A San Valentino passione e benessere si incontrano nel gusto aspro e dolce della melagrana

Per una serata speciale, un frutto speciale che rappresenta un vero e proprio concentrato di bellezza e virtù benefiche: la melagrana. Un frutto, originario dell’Iran, che da Oriente a Occidente ha rappresentato fin dall’antichità abbondanza, concordia, fertilità e creazione. Forse per il suo colore rosso intenso, o per la brillantezza dei suoi chicchi, chiamati arilli, o per le innumerevoli proprietà anche curative che possiede e il suo gusto aspro e dolce insieme, la melagrana ha rivestito un valore simbolico, religioso, alchemico ed esoterico presso popoli diversi. Come frutto che racchiude il mistero della primavera, del rinnovamento, della rigenerazione, la troviamo raffigurata anche in moltissimi dipinti antichi, medioevali e rinascimentali.

“Il mio bacio era una melagrana/profonda e aperta:/la tua bocca era rosa/di carta./ Lo sfondo un campo di neve”, scrive Federico Garcia Lorca, cogliendo il valore sensuale che questo frutto riveste, fin dalla sua citazione nel Cantico dei Cantici, il canto della Bibbia che celebra l’amore passionale tra due giovani innamorati.

 

La recente ricerca scientifica è giunta a confermare che tra le tante virtù che la melagrana possiede, per la sua ricchezza di sostanze nutritive essenziali, c’è anche uno spiccato potere afrodisiaco, a favore sia degli uomini sia delle donne.

 

Uno studio della Queen Margaret University (GB) ha infatti dimostrato che la melagrana aumenta la libido. Prendendo in considerazione 58 volontari di età compresa fra i 21 ed i 64 anni, i ricercatori hanno somministrato ai volontari un bicchiere di succo di melograno una volta al giorno per due settimane. Alla fine del test, hanno potuto verificare che i livelli di testosterone, negli uomini come nelle donne, sono risultati più alti del 30%.

 

Lo studio inglese ha così confermato che la melagrana costituisce un efficace rimedio naturale per migliorare la vita sessuale, predisponendoci per di più al buon umore. Il succo di melagrana infatti aiuta anche a ridurre i livelli di cortisolo, noto come “ormone dello stress”, la cui overproduzione è causata dai ritmi frenetici della vita di tutti i giorni.

 

Consumare con regolarità la melagrana, che va sbucciata pazientemente tenendo vicina una ciotolina con del succo di limone per non colorarsi le mani di giallo, è dunque una vera e propria sferzata di energia e di vitalità per il nostro corpo.

Ma non finisce qui. Ricca di vitamine A e C (mangiandone una si acquisisce circa metà delle vitamine di cui il nostro organismo ha bisogno quotidianamente) e preziosi sali minerali come il ferro, la melagrana, oltre alle proprietà diuretiche, disintossicanti e antiinfiammatorie che può vantare, è anche un’ottima alleata di bellezza. I tanniti, flavonoidi e polifenoli che contiene sono infatti capaci di contrastare l’acne e l’invecchiamento cellulare, favorire la formazione di collagene, promuovere la luminosità della pelle e la lucentezza dei capelli.

Perché dunque non concedersi una cena di San Valentino che mette al centro del menu questo frutto magico e misterioso?

Per il suo gusto così unico e sfaccettato, e alla sua acidità, la melagrana è molto versatile e può essere impiegata in preparazioni dolci o salate, semplici o più elaborate a cui conferisce un sapore inconfondibile, oltre a risultare di grande effetto nella presentazione.

Dal succo come ingrediente di intriganti cocktail per l’aperitivo (uno su tutti il Tintoretto) all’antipasto come accompagnamento a formaggi o verdure fritte in pastella, dal risotto all’insalata di pollo, dalle scaloppine di vitello al branzino al cartoccio, dal budino di cioccolato alla marmellata, la melagrana può diventare la protagonista di una cena romantica un po’ insolita e di sicuro deliziosa, colorata di passione e … di buon auspicio.

Buon San Valentino a tutti!

Bio e Made in Italy: un binomio in crescita, soprattutto in Nord Europa

Il mercato dei prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali ha raggiunto i 3,4 miliardi di euro di valore, mettendo a segno una crescita del 16% rispetto all’anno precedente. Per altro, il riconoscimento del bio Made in Italy sui mercati internazionali e testimoniato anche della crescita di lungo periodo (+181% rispetto al 2012, un valore quasi triplicato) e dalla quota di export sul paniere Made in Italy, con un peso del 6% sull’export agroalimentare italiano totale nel 2022.

 

Secondo FederBio, nel 2022 la gran parte delle esportazioni del bio italiano ha riguardato il food ma è rilevante anche il ruolo del vino. Negli ultimi 10 anni, spiega Paolo Carnemolla, segretario generale di FederBio, “Le esportazioni di biologico made in Italy sono letteralmente esplose, facendo diventare l’Italia il principale esportatore di alimenti bio a livello internazionale dopo gli Usa”. I Paesi Scandinavi, in particolare, aggiunge, “sono mercati dove la richiesta di prodotti biologici made in Italy e in crescita, prodotti che uniscono attenzione alla sostenibilita con la qualita elevata delle produzioni agroalimentari italiane e incorporano valori culturali, sociali e ambientali riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo”.

 

Un risultato ancora più marcato se si considerano Danimarca e Svezia, ovvero due Paesi che hanno registrato un incremento delle vendite bio rispettivamente del +183% e del +176% negli ultimi 10 anni e che si presentano come territori di grande interesse per il Made in Italy.  Tutti i numeri del bio in Scandinavia sono positivi: la Danimarca e l’ottavo mercato al mondo per valore delle vendite di prodotti bio sul mercato interno con 2.240 milioni di euro e una quota di vendite bio sul totale della spesa alimentare pari a ben il 13% (quasi raddoppiata rispetto al 2010). Segue a pochissima distanza la Svezia, nono consumatore mondiale di prodotti bio, con un valore di 2.193 milioni di euro e un peso del bio che sfiora quasi il 9%.

 

Alta anche la spesa pro-capite per prodotti bio: 384 euro in Danimarca e 212 euro in Svezia che fanno si che i due Paesi si collochino ai vertici della classifica mondiale, rispettivamente al secondo e quinto posto. Nel confronto internazionale, nel percepito dei consumatori danesi,

 

l’Italia si posiziona al primo posto tra i Paesi che producono i prodotti bio di maggiore qualita: a pensarla cosi e il 38% degli user bio. Olio extra vergine d’oliva, formaggi, conserve di pomodoro, salumi, formaggi e vino sono i prodotti italiani a marchio bio piu acquistati dai consumatori scandinavi ma anche le categorie per i quali il consumatore e piu interessato al binomio bio-Made in Italy.

 

Dal recente rapporto presentato da Nomisma risulta, invece, che il vino e uno dei prodotti bio piu diffusi sul mercato scandinavo. In Svezia, l’Italia e leader assoluto con un peso sul totale delle vendite di vino bio del 42% sia a valore che a volume nel 2021. Un successo da ricondurre in primis all’ottimo posizionamento di alcuni territori come Veneto (grazie al Prosecco che rappresenta la denominazione a marchio bio piu venduta in Svezia), Sicilia e Puglia.

 

Nel 2022, sempre secondo l’analisi realizzata da Nomisma, l’89% delle famiglie italiane ha acquistato alimenti bio almeno una volta: 7 consumatori su 10 sono soddisfatti della presenza di prodotti bio freschi e il 62% valuta in modo positivo il modo in cui i prodotti bio sono disposti sugli scaffali all’interno dei punti vendita. Per quanto riguarda le categorie di prodotti bio maggiormente vendute, troviamo al primo posto pasta, prodotti da forno, conserve, sughi con un peso del 57% sul totale delle vendite come valore, seguono con il 21% il fresco (formaggi, salumi, yogurt, uova) e l’ortofrutta (12%). A livello generale, i prodotti maggiormente venduti restano uova, confetture e i sostitutivi del latte.

10 febbraio, Giornata mondiale dei legumi: le lenticchie rosse riscaldano e danno energia fin dai tempi dell’antico Egitto

Il  10 febbraio si celebrano i legumi, per aumentare la consapevolezza dei loro benefici in termini di salute e di sostenibilità. I consumi nel nostro Paese sono in crescita, anche per una sempre più sviluppata attenzione alla varietà alimentare e alla ricerca di cibi più salutari, di lunga durata e facili da conservare. Tra i legumi, per il loro valore nutrizionale e il bassissimo contenuto di grassi, ci sono anche le gustose lenticchie rosse, un’ottima fonte di proteine vegetali. Inserirle nella propria dieta significa proprio assicurarsi proteine facilmente digeribili dallorganismo, carboidrati, fibre e preziosi micronutrienti come ferro, fosforo, potassio e vitamine del gruppo B.

 

Le lenticchie rosse, al pari degli altri legumi sono, infatti, ricche di carboidrati complessi, vitamine e sali minerali e aiutano a sostenere il nostro metabolismo portando l’energia necessaria per una vita attiva, mentre la presenza di flavonoidi conferisce loro proprietà antiossidanti.

 

E, la loro, è una storia antica, perfino biblica se si considera che fu proprio un piatto di zuppa di lenticchie rosse quello per cui Esaù, nipote di Abramo, rinunciò alla primogenitura in favore del fratello Giacobbe, come racconta il libro della Genesi.

 

L’episodio dell’Antico Testamento è rimasto come esempio di uno scambio in perdita, anche se Esaù era davvero stanco e molto affamato e la zuppa di lenticchie un piatto capace di restituirgli le forze perdute. Oggi, per un curioso rovesciamento, le lenticchie stanno a simboleggiare abbondanza e prosperità come legume bene augurante della nostra tradizione natalizia.

 

Le lenticchie rosse sono una varietà coltivata in Egitto fin dall’antichità (per questo vengono dette anche egiziane) e apprezzata sia dai Greci sia dai Romani per il potere nutritivo, il sapore morbido e la consistenza molto tenera. In una delle sue commedie, Aristofane chiama la zuppa di lenticchie dolcissima tra le leccornie, mentre l’autore latino Plinio il Vecchio, nella sua opera Naturalis Historia, cita le lenticchie rosse lodandone la grande efficacia nell’arte di saziare e insieme la peculiare virtù di infondere tranquillità nell’animo.

 

Le lenticchie sono il seme di piante robuste e adattabili ai terreni più difficili, perché capaci di crescere con poche risorse naturali, in particolare acqua e suolo. L’Onu ha dichiarato il 2016 anno internazionale dei legumi per mettere in luce tutte le proprietà sostenibili di questi semi nutrienti e promuoverne il consumo. Le leguminose, infatti, sono piante azoto-fissatrici: non solo richiedono in minima parte luso di fertilizzanti, ma migliorano anche la fertilità dei suoli ed esercitano un impatto positivo sull’ambiente, arginando i fenomeni erosivi e promuovendo la biodiversità degli ecosistemi.

 

La maggior superficie coltivata a lenticchie appartiene al Canada, segue l’India e, staccatissime, le altre nazioni. In Europa è la Spagna ad avere il primato della maggiore produzione. Introdurre legumi nella propria dieta significa scegliere un alimento ricco, sostenibile, oggi e per il nostro futuro. Ma se i legumi sono già un alimento sostenibile, coltivarli in modo biologico consente di promuovere i benefici a favore dell’ambiente e della salute dei consumatori. Le lenticchie rosse bio Ohi Vita sono un prodotto certificato con logo Euro Leaf, che ne attesta la provenienza da agricoltura biologica. Le coltivazioni biologiche rendono i prodotti più ricchi di sostanze antiossidanti e riducono il rischio di esposizione a residui di sostanze indesiderate, come metalli pesanti nocivi.

 

Nutrienti, morbidi e saporiti, i Fagioli borlotti bio Ohi Vita sono i protagonisti di tantissime gustose ricette della nostra tradizione

Fibre e proteine vegetali, vitamine del gruppo B, Sali minerali come fosforo, potassio, magnesio e ferro, i Fagioli borlotti bio Ohi Vita sono un alimento fondamentale nelle diete equilibrate e varie, ma anche in quelle ricostituenti ed energetiche. “Riso e fagioli fan crescere i figlioli” recita un antico proverbio per dire della loro facile reperibilità e del loro riconosciuto potere nutritivo. In effetti, è davvero straordinario il profilo nutrizionale di questi legumi, che alla ricchezza di nutrienti accompagnano anche una certa facilità di coltivazione e una buona resa produttiva.

Tra tutte le varietà di fagioli, sono i borlotti quelli più conosciuti e consumati in Italia. Originari del Sud America, precisamente della Colombia, nel nostro Paese hanno trovato condizioni climatiche per crescere bene e svilupparsi in varietà che oggi sono da considerarsi tipiche di alcune regioni italiane.

I borlotti, con i baccelli dalle tonalità variabili di marrone con sfumature rosse, sono legumi che si prestano a diversi impieghi, unendo un gusto deciso e spiccato alla capacità di sposarsi bene e accompagnare i sapori degli alimenti con cui vengono cucinati insieme. Per questo i Fagioli borlotti bio Ohi Vita, oltre che da soli, sono ideali come ingredienti di molte ricette tradizionali quali insalate miste, zuppe rustiche e in accompagnamento a spezzatino e cotiche. Il consiglio degli esperti è di consumare i fagioli abbinandoli sempre ai carboidrati, come la pasta o il riso, perché gli aminoacidi presenti in legumi e e cereali, si completano elevando il potere nutritivo della pietanza.

 

Ottima fonte di proteine vegetali, i fagioli borlotti sono infatti ricchi di potassio, fosforo e calcio, sali minerali che sostengono le funzioni metaboliche dell’organismo. Contengono anche vitamine del gruppo B. Grazie all’elevato contenuto in fibre, i fagioli contribuiscono al corretto funzionamento dell’intestino e a tenere sotto controllo la glicemia, i livelli di colesterolo e i trigliceridi nel sangue, svolgendo così una funzione di protezione dell’apparato cardio-circolatorio. Sono inoltre indicati nelle diete ipocaloriche perché favoriscono il senso di sazietà.

 

Per la centralità dei legumi nell’ambito di una dieta varia ed equilibrata, come fonte di proteine vegetali, la Fao ha voluto dedicare proprio ai legumi la giornata del 10 febbraio, con lo scopo di aumentare la consapevolezza dei loro benefici per la salute e per contribuire a sistemi alimentari sostenibili.

 

Una consapevolezza che gli Italiani stanno riconquistando, con i dati Coldiretti che indicano una costante crescita dei consumi di legumi a partire dal 2020, un dato che racconta una maggiore attenzione verso una dieta equilibrata e una crescente sensibilità verso il benessere individuale e del pianeta.

I fagioli, infatti, oltre a essere molto ricchi di proteine vegetali fondamentali per l’uomo, sono anche piante che contribuiscono alla fertilità dei suoli agricoli per la loro capacità di fissare grandi quantità di azoto nel terreno, rendendolo molto più produttivo. Inoltre i fagioli hanno un’impronta idrica bassa, che consente la loro produzione anche in zone con scarsità di acqua.

I Fagioli borlotti bio Ohi Vita, grazie al metodo di coltivazione biologico, incrociano i temi della qualità nutrizionale, della sicurezza alimentare e della riduzione degli sprechi con quelli della protezione e rigenerazione dei suoli, della tutela della biodiversità e del drastico abbattimento dell’uso di sostanze chimiche dannose.

 

 

E tu lo conosci l’umami? Segni particolari: corposo, sapido e piacevole

C’è l’amaro, il dolce, il salato, l’acido e poi c’è l’umami. Il cosiddetto “quinto gusto”, che a definirlo sembra avere caratteristiche poco chiare, ma che in realtà è quello che ci consente di riconoscere tutto il sapido che “sa di buono”.

Il primo ad averlo identificato, agli inizi del secolo scorso, è stato Kikunae Ikeda, professore di chimica dell’Università Imperiale di Tokyo, studiando il sapore del dashi, un brodo tipico della cucina giapponese, a base di alghe.

Ikeda notò che lo stesso gusto scoperto nei pomodori, negli asparagi, nella carne e nel formaggio, mangiati durante i suoi soggiorni in Europa, era inconfondibilmente presente anche nel brodo a base di alghe. Decise allora di isolare la sostanza gustativa di base di questo alimento, arrivando a scoprire l’acido glutammico che era uno dei suoi elementi centrali. In questo modo aveva individuato il quinto gusto che chiamò appunto “umami” (da “umai”, che in giapponese vuol dire “buono”).

 

Come spiega l’Umami Information Center, in termini tecnico-scientifici, l’umami è “il sapore dei sali che combinano glutammato, inosinato o guanilato con ioni del calibro di sodio, come glutammato monosodico o ioni potassio”. Inoltre, anche l’acido succinico, che conferisce ai crostacei il loro gusto caratteristico, è stato identificato come un’altra possibile sostanza umami.

 

La percezione di questo gusto deriva dalla stimolazione della parte bifrontale del nostro cervello, vicino alla sezione del dolce, atta a recepire “neurologicamente” la salinità. Ma non è così semplice: “Umami nasce dall’unione di almeno due alimenti: uno che contiene Msg (glutammato monosodico naturale, non quello chimico del dado da cucina) con un secondo alimento, definito Nucleotide, che fa da neurotrasportatore alla prima sapidità, quella principale, implementando cerebralmente proprio la salinità contenuta nell’Msg”, ha spiegato Alfredo Iannaccone, ieri giornalista, oggi cuoco ricercatore.

 

Per ricondurre la definizione alla nostra esperienza gustativa, umami è quel gusto che appartiene naturalmente a prodotti lattiero caseari, carne, pesce e ad alcune verdure, come pomodori, piselli, asparagi, broccoli, spinaci, cipolle e verze.
In sostanza, un bel piatto di pasta al ragù, una pizza con mozzarella e pomodoro, una porzione di risotto ai funghi, un pezzo di Parmigiano Reggiano sono degli esempi di alimenti della nostra tradizione enogastronomica che hanno un gusto umami, pieno e forte.

 

Inoltre è da tenere presente che il livello di glutammato aumenta considerevolmente quando un alimento viene sottoposto a procedimenti di stagionatura o maturazione (carni e o formaggi).

Il riconoscimento dell’umami come gusto fondamentale è stato molto lento, soprattutto nella cultura occidentale: nel 1920 cominciarono gli studi scientifici a livello internazionale, ma solo nel 1985 si tenne, alle isole Hawaii, il primo simposio internazionale in cui l’umami venne ufficialmente riconosciuto come gusto di base, indipendente dagli altri quattro. E nel 2013 l’Unesco ha inserito la cucina tradizionale giapponese nel Patrimonio immateriale dell’Umanità per i suoi cibi saporiti e sani creati proprio grazie all’uso del sapore umami degli ingredienti.

 

Studi scientifici recenti hanno dimostrato come cibi che hanno alla base il glutammato siano tra quelli più apprezzati dai bambini, poiché esso possiede proprietà di intensificatore del sapore, e il gusto corposo che ne deriva è quello dei cibi proteici, nutrienti, necessari al nostro organismo e molto energizzanti. Anche gli anziani amano il gusto umami nei cibi perché li rende più saporiti, appetibili e dunque digeribili.

Negli anni Novanta, inoltre, Schiffman e Warwick scoprirono che l’intensificazione dei sapori indotta dal MSG nei cibi rafforza le difese immunitarie poiché determina un piacere maggiore nel mangiarli, creando un complesso di sensazioni positive che fanno diminuire i livelli di cortisolo, conosciuto come l’ormone dello stress psico-fisico. Un beneficio che smentisce la convinzione che il glutammato mononosodico fosse associato a quella che in Occidente è stata conosciuta come la “Sindrome da ristorante cinese”, probabilmente riconducibile invece alla elevata concentrazione di olii fritti. Ricerche giapponesi hanno verificato al contrario come l’insensibilità all’umami determini perdita di appetito, astenia e generale indebolimento fisico.

Tra i cibi che più di tutti sanno di umami, naturalmente troviamo le alghe, l’alimento da cui la ricerca è partita. Oggi che sempre più stiamo familiarizzando con questo ingrediente, anche per il suo interessante e ricco profilo nutrizionale, il quinto gusto potrebbe essere il sapore della sua sostenibilità alimentare.

 

I cinque nuovi Presidi Slow Food in Puglia: territorio, biodiversità, sostenibilità, e saper fare della tradizione

Con le ultime cinque specialità tipiche, i Presidi Slow Food della regione Puglia raggiungono quota 28. Si tratta del pane di Monte Sant’Angelo (Foggia), della focaccia a libro di Sammichele di Bari, del confetto riccio di Francavilla Fontana (Brindisi), del colombino di Manduria (Taranto) e della capra jonica, originaria della penisola salentina. Tutti e cinque erano già inclusi nell’Arca del Gusto, il catalogo di Slow Food che raccoglie elementi della gastronomia e della cultura a rischio di scomparsa.

 

Con il riconoscimento a Presìdi, saranno ora avviati dei veri e propri progetti di salvaguardia e promozione fondati sul coinvolgimento delle piccole comunità locali, sul miglioramento della sostenibilità ambientale nella produzione e nel rispetto dei disciplinari, sul coinvolgimento di agronomi e veterinari.

 

Sono questi i pilastri del progetto “Presidiamo la Puglia”, realizzato nell’ambito delle attività del programma di promozione dei prodotti agroalimentari pugliesi di qualità ed educazione alimentare, promosso dalla Sezione Coordinamento Servizi Territoriali del Dipartimento Agricoltura e presentati da Marcello Longo, referente regionale di Slow Food e da Donato Pentassuglia, assessore all’Agricoltura della Regione Puglia.

«La Puglia è un giardino magnifico e questi riconoscimenti sono una porta spalancata verso la tutela della biodiversità della nostra regione – commenta Marcello Longo, referente dei Presìdi Slow Food in Puglia –. I Presìdi Slow Food danno concretezza alla transizione ecologica perché non difendono soltanto specialità alimentari, ma generano vere e proprie filiere. Dietro a chi trasforma il prodotto, ci sono persone che coltivano varietà autoctone un tempo diffuse e oggi quasi scomparse oppure che allevano razze in via d’estinzione».

Il recente ingresso di questi cinque nuovi prodotti nell’albo dei Presìdi è frutto di un lungo lavoro, che in Puglia ha portato allo sviluppo di una task force di cui fanno parte anche due biologi, due veterinari e due agronomi.

“Quella di Slow Food è un’operazione prima di tutto culturale – ha tenuto a sottolineare l’assessore regionale Pentassuglia -. Con un’ampia prospettiva a lungo termine di valorizzazione e tutela delle nostre specialità territoriali. Tutelare significa valorizzare e la valorizzazione significa anche tenere dentro storia, tradizione, qualità dei prodotti, eccellenza delle materie prime, come anche l’attenzione che stiamo mettendo in campo in tema di sostenibilità.”

Ma vediamo nel dettaglio quali sono queste cinque specialità pugliesi.

Il pane di Monte Sant’Angelo: una pagnotta di farina di grano tenero, in una regione dove è diffuso soprattutto il grano duro, che può raggiungere i 5 Kg di peso, preparata con lievito madre e cotta nel forno a legna secondo una tecnica di cottura calante, con la temperatura via via più bassa.

La focaccia a libro di Sammichele di Bari: fecazze a livre, il suo nome in dialetto, ha forma circolare con diametro di circa 30-35 cm e spessore di circa 3-4 cm, e deve il proprio nome al modo in cui viene chiusa la sfoglia, condita con olio extravergine, sale e origano e ripiegata più volte su sé stessa.

Il confetto riccio di Francavilla Fontana: mennula rizza, è un dolce di mandorla dalla superficie arricciata; tenero e friabile all’esterno, risulta croccante all’interno per la mandorla abbrustolita, ed ha un sapore dolce con leggeri sentori di limone.

Il colombino di Manduria: un pasticcino di forma tronco-conica, composto da due strati di pasta sfoglia farcita con pasta di mandorle all’arancia e crema pasticcera. Il tortino è poi ricoperto da una leggera glassa di zucchero e da un decoro a forma di colombino realizzato con confettura di albicocche.

La capra jonica: razza ovina presente sul territorio pugliese da tempi antichissimi e oggi a rischio di estinzione; riconoscibile per le lunghe e larghe orecchie e molto frugale, assicura un latte straordinario da cui si possono produrre latticini e formaggi molto nutrienti.

La lunga tradizione di gusto e benessere dell’infuso di finocchio: un calda carezza digestiva e rilassante

I semi di finocchi sono ricchi di sostanze utili al nostro organismo: vitamine, minerali, fibre e oli essenziali. Una miniera di principi attivi dalle molteplici e interessanti proprietà che sprigionano tutto il benessere di questo infuso soprattutto dopo i pasti, nel portare beneficio allo stomaco e produrre un senso di appagamento generale.

 

Tanto per cominciare, i semi di finocchio favoriscono il funzionamento dello stomaco agevolando la digestione: aiutano a ridurre il senso di pesantezza dopo i pasti e, grazie alle fibre, regolarizzano anche l’attività intestinale.

 

Inoltre, grazie alla buona presenza di flavonoidi e di sali minerali come il potassio, questi semi svolgono un’azione antiossidante sul sistema cardiocircolatorio, conferiscono un buon apporto di rame utile per la formazione dei globuli rossi e di calcio per la salute delle ossa e dei denti.

 

Ma quando si parla di finocchio bisogna, prima di tutto, distinguere tra due varietà della stessa pianta: il finocchio, inteso come ortaggio, e il finocchietto, inteso come pianta aromatica presente in tutta l’area del Mediterraneo. Il finocchio selvatico ha come nome scientifico quello di Foeniculum vulgare e, grazie alle sue qualità decisamente aromatiche e gradevoli, viene utilizzato da secoli, tanto in cucina nelle preparazioni gastronomiche di numerosi paesi quanto come rimedio di medicina naturale fin dai tempi degli antichi Greci e dei Romani. I semi di finocchio derivano il proprio nome dal fatto che le foglie della loro pianta ricordano il fieno, che in latino si dice appunto foenum, ma non sono propriamente semi: si tratta, più che altro, di frutti, precisamente di acheni, con un unico seme che ha un rivestimento duro, proprio come accade nel girasole.

 

Originario dellEuropa meridionale, il Foeniculum vulgare cresce spontaneo in tutta larea del Mediterraneo anche se, come coltivazione, inizia a essere praticata solo intorno al 1500. Dei suoi aromatici semi ne erano appassionati tanto gli antichi Greci quanto i Romani: alle sue proprietà venivano attribuite simbologie connesse al vigore, tanto in campo militare quanto in quello sessuale. Il medioevo non apprezza certo di meno i semi di finocchio inserendoli nei vari erbari medicali per la cura di una grande varietà di malanni. Infine, ricordiamo come l’espressione lasciarsi infinocchiare derivi dallabitudine di offrire spicchi di finocchio a chi sta per acquistare del vino: le sostanze aromatiche in esso contenute migliorano il gusto rendendo apprezzabile anche un vino scadente.

 

I semi selezionati per l’Infuso di finocchio bio Ohi Vita ricevono la massima cura per la piena valorizzazione delle loro caratteristiche nutrizionali e gustative. Il tutto con lobiettivo di garantire la sostenibilità di un prodotto in grado di rispettare il contesto ambientale e agricolo in cui viene coltivato e di curare tutti i dettagli in ogni fase che ne riguarda la raccolta e la commercializzazione. Anche perché, coltivare secondo i criteri del biologico significa operare per la salvaguardia dellambiente, prestando attenzione alla salubrità dei terreni e preservando il territorio e la comunità che lo abita. L’agricoltura biologica esclude, infatti, l’uso di prodotti chimici di sintesi e nasce dalla volontà di offrire un prodotto naturale e genuino, che riduca al minimo l’impatto ambientale e rispetti l’integrità dei luoghi di produzione. Selezionando le proprie scelte in modo responsabile, anche i consumatori sono così chiamati a condividere un comune progetto di sostenibilità ambientale.

 

 

Benvenute cipolle: ricche di virtù benefiche e protagoniste di tante ricette saporite

Senza cipolle non ci sarebbe il soffritto, e senza il soffritto, la metà dei sapori della nostra tradizione gastronomica non sarebbero più gli stessi. Si può dire che le cipolle, con il loro gusto intenso, rappresentano uno degli immancabili ingredienti protagonisti del successo della nostra cucina. Non a caso, nel periodo pandemico, quando eravamo tutti impegnati a cucinare per riempire le nostre case di profumi e sapori rassicuranti, la vendita delle cipolle ha registrato un consistente balzo in avanti. Per fortuna, le cipolle sono disponibili per tutto l’anno, visto che alcune varietà si raccolgono in primavera mentre altre nel periodo autunno-invernale.

 

In Italia, le due regioni in cui si registra una maggiore produzione di cipolle sono Emilia Romagna, con 3.000 ettari e 1.300.000 quintali, e Veneto, con oltre 700.000 quintali, soprattutto nelle province di Verona, Venezia e Rovigo.

 

La storia dell’uso della cipolla, originaria del continente asiatico risale all’Antico Egitto, dove la coltivazione di questo bulbo, insieme a quella dell’aglio e del porro, ebbe inizio. Addirittura, era così apprezzata che negli affreschi delle tombe dei faraoni veniva posta in mano ai defunti come lasciapassare per l’aldilà.
Del bulbo si consumano le cosiddette “tuniche”, che possono essere mangiate crude nelle insalate o cotte, in una varietà di preparazioni. In caso di difficoltà digestive o reflusso, è però consigliato consumarle cotte.

 

Oggi la cipolla è la pianta da orto più coltivata in Italia, per le sue qualità organolettiche ma anche per l’alto contenuto di sali, vitamine e principi antibiotici che la rendono ricca di proprietà terapeutiche. Soprattutto se coltivata nel rispetto del rigoroso disciplinare biologico, che esclude l’impiego di qualsiasi sostanza chimica di sintesi, come le Cipolle bio della linea Ohi Vita.

 

A questo bulbo infatti si riconoscono virtù decongestionanti per il mal di gola, disintossicanti per il fegato, stimolanti per lo stomaco, depuranti per l’intestino, rinforzanti per l’anemia. Già nell’antichità, il succo di cipolla era utilizzato per lenire la tosse, mentre nel caso di punture d’insetti, verruche, ascessi o ustioni si usava applicare alcune fette di cipolla cruda.

 

In generale, consumare regolarmente cipolle può aiutare il sistema immunitario, perché alcune sostanze che contengono migliorano l’assimilazione della vitamina C; può contrastare le infiammazioni nell’organismo; può combattere il colesterolo cattivo e ridurre la ritenzione idrica; può aiutare a tenere sotto controllo la glicemia. Inoltre il succo di cipolla, unito al miele, è un ottimo rimedio naturale per decongestionare tonsille e faringe.

 

Ma non finisce qui. Con neanche 30 Kcal per 100 g, a fronte di un elevato potere saziante, la cipolla può occupare un posto d’onore anche nelle diete dimagranti, dispiegando interessanti proprietà diuretiche e drenanti. Che fra l’altro la rendono una valida alleata anche nel contrasto alla cellulite. A questo scopo, bere l’acqua di cottura delle cipolle sembra possa avere effetti davvero benefici.

Esistono diverse varietà di cipolle, ben 20 tipi diversi solo in Italia, anche se soprattutto si distinguono in: cipolle rosse, come la cipolla di Tropea, dal sapore dolce, ottima da consumare cruda o per preparare composte da servire insieme ai formaggi; cipolle bianche, come la cipolla di Giarratana, di grosse dimensioni e molto dolce, indicate per focacce o preparazioni al forno; cipolline, ottime da conservare sott’olio o sott’aceto per accompagnare in modo gustoso bolliti o antipasti.

 

Chiacchiere, frappe, bugie cenci o crostole: le tante varianti del dolce di carnevale

Sempre gradite, soprattutto durante le feste, le chiacchiere sono dolci friabili, dal colore dorato, con una tipica forma rettangolare a strisce o a fiocco. Hanno un sapore unico e inconfondibile che le ha nel tempo imposte come il fine pasto più celebrato sulle nostre tavole a carnevale, grazie anche alle sue numerose varianti diffuse in ogni regione.

 

Perché sono chiacchiere in Basilicata, Campania, Puglia, Calabria e Campagna oltre che a Milano ma in Lazio e nelle Marche diventano frappe. Si chiamano sossole, galani o crostoli in Veneto, grostoi in Trentino, bugie in Liguria e Piemonte, cenci e crogetti in Toscana, meglio se preparati con il Vin Santo.

 

A Bologna diventano sfrappole, intrigoni a Reggio Emilia, fiocchetti in Romagna, in Sardegna sono note come meraviglie mentre in Sicilia prendono il nome di testi dei turchi. Qualsiasi sia il nome che lungo lo stivale venga loro attribuito, queste striscioline di pasta preparate con farina, burro, zucchero, vanillina, uova e un goccio di vino o liquore, fritte e cosparse di zucchero semolato o a velo, a volte passate al forno, rappresentano il dolce più consumato durante il carnevale.

 

La tradizione delle chiacchiere di carnevale accoglie usanze davvero molto antiche le cui origine risale alle frictilia, i dolci fritti nel grasso che gli antichi Romani usavano prepararsi proprio durante il periodo del loro calendario che, successivamente, sotto la chiesa cattolica, è diventato il carnevale, ovvero quello dei Saturnali. Secondo una delle tradizioni più accreditate fu Raffaele Esposito, cuoco di corte della regina Margherita di Savoia, che, alla richiesta di preparare un dolce da gustare durante una chiacchierata della regina con gli ospiti, realizzò questa gustosa preparazione battezzandola proprio con il suo nome attuale.

 

Da allora, le chiacchiere si sono diffuse in tutta Italia moltiplicandosi in varianti sfiziose, anche ripiene di marmellata o cioccolato. Nel Veneto, per esempio, così come in Friuli, si deve sentire la grappa nell’impasto mentre nei galani veneziani e veronesi spesso la grappa viene sostituita con il vino bianco o il rosolio. A volte prevale l’uso dello zucchero semolato, a volte si sceglie quello a velo, lo strutto spesso figura tra gli ingredienti non solo per la frittura ma anche nell’impasto. Insomma, in qualunque zona d’Italia ti trovi a festeggiare il carnevale, buona chiacchierata! Intanto, eccone una versione interessante….

 

 

Chiacchiere di carnevale

Ingredienti (4 persone)

  • 200 gr di farina 00
  • 2 uova intere
  • 1 dl di vino bianco
  • 30 gr di burro
  • Mezza bustina di lievito in polvere per dolci e 1 bustina di vanillina
  • 2 cucchiai di zucchero bianco
  • Olio di semi di girasole
  • 1 pizzico di sale
  • Zucchero a velo

 

Procedimento

Disporre la farina a fontana e mettere al centro le uova, il burro fuso, il sale, l’olio e gli altri ingredienti. Mescolare con la forchetta partendo sempre dal centro. Lavorare l’impasto fino a renderlo consistente e liscio, ma anche morbido. Formare un panetto, coprirlo con un telo e lasciarlo riposare a temperatura ambiente per 30 minuti circa.

Dividere l’impasto in varie parti e stendere con il matterello una sfoglia sottilissima oppure, con la macchina per la pasta, passare l’impasto più volte fino al livello 5.

Adagiare le sfoglie su un piano da lavoro infarinato e ricavarne strisce larghe e lunghe 8/10 cm. Inciderle al centro con la rotella dentata della pizza e ricavarne tante striscioline. Friggere le chiacchiere in una padella con abbondante olio di semi bollente senza sovrapporle, scolarle quando sono dorate, adagiarle su un piatto ricoperto di carta assorbente e lasciarle raffreddare prima di cospargerle con abbondante zucchero a velo.

Benvenute pere: aromatiche, zuccherine, succose e ricche di proprietà benefiche

Dall’inizio dell’autunno fino a primavera inoltrata, le pere ci deliziano con la loro consistenza soda e croccante e il loro gusto succoso e aromatico.  Williams, Max Red Bartlett, Kaiser, Abate Fétel, Decana, Carmen, Coscia, Conference…. In Italia, soprattutto nella pianura padana, sono tantissime le varietà coltivate e di ottima qualità, come la pera l’Abate Fétel, di origine francese, diventata una produzione a marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) dell’Emilia-Romagna.

Apprezzate per l’elevata digeribilità, per il sapore zuccherino, per il buon apporto di fibre che garantiscono e per la scarsa allergenicità, le pere sono un frutto che non può mancare sulla nostra tavola.

Secondo i dati di GfK Consumer Panel, nell’anno appena concluso circa la metà delle famiglie italiane ha acquistato pere, nonostante il prezzo medio sia salito di quasi il 20% rispetto all’anno precedente. L’Italia è sempre stata il più grande produttore europeo di questo frutto, con una produzione media pari a circa 700.000 tonnellate. Negli ultimi anni però le gelate primaverili e i lunghi periodi siccitosi, insieme agli attacchi di parassiti, hanno messo in crisi la filiera produttiva e nel 2022, sono stimate all’incirca 470.000 tonnellate di prodotto. Proprio per ridisegnare la produzione in un’ottica di sostenibilità e di riduzione degli sprechi, è nato nel 2020 ESPERA, il progetto triennale di Economia circolare e sostenibilità della filiera della pera IGP del Mantovano, volto alla valorizzazione del prodotto a vantaggio del produttore, ma anche del consumatore. È notizia recente il rapporto di Legambiente che individua proprio nelle pere uno dei frutti a maggior rischio di contaminazione da pesticidi.

 

Amata già dai Romani, con Plinio che menziona circa 40 cultivar conosciute, la pera, di origine asiatica, conobbe una straordinaria fortuna nel 1600 alla corte di Luigi XIV. La passione del re Sole e di tutta la sua corte è stata addirittura chiamata “follia della pera”, ritenuta un frutto simbolo del lusso e del privilegio, data la sua facile deperibilità.

 

In effetti, cogliere la pera al punto giusto di maturazione, che non deve essere troppo piena, e conservarla correttamente richiede un’attenzione particolare. In generale, la conservazione deve avvenire in luoghi freschi e ben areati, perché le pere assorbono facilmente gli odori, mentre quando sono mature sprigionano etilene, che può far marcire più facilmente i prodotti che vi si trovassero insieme.

Sotto il profilo nutrizionale, la pera, ricca di fibre, fruttosio e di sali minerali, come il potassio, è adatta per chi pratica molto sport e anche per lo svezzamento dei neonati. Sono inoltre riconosciute le sue proprietà antiossidanti, diuretiche remineralizzanti e antinfiammatorie, che lo rendono un frutto indicato anche per chi soffre di patologie infiammatorie croniche.

Per il loro particolare gusto aromatico, differente a seconda della varietà che si considera le pere sono ottime come ingredienti per raffinati dessert della tradizione: basti pensare alle pere cotte nel vino, o agli abbinamenti con la ricotta o il cioccolato. Ma si prestano anche a prelibati abbinamenti salati, soprattutto con i formaggi. Tanto che questo felice matrimonio di sapori è diventato il simbolo di uno dei segreti peggio conservati della storia, secondo il detto popolare che dice “al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”.