del territorio, riducendo al minimo l’impatto ambientale anche in termini di contenimento dei consumi idrici ed energetici.

 

 

 

 

Le Zeppole di San Giuseppe per festeggiare il papà nel solco della tradizione

Il giorno di San Giuseppe è ormai alle porte. E che cosa c’è di meglio che celebrare la Festa del Papà cimentandosi nella preparazione delle zeppole, il dolce della tradizione che fin dal 1700 festeggia il 19 marzo?

Nata nella tranquillità operosa di un monastero napoletano (di Santa Patrizia o di San Gregorio Armeno, o ancora della Croce di Lucca e dello Splendore), la ricetta di questo dolce, semplice e molto gustoso, venne “fissata” per la prima volta nel 1837 dal gastronomo Ippolito Cavalcanti nell’appendice in lingua napoletana del suo famoso Trattato di Cucina Teorico-Pratico.

 

La versione originaria della zeppola prevede la frittura, ma nel tempo si è affermata anche la cottura al forno, più leggera, senza nulla togliere alla golosità finale.

 

Non mancano poi le varietà regionali, soprattutto meridionali: in Sicilia l’impasto si alleggerisce con la farina di riso e prende l’aroma del miele d’arancio; nel Salento si arricchiscono della farcitura di crema pasticcera o al cioccolato; in Calabria, la farcitura è a base di ricotta, zucchero e cannella.

 

Ricetta per 6 zeppole

Per la pasta choux:

  • 3 Uova medie
  • 1 Tuorlo
  • 55 g Burro
  • 250 ml acqua
  • 150 g Farina 00
  • Un pizzico di sale fino

 

Per la crema pasticcera:

  • 2 Tuorli
  • 25 g Amido di mais (maizena)
  • 1 Baccello di vaniglia
  • 70 g Zucchero semolato
  • 200 ml Latte intero
  • 2 scorze di limone

 

Decorazione:  

6 amarene Fabbri

Zucchero a velo

 

Per preparare la pasta:

Scaldare in un tegame capiente l’acqua con il burro e, una volta raggiunto il bollore, aggiungere tutta la farina setacciata in una volta sola. Mescolare vigorosamente con un cucchiaio di legno fino a quando il composto si staccherà dalle pareti del tegame. Trasferirlo in una ciotola e lasciarlo raffreddare. A parte, sbattere le uova intere e il tuorlo, quindi aggiungere il composto nella ciotola con l’impasto, mescolando con il cucchiaio di legno fino a ottenere una consistenza liscia e omogenea.  Raccogliere il composto in una tasca da pasticciere con la bocchetta a stella di 12 mm e su una placca foderata con la carta da forno formare piccole ciambelle di circa 8 cm di diametro, con un foro al centro di circa 2 cm.

 

Per preparare la crema:

Scaldare lentamente il latte in un pentolino con la vaniglia e le scorze di limone, fino a portarlo quasi a bollore. In una ciotola, sbattere i tuorli con lo zucchero e unire l’amido di mais. Quindi versare il latte caldo un po’ alla volta. Porre sul fuoco basso e mescolare, fino a quando la crema non si sarà addensata. Lasciarla raffreddare trasferirla in una tasca da pasticciere con bocchetta a stella. Farcire le zeppole all’interno e al centro, decorare con un’amarena sciroppata e spolverizzare con zucchero a velo.

 

Buona Festa del Papà a tutti!

 

Con le sue preziose perle di benessere dal sapore intenso e speziato, il finger lime conquista la cucina stellata

Assomiglia a un piccolo cetriolo verde scuro, ma è un agrume la cui particolarità sta in una polpa fatta di tantissime microsfere quasi trasparenti, che affascinano il palato per il loro esplodere improvvisamente in un sapore acidulo e molto aromatico. Il suo nome è finger lime, tradotto in italiano come limone caviale o caviale di limone, e proviene dall’Australia di cui è originario (il suo nome scientifico è infatti Citrus australasica). Raccolto e consumato dagli Aborigeni, veniva utilizzato come cibo e come rimedio di cura naturale. Recenti studi hanno rivelato infatti che questo piccolo frutto, per il suo contenuto in vitamina C eB6, acido folico e potassio vanta ottime proprietà digestive, diuretiche, antisettiche e antiossidanti. Secondo l’Università della California, è indicato anche per combattere l’acne giovanile.

 

Da un po’ di tempo a questa parte, il finger lime si sta conquistando i favori della cucina stellata più esclusiva, per la sua nota agrumata intensa, con un gusto che incrocia il limone con il lime con un tocco di sapidità, e per la forma e consistenza sorprendenti, che creano abbinamenti interessanti, soprattutto con il pesce e nei dolci. A seconda degli accostamenti di sapore, si può scegliere tra diverse varietà (bianco/gialla, rosa e verde le principali) che hanno tutte sfumature di gusto differenti, anche in base alla zona di coltivazione.

 

Unico difetto, il costo molto elevato pari a quasi 200 euro al chilo, soprattutto se lo si acquista d’importazione. La buona notizia è invece che dal 2017 una produzione di finger lime ha preso piede anche in Italia, soprattutto nelle regioni del centro- sud del Paese, dalla Basilicata al Parco del Circeo (dove è stata avviata una pregevole coltivazione biologica), dalla Calabria alla Sicilia, visto che questo particolare agrume richiede temperature molto miti per crescere e fruttificare.

 

“Il mercato mondiale del finger lime è in costante ascesa, in Australia i maggiori produttori continuano ad ampliare le coltivazioni – sottolineano dal Consorzio Finger Lime, realtà che riunisce i produttori italiani del pregiato caviale di limone –. L’Italia sta diventando un player di mercato importante, in grado di offrire un prodotto di qualità pari a quella del cugino australiano, ma con un anticipo di quattro mesi sul mercato, rispetto a questa produzione dell’emisfero sud”.

 

Va comunque valutata la sua elevata resa in cucina: ne bastano pochissime perle per aggiungere alla pietanza un gusto molto particolare e con un solo frutto è possibile realizzare una ricetta di sicuro effetto, anche visivo. Bisogna poi aggiungere che del finger lime non si butta via niente, perché anche la sua buccia fresca può essere grattugiata sui piatti di pasta o sul cous cous alle verdure, per un tocco aromatico inedito, mentre, una volta essiccata, può essere utilizzata come spezia per insaporire diverse pietanze.

Le perle di finger lime si sposano meravigliosamente con il pesce, ma anche con il cioccolato. Questo agrume può anche essere candito o impiegato per realizzare marmellate e gelatine; inoltre è ottimo come ingrediente insolito di cocktail raffinati. Sta trovando, infine, un sempre più largo impiego nella produzione di profumi e detergenti naturali.

Formaggi da assaggiare nel 2023? Ben 8 su 10 sono italiani

Ogni anno TasteAtlas, portale gastronomico internazionale di riferimento, stila una lista dei cibi da assaggiare “almeno una volta nella vita, che è troppo breve per non provare il meglio della gastronomia mondiale”. Il Made in Italy è presente, com’è immaginabile, in tutte le categorie e le classi alimentari.

 

Ma è soprattutto nei formaggi che l’Italia è protagonista: i primi quattro migliori al mondo, infatti, sono tutti italiani: Parmigiano Reggiano, Gorgonzola piccante, Burrata e Grana Padano.

 

Allargando lo sguardo alla classifica completa dei 50 formaggi più pregiati, le produzioni italiane conquistano ben otto posizioni nei primi dieci, e 12 nei primi 20 classificati. Ecco, infatti, apparire anche lo Stracchino di crescenza (6), la Mozzarella di Bufala Campana (7), il Pecorino sardo (9) e il Pecorino Toscano (10). Senza dimenticare il Pecorino Romano (15), i Bocconcini (16), il Taleggio (17), la Provola (20), la Stracciatella (23), il Fiore Sardo (24), la Mozzarella (28), il Gorgonzola dolce (37), il Caciocavallo Silano (42) e, infine, il Provolone del Monaco (44).

 

Un primato che non è casuale. Con gli ultimi riconoscimenti comunitari, spiega Coldiretti, salgono a 55 i formaggi a denominazione di origine protetta (Dop/Igp) italiani tutelati dall’Unione Europea. “E a Oltralpe mostrano di apprezzare i formaggi italiani visto che le nostre esportazioni sono cresciute di quasi il 27% in valore lanno scorso e sono stimati pari ad oltre 900 milioni di euro nel 2022 per una quantità sulle tavole che sfiora i 130 milioni di chili”. Anche, se, purtroppo, “l’Italia vince anche nelle falsificazioni con Grana Padano e Parmigiano Reggiano che sono i formaggi più imitati nel mondo. Ma copiati sono anche il Pecorino, l’Asiago e il Gorgonzola”.

 

Per onorare il Pecorino Toscano, salito quest’anno nella Top 10 dei formaggi più buoni al mondo, Coldiretti Toscana ricorda come “con 34 milioni di valore alla produzione e 62 di valore al consumo, sia il principale formaggio Made in Tuscany e anche il più venduto all’estero con cinque milioni di euro di esportazioni (+12,2%), secondo l’ultimo rapporto Qualivita – Ismea”. Il pecorino Toscano Dop è una delle due denominazione di origine riconosciute (l’altra è il pecorino delle Balze Volterrane) che determinano la straordinaria crescita della Dop Economy toscana e del paniere regionale con 34 formaggi inseriti tra i prodotti agricole tradizionali.

 

Un’altra classifica, sempre tasteAtlas, premia invece la focaccia col formaggio di Recco Igp come il miglior piatto al mondo nella pasticceria salata. Il sito, a proposito della focaccia col formaggio scrive: “Questa deliziosa focaccia ripiena di formaggio proviene dalla città di Recco, la capitale gastronomica della Liguria, dove può essere trovata in ogni panetteria, pizzeria e ristorante. Si narra che sia stato inventato nel XII secolo quando, secondo la leggenda, i cittadini di Recco preparavano questo piatto per i crociati con quel poco che avevano: farina, acqua, olio e un po’ di formaggio. A differenza della maggior parte delle altre focacce, questa è fatta senza lievito e presenta una crosta sottilissima, tirata a mano, farcita con il formaggio di latte vaccino morbido e dal sapore delicato dei pascoli alpini chiamato stracchino o crescenza. Alla fine dell’800 la focaccia di Recco era ormai tradizionalmente associata alla celebrazione di Ognissanti, ma oggi viene preparata e gustata durante tutto l’anno”.

Riso, miglio e quinoa per un abbinamento nutriente, gustoso e molto ben assimilabile

Un mix ben equilibrato, energizzante e rivitalizzante per una dieta varia e salutare: il Misto di riso e cereali della linea Ohi Vita unisce riso, miglio e quinoa per preparare piatti dal buon contenuto proteico, oltre che di fibre vegetali e carboidrati facilmente assimilabili. Non a caso, riso e miglio sono due cereali fondamentali nella storia dell’alimentazione dell’uomo, tra i primi ad essere coltivati in Asia ed Europa. La quinoa, originaria delle Ande, svolgeva la stessa funzione presso gli abitanti di Bolivia, Perù e Cile, tanto da essere chiamata il “riso degli Inca”.

 

Ma vediamo le proprietà nutrizionale di ciascun ingrediente di questo mix, particolarmente adatto per offrire una soluzione di facile e veloce preparazione (bastano 10 minuti di cottura), a cui possono essere abbinate verdure fresche di stagione oppure legumi biologici, sempre della linea Ohi Vita.

 

Il riso è un cereale che grazie alla sua componente glucidica esplica un effetto regolatore sulla flora batterica intestinale, contribuendo alla corretta funzionalità dell’apparato gastrointestinale; mentre grazie alla presenza di lisina, il riso sostiene il buon funzionamento del sistema immunitario e la fissazione del calcio nelle ossa. Per il contenuto in potassio e la scarsa presenza di sodio, è, inoltre, un alimento fortemente indicato per chi soffre di ipertensione arteriosa.

 

Il miglio, ricco com’è di vitamine del gruppo B, oltre che di sostanze minerali come potassio e fosforo, ha diverse proprietà nutrizionali: sostiene la buona funzionalità dell’apparato digerente e svolge un’azione rinforzante per ossa, unghie, capelli e denti, oltre a contribuire alla salute della pelle. Il buon tenore di grassi insaturi e proteine che contiene, unito alla sua facile digeribilità, lo rende adatto ai bambini, agli anziani e alle donne in gravidanza, e consigliabile in tutte i casi di astenia fisica e intellettuale.

 

Definita uno pseudo cereale per i suoi frutti da cui, attraverso macinazione, si ricava una farina preziosa per la nostra alimentazione, la quinoa è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Chenopodiaceae, come gli spinaci o la barbabietola. Oltre a proteine, carboidrati e fibra alimentare in buona quantità, contiene anche due aminoacidi essenziali, lisina e metionina, importanti per sostenere le funzioni metaboliche e immunitarie del nostro organismo.

La presenza di acido folico, utile per l’assorbimento della vitamina C, e la ricchezza di sali minerali, come potassio, fosforo e magnesio, completano il profilo nutrizionale di questo alimento particolarmente energizzante e consigliato soprattutto a bambini, donne in gravidanza, sportivi e convalescenti.

 

Riso, miglio e quinoa, inoltre, non contengono glutine e sono pertanto adatti a chi soffre di celiachia (occorre comunque verificare sempre le informazioni presenti in etichetta).

 

Scegliere i cereali come fonte di carboidrati, proteine, fibre, vitamine e sali minerali di origine vegetale significa aderire ad uno stile alimentare che non solo fa bene alla salute di ciascuno, ma anche contribuisce a proteggere le risorse naturali del pianeta. Inserire nella propria dieta alimenti di origine vegetale come i cereali vuol dire infatti renderla sempre più sostenibile, perché con un ridotto impatto ambientale in termini di emissioni di CO2 nell’atmosfera.

 

Tempo di Quaresima, tempo di Quaresimali. Per arrivare a Pasqua con un po’ di dolcezza

Il Carnevale è alle spalle e siamo entrati nel periodo quaresimale. Tempo di fioretti e di pentimento nei quaranta giorni che dal mercoledì delle Ceneri raggiungono la Pasqua e, in particolare, il Sabato Santo. Ma non per questo tempo di astinenza da qualche piccolo e dolce sfizio che, secondo le tradizioni regionali del nostro paese, non possono mancare sulle nostre tavole.

 

Dal giorno seguente il Carnevale, per tradizione religiosa, infatti, i grandi protagonisti della cucina quaresimale diventano soprattutto zuppe o minestre di ortaggi, erbe e pesci come lo stoccafisso. Con qualche tono dolce che, forse per mettere per bene in pace la coscienza, prende ovunque per lo stivale il nome di Quaresimale o Quaresimali.

 

Di Quaresimali, ne esistono molte versioni, a partire da quella genovese e, scendendo, passando per la Toscana, Roma, Napoli, il Salento, la Lucania e la Sicilia. Partendo dalla Liguria, si dice che i Quaresimali siano stati inventati nel 1500 dentro al convento genovese delle monache agostiniane di San Tommaso.

 

Qui, le suore, per rispettare l’astinenza nei giorni di magro durante il periodo quaresimale, misero assieme questi dolcetti sostituendo i grassi animali con la pasta di mandorle, insieme alla farina, all’acqua di fiori di arancio e allo zucchero. L’impasto dei Quaresimali toscani è, invece, composto da chiare d’uovo, zucchero e polvere di cacao e cotto in forno. Sono semplici biscotti a forma di lettera dell’alfabeto la cui origine non è del tutto chiara: secondo una storia, l’invenzione di questi prelibati biscottini viene riconosciuta alle monache di un convento a Firenze nei primi del Novecento. Il motivo è sempre lo stesso: concedersi dei piccoli peccati di gola nonostante il tempo di penitenza. Così, l’idea fu quella di utilizzare le lettere dei versi del Vangelo per onorarlo e unire l’utile al dilettevole.

 

I maritozzi quaresimali sono un tipico dolce romano di preparazione alla Pasqua. Simili a dei piccoli panini con dentro uvetta, pinoli e canditi, si mangiavano per superare al meglio il periodo di digiuno quaresimale e l’usanza voleva anche che, il primo Venerdì di marzo, un maritozzo venisse donato dai ragazzi alle proprie fidanzate magari nascondendoci dentro un piccolo gioiello come regalo. Anche i Quaresimali napoletani venivano una volta preparati dalle religiose in convento durante questo periodo, proprio perché poveri di grassi. Ma con un sapore ben riconoscibile conferito a questi dolcetti, nell’aspetto molti simili ai cantucci toscani, dagli aromi come vaniglia e cannella e da pinoli e mandorle. Più o meno lo stesso discorso vale anche per i Quaresimali lucani e salentini la cui ricetta si fa risalire al 1800. Un tempo venivano preparati in questa fase dell’anno che vede l’astinenza dai piatti ricchi e grassi ma, attualmente, è possibile trovarli praticamente tutto l’anno.

 

Andando in Sicilia, i biscotti quaresimali, anche in questo caso poveri di grassi, venivano tradizionalmente preparati il mercoledì delle Ceneri, il giorno prima dell’inizio della Quaresima.  Sempre dalle suore, all’inizio, che un tempo erano senz’altro le migliori pasticcere anche perché esercitavano le loro abilità in cucina per arrotondare le scarse entrate economiche dei propri monasteri. I Quaresimali hanno l’indubbio vantaggio di durare a lungo, sempre che vengano ben chiusi in un barattolo. E possono essere gustati accompagnati da un delizioso bicchiere di Marsala o di Passito siciliano.

Mezzo chilo a testa alla settimana: ecco quanto pesa il nostro spreco alimentare

Gli alimenti più spesso sprecati in Italia? Svettano la frutta fresca (3,4 grammi al giorno) e il pane (2,3 g): in un anno poco più e poco meno di 1 kg pro capite. Nella top 5 anche insalata, verdure, aglio e cipolle.

 

Secondo l’indagine 2022 Waste Watcher Il caso Italia 2023

 

nella pattumiera degli italiani finiscono 75 grammi di cibo a testa al giorno per un totale di 524,1 g settimanali ovvero il -12% rispetto all’indagine dello scorso anno. Il tutto per un valore di 6,48 miliardi di euro cui si aggiungono gli oltre 9 miliardi di euro dello spreco di filiera.

 

Spiega il fondatore di Spreco Zero, l’agroeconomista Andrea Segrè: “Si tratta di una cifra che aumenta se teniamo conto anche del valore energetico del cibo sprecato: relativamente al 2022, vale 5,151 miliardi euro e porterebbe così il costo economico dello spreco alimentare domestico italiano a 11,63 miliardi di euro. Solo due anni fa, nel 2021, il valore energetico del cibo sprecato era di 1,945 miliardi di euro, l’impennata mondiale dei costi dell’energia ha comportato un aggravio di oltre il 150% (3,205 miliardi, a livello italiano), malgrado una lieve flessione nello spreco domestico nazionale”.

 

Ma c’è un dato ulteriore da aggiungere, ed è quello relativo allo spreco di filiera, fra perdite in campo e sprechi nella catena dell’industria e della distribuzione del cibo. “Nel 2022 sono andate sprecate nella filiera italiana oltre 4 milioni di tonnellate di cibo per un valore complessivo e vertiginoso di 9.301.215.981 euro”.

 

D’altra parte, rispetto a due anni fa e a parità di budget destinato alla spesa alimentare, quasi 1 italiano su 3 presta attenzione alla riduzione del consumo di carne (26%), e 4 italiani su 10 quando fanno la spesa ragionano sulla base di promozioni e offerte, ma anche sulla base della sostenibilità di produzione e consumo del cibo (27%).

 

Su cosa si risparmia, quindi?

Un italiano su 2 (47%) ha ridotto le spese per lo svago, e cerca di tagliare sui costi della bolletta di energia elettrica (46%) e gas (39%), ma anche sull’abbigliamento (42%). Il 18% dichiara di tagliare sulla spesa, l’extrema ratio riguarda i tagli alle cure personali (17%) e alla salute (11%). Risparmio non è più la parola chiave nei comportamenti degli italiani, solo il 7% dichiara di metterla al primo posto nei comportamenti di acquisto: prevale piuttosto un approccio al cibo pragmatico, per 6 italiani su 10, e l’attenzione alla qualità per il restante 32%.

 

Ma come siamo noi cittadini di fronte allo spreco?  Sono i 4 profili della ricerca Bva Doxa che rivela, invece, come gli italiani virtuosi, benintenzionati e parsimoniosi (non spreco per risparmiare) rappresentino il 67% delle risposte. Dimostrando come la consapevolezza del fenomeno dello spreco alimentare spinga la maggioranza degli italiani ad adottare comportamenti antispreco e virtuosi per affrontare il problema in prima persona.

 

 

 

La spremuta? Gusto, freschezza e benessere, anche oltre l’arancia e il pompelmo

Quando pensiamo a una spremuta di agrumi ci viene subito in mente l’arancia. Non potrebbe essere altrimenti visto che questo frutto è uno dei più consumati al mondo sia intero che sotto forma di succo. E che fa anche bene, con le sue innumerevoli proprietà salutari per l’organismo, prima tra tutti lalto contenuto di vitamina C, essenziale a supportare, tra l’altro, il buon funzionamento del sistema immunitario.

 

La storia della diffusione del succo d’arancia, soprattutto a colazione, è una storia americana che inizia negli anni Venti, quando diversi stati Usa come California e Florida, producendo molte più arance di quelle che potevano venire consumate fresche, cominciarono a inventare modi per consumare questi agrumi prima che andassero a male e mettendoli al contempo a reddito.

 

Certo che, oltre all’arancia e alle altre spremute celebri come quella a base di limone e di pompelmo giallo o rosa, ci sono diversi altri agrumi da cui ricavare succhi gustosi e salutari. Come il cedro, per esempio, un agrume simile al limone ma con una buccia più bitorzoluta, un gusto più intenso, aromatico e amarognolo. Ricca di flavonoidi e vitamina C, la spremuta di cedro contrastando l’insorgere di radicali liberi e l’invecchiamento cellulare, oltre ad avere proprietà digestive, carminative e disinfettanti che aiutano il funzionamento dell’apparato digerente. Il cedro è anche utilizzato per la cistite, problemi alle vie biliari e la ritenzione idrica.

 

La spremuta di mandarino, a differenza degli altri succhi di agrumi, ha un sapore più dolce. Invece, proprio come gli altri agrumi, il mandarino è ricco di vitamina C e aiuta le difese immunitarie. Inoltre, il mandarino agevola una bella dormita: grazie alla presenza importante di bromuri, funziona, infatti, come sedativo naturale. La ricchezza di fibre, invece, supporta la digestione.

 

Senza dimenticare il bergamotto, un agrume noto per il suo utilizzo nel settore cosmetico e per la realizzazione di profumi. Ma il succo di questo frutto, molto simile al limone, con uno spiccato gusto amaro e aromatico, è anche un fedele alleato per la nostra salute. Oltre alle proprietà antiinfiammatorie e disinfettanti, con una buona presenza di vitamina B e C, utile per l’assorbimento del ferro, il bergamotto aiuta a migliorare la circolazione del sangue.

 

Nel mondo, il più grande esportatore di succo d’arancia è il Brasile, seguito dagli Stati Uniti d’America. Si tratta, in questo caso, di un succo che viene prima concentrato, poi congelato o liofilizzato e, infine, ricostituito con acqua nel luogo di destinazione. Mentre, sicoramente, a prescindere dall’agrume scelto per la spremuta, è molto più salutare e gustoso quando il succo è fresco e bevuto subito dopo la spremitura. Che sia a colazione o come spuntino, l’importante è che sia a stomaco vuoto per beneficiare al meglio della sua carica energetica.

 

Inoltre, vanno benissimo le spremute con un solo tipo di agrume ma si può tranquillamente divertirsi a mescolare, per esempio, arance con clementine, arance con pompelmi, bergamotti con mandarini, arance con mandarini e lime. Per mixare i sapori come per usare tutti gli agrumi che abbiamo in casa.

 

L’Atlante del cibo: la sostenibilità alimentare di Roma Capitale si costruisce a partire dalla geografia della produzione e del consumo

Delineare un quadro approfondito delle caratteristiche e delle dinamiche di funzionamento del sistema alimentare della Città metropolitana di Roma Capitale (CmRC), con le sue criticità e i suoi punti di forza, per poter arrivare alla costruzione di un Piano del Cibo che permetta di intraprendere politiche economiche e territoriali sempre più sostenibili.

 

Dallo studio del territorio, restituito con un apparato cartografico tematico dettagliatissimo, alla produzione agroalimentare locale, dal valore dei prodotti tipici certificati Dop e Igp all’occupazione nel settore primario, dal sistema di produzione al modello dei consumi, dalla multidimensionalità della sicurezza alimentare al contrasto allo spreco alimentare: sono questi i diversi temi che l’Atlante del cibo affronta per offrire un quadro conoscitivo documentato ed esaustivo della produzione e del consumo alimentare a Roma.

 

“L’Atlante del Cibo, nato da un progetto in collaborazione con il Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente, è il passaggio fondamentale per delineare le strategie su Agricoltura e Cibo che costituiscono uno degli assi del Piano Strategico Metropolitano in linea con la strategia europea ‘Farm to fork’ per la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente”, ha dichiarato Davide Marino, coordinatore scientifico dell’Atlante e docente universitario.

Con oltre 400 elaborazioni e circa 200 mappe cartografiche sugli andamenti di molteplici fenomeni del sistema, l’Atlante si rivolge infatti a istituzioni locali, amministratori pubblici, imprese, cooperative, enti del terzo settore che operano nelle diverse fasi del sistema alimentare, quali produzione, trasformazione, distribuzione, consumo, gestione delle eccedenze e degli scarti.

Il cibo rappresenta un quarto delle emissioni di gas serra ed un quarto dei consumi delle famiglie. È un elemento che riceve poca attenzione nelle politiche pubbliche, eppure è centrale per gli obiettivi sociali ed ambientali in relazione sia all’Agenda 2030 sia al Pnrr – sottolineano i ricercatori -. L’Atlante è uno strumento dinamico che si può aggiornare anche con dati provenienti dal modo della produzione e dai cittadini. Per questo è anche uno strumento di democrazia e di condivisione della conoscenza”.

Non a caso, tra le citazioni che aprono il documento si legge una frase di Antonio Gramsci: “Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita (…) Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri”.

L’Atlante propone un approfondimento sulle politiche, i progetti e le pratiche del sistema alimentare della Città metropolitana, attraverso un’analisi cartografica sulle misure del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 e i risultati di una mappatura di progetti e pratiche del sistema alimentare metropolitano.  Una panoramica del sistema dell’innovazione e della ricerca che ruota intorno ai temi dell’agroalimentare nella Città di Roma completa il documento, che raccoglie anche informazioni circa le principali caratteristiche delle start-up e delle Pmi innovative nel Lazio e nella Città, oltre a una rassegna dell’offerta accademica e scientifica che insiste su Roma e su cui si potrebbe fare leva per raggiungere gli obiettivi di un sistema alimentare locale più sostenibile.