I consumatori italiani scelgono la sostenibilità e la chiedono certificata e ben spiegata in etichetta

La sostenibilità come standard oggettivo, misurata secondo criteri scientifici e comunicata con chiarezza sul packaging in modo che siano chiari i vantaggi che derivano dallo scegliere lo specifico prodotto green.

 

I consumatori italiani vogliono scegliere prodotti sostenibili e vogliono a farlo a ragion veduta, convinti come sono che oggi adottare comportamenti di consumo più rispettosi dell’ambiente sia una necessità e un traguardo raggiungibile solo collaborando tutti in modo sinergico, produttori, consumatori, istituzioni.

 

Sono questi i temi che emergono dalle ricerche sui comportamenti di consumo nel nostro Paese, condotte da Nielsen IQ e presentate al Marca di Bologna al convegno “La sostenibilità: leva strategica imprescindibile”, organizzato in collaborazione con Novamont.

Gli italiani sono solo a metà del cammino, visto che il Sustainability Commitment Index di NielsenIQ ha raggiunto un livello di 49 su una scala da 0 a 100, ma  l’impegno oggi coinvolge, seppure in modo diverso e su temi distinti, tutte le età:  fino ai 25 anni prevale l’interesse per la mobilità sostenibile; tra i 25-34 anni prevalgono cosmesi e turismo; tra i 35-44 anni, con l’acquisto della prima casa, prevale l’attenzione all’edilizia green; mentre gli over 45 sono il target più attento a una ‘spesa sostenibile’ a 360 gradi.

I dati NielsenIQ hanno evidenziato come oltre 21 milioni di consumatori (86% delle famiglie)  acquistano beni di largo consumo confezionato definiti come ‘sostenibili’ sulla base delle informazioni presenti sui packaging dei prodotti con riferimento alla produzione, ai materiali del pack, alla corporate responsibility o al rispetto degli animali e dell’ambiente (es. certificazioni bio, di sostenibilità, claim come cruelty free ecc.).
Con un valore pari a  14,5 miliardi di euro (dato al giugno 2022), il mercato dei beni sostenibili registra una crescita del 3.2% rispetto all’anno precedente, e non per dinamiche inflattive, ma per le scelte consapevoli dei consumatori in negozio.

Dall’analisi condotta sui principali settori del Largo Consumo emerge una consapevolezza sempre maggiore verso la sostenibilità e l’assunzione di responsabilità individuale da parte dei consumatori, sulla cui propensione all’acquisto sostenibile non incidono né la crisi né l’inflazione elevata. Basti pensare che:

 

Il 47% dei consumatori è disposto ad orientarsi verso marche che portano benefici alla persona ma anche all’ambiente;

 

Il 35% è disposto a cambiare le proprie scelte di consumo pur di comprare un prodotto green;

 

Il 26% è disposto a pagare un sovrapprezzo fino al 10% circa per un prodotto che sia davvero sostenibile.

 

Un’altra indicazione interessante riguarda il mondo del “food fresco sostenibile” che raggiunge un alto livello di gradimento da parte dei consumatori, ma con una quota di prodotti sul totale del rispettivo settore che risulta ancora ampiamente sotto la media.

 

Mentre i prodotti che più vengono classificati come ‘sostenibili’ da claim presenti sul packaging sono invece quelli verso i quali i consumatori nutrono più scetticismo, quali i prodotti per la cura della casa e per la cura della persona. D’altra parte, la ricerca Nielsen conferma come i brand, nel processo di sviluppo sostenibile, abbiano un ruolo centrale dal momento che una forte fidelizzazione alla marca può indurre a scelte responsabili.

Nel Largo Consumo italiano, la marca del distributore è quella che più di tutte è riuscita ad adeguarsi alle esigenze e dinamiche sostenibili di tutela ambientale, della filiera e del packaging, registrando una crescita costante sia nel fatturato che nei volumi, che supera la media del totale Italia e l’inflazione incalzante. Un trend positivo che coinvolge anche i prodotti premium, da filiera controllata, bio/eco-friendly e afferenti al mondo del benessere e del salutistico.

Come ha commentato Alberto Castellanza, responsabile commerciale di Novamont, “La risposta alla domanda se la sostenibilità sia una leva strategica imprescindibile non può che essere affermativa. Ma bisogna pensare e agire oltre gli slogan e oltre l’ordinario. Novamont non si è mai limitata a pensare prodotti di origine rinnovabile e a basso impatto ma ha sempre legato la loro sostenibilità a un complesso di fattori che vanno oltre le caratteristiche di biodegradabilità e compostabilità, coinvolgendo l’intera filiera di produzione e consumo con l’obiettivo di contribuire effettivamente alla rigenerazione dei territori e degli ecosistemi”.

Peperoncino piccante: tante le eccellenze italiane ma ne consumiamo ben più di quanto riusciamo a produrne

Il peperoncino piccante appartiene alla famiglia delle Solanacee, un grande insieme di oltre 2.200 specie che comprende anche piante come la patata, il pomodoro e la melanzana, parte dell’alimentazione quotidiana. Alla base di tantissime ricette tipiche della nostra cucina, il peperoncino è un grande protagonista della tradizione agroalimentare italiana: già conosciuto in Messico oltre 9mila anni fa, arriva in Europa con Cristoforo Colombo dopo la scoperta dellAmerica. Ed entra a fare parte delle ricette regionali del nostro Paese: in Italia ne consumiamo infatti 700mila quintali allanno secondo Coldiretti, il 70% del quale viene però importato dallAsia.

 

Da Cia sottolineano che attualmente la superficie mondiale investita a peperoncino è pari a circa 2 milioni di ettari e una produzione di circa 3 milioni di tonnellate. I principali paesi produttori di peperoncino al mondo con il maggior numero di ettari coltivati sono l’India (800.000 ettari), l’Etiopia (440.000 ettari); il Myanmar (133.000 ettari), seguiti da Bangladesh, Thailandia, Pakistan e Vietnam, mentre in Europa il principale paese è la Romania (56.000 ettari). E in Italia? Purtroppo, ricordano da Cia, la coltivazione del peperoncino nel nostro Paese ha goduto in passato di scarsa attenzione, identificato come sottospecie del peperone e considerato come spezia e non prodotto agricolo a tutti gli effetti. Questo l’ha spesso confinato alla passione degli hobbisti negli orti o nelle terrazze condominiali, per il solo consumo familiare.

 

La richiesta nazionale di peperoncino è così alta che la produzione italiana, concentrata nelle regioni della Calabria, Basilicata, Puglia, Lazio, Sicilia e Abruzzo, non soddisfa la domanda interna. Anche se Pietro Serra, presidente del Consorzio dei produttori del peperoncino di Calabria, spiega che: “La campagna del peperoncino calabrese quest’anno è andata bene, anche se la prima parte della stagione è stata segnata da una forte siccità che ha portato a un calo di produzione. Quel che è certo è che il peperoncino non è stato toccato dalla crisi economica che ha coinvolto altri settori in Italia. Il peperoncino calabrese è infatti in continua crescita sia sui mercati italiani che su quelli europei. E oggi come Consorzio non abbiamo un grammo di peperoncino disponibile e invenduto in sede. È stato tutto prenotato e venduto”.

 

“Quest’anno – continua Serra – il nostro consorzio ha prodotto peperoncino su 47-48 ettari, sparsi su tutto il territorio regionale. Sembrano numeri piccoli, ma in realtà sono grandi numeri perché è un ortaggio periodico, il tutto si completa in 4 mesi. La produzione di peperoncino è impegnativa, si arriva a 10mila quintali annui. Questi sono i numeri delle nostre aziende consorziate”.

 

Ma la produzione calabrese di peperoncino non si esaurisce qui: “C’è una grossa parte di aziende e di cittadini calabresi che lo producono in modo amatoriale. In Calabria tutti hanno una pianta di peperoncino”.

 

La strada per fare crescere sempre più sui mercati il peperoncino calabrese passa dal riconoscimento dell’Igp: “Abbiamo chiesto come Consorzio il riconoscimento Igp. La pratica è stata presentata e inoltrata da Regione Calabria e Ministero a Bruxelles a novembre 2022, i tempi tecnici solitamente sono di 24 mesi”. Le caratteristiche principali del peperoncino calabrese consistono sostanzialmente in due fattori: i sentori unici che il prodotto riesce garantire e la sua piccantezza. Tutto ciò dipende dal microclima e dalle caratteristiche orografiche della Calabria. Il peperoncino è il simbolo della cucina calabrese ed è il terzo elemento più usato in cucina dopo sale e zucchero.

 

 

 

 

Cereali e legumi: un mix di gusto e principi nutritivi con un ridotto impatto ambientale

Consumati assieme, legumi e cereali sono una ottima fonte di fibre, carboidrati, vitamine e sali minerali. Il Misto di legumi e cereali biologici Ohi Vita è pensato proprio per essere una fonte di energia all’interno di una dieta equilibrata e salutare.

 

Lelevato contenuto in fibre vegetali di legumi e cereali contribuisce, infatti, al corretto funzionamento dell’intestino e le stesse fibre sono preziose anche per tenere sotto controllo la glicemia, i livelli di colesterolo e i trigliceridi nel sangue. Senza dimenticare che, per la loro digeribilità e per il senso di sazietà che inducono, cereali e legumi sono alimenti indicati nelle diete ipocaloriche. E la ricchezza di sali minerali come fosforo e potassio, magnesio e ferro sostiene, inoltre, il processo di mineralizzazione delle ossa.

 

Insomma, un vero e proprio mix di benessere con una lunga tradizione:

 

legumi e cereali sono state le prime piante coltivate da parte dell’uomo a tutte le latitudini per l’elevato contenuto nutrizionale, la facilità di adattamento a climi e suoli diversi, e per la possibilità di essere conservati a lungo, una volta essiccati o in forma di farina.

 

Se l’addomesticazione dei cereali risale a circa 8000 anni prima di Cristo, recenti studi archeologici, condotti nel distretto israeliano di Haifa, ipotizzano che un primo uso dei cereali da parte delluomo, che in questo caso li raccoglieva come piante spontanee, sia stato legato a pratiche di birrificazione databili addirittura 13 mila anni fa, ben prima dello sviluppo dell’agricoltura cerealicola.

 

I legumi, tranne i fagioli che oggi conosciamo, provenienti dall’America, e la soia, che viene dall’estremo Oriente, sono tutti originari del bacino del Mediterraneo e del vicino Oriente, dove sono coltivati da migliaia di anni. Dopo essere stati il pilastro dell’alimentazione delle civiltà antiche, per tanti secoli furono ritenuti un cibo da poveri. Soltanto nel Settecento, con l’Illuminismo, vengono rivalutati come alimento importante nella dieta di tutte le classi sociali, non solo le meno abbienti.

 

I piselli, che invece per migliaia di anni erano stati mangiati prevalentemente essiccati, una volta consumati freschi vennero considerato un cibo raffinato ed elegante per la consistenza tenera ed il sapore dolce. E l’uso di mangiarli freschi sembra provenisse proprio dall’Italia, introdotto forse dai cuochi al seguito di Caterina de’ Medici andata sposa a Enrico II. Da quel momento, il consumo di piselli novelli in Francia diventò una vera e propria moda alla corte di Luigi XIV, come racconta la sua favorita Madame de Maintenon in una lettera del 1696: “Il capitolo dei piselli dura ancora: l’impazienza di mangiarne, il piacere di averne mangiati, la gioia di poterne mangiare ancora sono i tre punti che i nostri principi trattano da quattro giorni. Ci sono dame che dopo avere cenato col re, e bene, si fanno preparare a casa dei piselli per mangiarli prima di andare a dormire, a rischio di indigestione. È una moda, un furore”.

 

Gli alimenti che fanno bene alla salute fanno, per altro, bene anche all’ambiente. L’associazione cereali e legumi può rappresentare un pasto ricco di principi nutritivi con un ridotto impatto ambientale in termini di consumo di risorse ed energie. Il consumo di proteine vegetali è infatti la principale strategia per la sostenibilità delle filiere agroalimentari indicata dalla comunità internazionale. I legumi, oltre a essere molto ricchi di principi nutritivi, sono anche piante che contribuiscono alla fertilità dei suoli agricoli per la loro capacità di fissare grandi quantità di azoto nel terreno, rendendolo molto più produttivo. Fin dall’Alto Medioevo, le leguminose furono, proprio per questo, coltivate in campo aperto assieme ai cereali per sfruttare al meglio la loro capacità di restituire fertilità al terreno.

 

 

Le eccedenze dei banchetti nuziali arrivano alle mense sociali grazie ai Foodbusters, gli Acchiappa cibo delle Marche

Sono i Foodbusters, gli Acchiappacibo, e combattono non i fantasmi ma qualcosa di molto più concreto, lo spreco alimentare. Quella subdola cattiva pratica che, soltanto nel nostro Paese, riduce a rifiuto qualcosa come 675 grammi circa di cibo pro-capite alla settimana, secondo i dati del Waste Watcher International, diretto da Andrea Segre, per un costo totale annuo pari a 9,2 miliardi di valore.

 

Nel caso del cibo recuperato dai Foodbusters, non si tratta nemmeno di uno spreco comune, ma di quello che condannerebbe alla pattumiera prelibatezze tra le più raffinate, ricette tra le più ricercate e materie prime tra le più pregevoli. In una parola, tutto che quello che chi festeggia matrimoni, o altre cerimonie e ricorrenze, sceglie con cura per offrirlo ai propri ospiti, ma che, quando avanza, viene invece gettato via, senza nessun riguardo.

 

Così, nelle Marche gli Acchiappa cibo, riuniti in una associazione dal 2016 grazie all’iniziativa di Diego Ciarloni e della moglie Simona, si impegnano a recuperare tutto quello che avanza durante feste e meeting aziendali per portarlo alla mensa sociale più vicina al luogo dell’evento, garantendo il rispetto delle norme igieniche di trasporto e conservazione.

Una iniziativa che consente di gustare ottimo cibo, festeggiando quell’abbondanza non solo recuperando il cibo, ma creando anche una rete di relazioni e condivisione sociali.

 

“Chiamare i Foodbusters significa decidere di far parte di un mondo di folli “supereroi” che, compiendo un gesto di generosità equa e solidale a 360°, pensano che sia giusto impegnarsi per provare a contribuire ad una giusta causa – spiegano gli associati, che sono oggi più di 20 -. Dunque, sottrarre cibo allo spreco significa eco-sostenibilità, ovvero attivare un circolo virtuoso: il potenziale alimento-rifiuto mantiene le sue qualità intatte divenendo risorsa che sfama, offre un’occasione di reintegro sociale e crea valore etico. Donare il cibo in eccesso, inoltre, rende ogni evento più gradevole in chi vi partecipa e un’importantissima testimonianza di valori etici in chi decide di scommettere insieme a noi sul recupero, siano essi coppie di sposi, aziende o organizzatori di eventi.”

 

L’associazione è entrata a fare parte della rete Foof P.r.i.d.e. (partecipazione, recupero, inclusione, distribuzione e educazione), che riunisce realtà su tutto il territorio italiano attive nella lotta allo spreco alimentare, come azione a beneficio dell’intera collettività.

 

Ad oggi, i Foodbusters sono stati chiamati a raccogliere il cibo in eccedenza a più di 2000 cerimonie nuziali. “Abbiamo cominciato a proporre la nostra idea agli amici e conoscenti che organizzavano feste e matrimoni, ma la cosa si è allargata in breve tempo – ha dichiarato Diego Ciarloni in una recente intervista -. Oggi veniamo chiamati perfino dalle weeding planner, che fino a poco tempo fa, ci vedevano con grande diffidenza. Ora sono nostro sponsor”.

 

Ogni banchetto nuziale frutta di solito dalle 60 alle 70 porzioni di cibo fresco – e buonissimo – che viene recuperato e ridistribuito nelle mense sociali più vicine, per percorrere il minor tragitto possibile e trasformare quello spreco potenziale in una risorsa preziosa per il territorio. In fondo, si tratta di un modo per proseguire la festa, insieme a invitati che non si conoscono, ma che certamente apprezzeranno e gioiranno del raffinato e prelibato menu che gli verrà offerto.

Sempre più prodotti 100% italiani nel nostro carrello della spesa, con uno sguardo a benessere e sostenibilità

Come si stanno organizzando gli Italiani per far fronte alla inflazione crescente? Che cosa emerge dai trend di consumo del 2022? L’Osservatorio Immagino di GS1 Italy ha monitorato  l’andamento delle vendite di quasi 130 mila prodotti tra food & beverage, cura casa e cura persona (che hanno costituito l’82,3% dell’incasso complessivo di supermercati e ipermercati italiani per un valore di oltre 41 miliardi di euro), dividendoli in 11 carrelli  equivalenti ad altrettante tendenze di spesa – dal free from all’italianità, dalle certificazioni etico e ambientali fino ai prodotti green – e seguendone l’evoluzione nel corso degli ultimi 12 mesi, incrociando i dati del servizio Immagino di GS1 Italy con quelli elaborati da NielsenIQ.

“Alla luce della crescente attenzione verso comportamenti di consumo volti al risparmio in risposta agli elevati tassi di inflazione, l’Osservatorio Immagino ha voluto offrire una prima indagine del mercato con l’obiettivo di offrire una lettura della domanda di convenienza da parte dei consumatori attraverso le lenti dei claim, delle etichette e delle certificazioni monitorate sulle confezioni» ha spiegato Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy.

L’Osservatorio Immagino ha dunque mappato il posizionamento di prezzo dei diversi assortimenti individuati e ha costruito un “paniere convenienza”, in cui ha collocato tutti i prodotti che presentano le parole “risparmio” od “offerta”, monitorandone le performance.

«Con l’accelerazione dei prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona e di quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto, il carrello della spesa si è appesantito e, quindi, per non stravolgere il suo stile di vita, il consumatore ha cercato di trovare e applicare diverse soluzioni» ha osservato Cuppini.

È forte infatti la discontinuità delle scelte rispetto all’anno precedente con una diffusa contrazione della domanda a cui si è contrapposto un generalizzato aumento dell’offerta, a testimonianza della reattività e del dinamismo dei produttori e dei retailer.

Per quel che riguarda il cibo, i trend che hanno mostrato di guidare le scelte d’acquisto degli italiani sono stati:

L’italianità dei prodotti in tutte le declinazioni, dal “100% italiano” alle indicazioni geografiche (come Dop e Igp) fino alla presenza di un richiamo alla regione di provenienza;

Alimenti Free from, per esempio “senza zuccheri” o “senza antibiotici”;

Alimenti Rich-in, con più fibre o più proteine, soprattutto;

Prodotti che rispettano le intolleranze, “senza glutine” o “senza lattosio”, “senza latte” o “senza uova”;

I prodotti associati ad un preciso lifestyle, come vegano o vegetariano;

L’indicazione di loghi e certificazioni di qualità che attestino garanzie precise;

La presenza di ingredienti benefici per la salute (dall’avena ai semi di sesamo, passando per o zenzero e molti altri);

L’indicazione del metodo di lavorazione (trafilato al bronzo o a lievitazione naturale per esempio);

La consistenza dei prodotti (croccante o soffice, ruvido o liscio, per citarne alcune).

Inoltre, la fotografia dei consumi dell’anno 2022 non può prescindere dai temi legati alla sostenibilità, un valore che sta sempre più a cuore dei consumatori italiani. Che soprattutto si sono mostrati interessati alle informazioni presenti in etichetta circa l’uso sostenibile delle risorse, l’agricoltura e l’allevamento sostenibile, la responsabilità sociale, il rispetto degli animali e l’impiego di packaging riciclabile, con in etichetta le indicazioni utili a gestire le confezioni dopo l’uso.

Meno grassi, più proteine nel carrello degli italiani. E tanti nuovi superfood: dai funghi shiitake alla moringa

Più attenzione alle proteine, meno zuccheri, spopolano nuovi superfood come l’avena e il cacao, . E, ancora, più prodotti 100% italiani o di filiera e grande cura per la convenienza. Sono i trend che stanno orientando il carrello della spesa degli italiani secondo l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che monitora l’andamento delle vendite di quasi 130 mila prodotti tra food, beverage, cura casa e cura persona, per oltre 41 miliardi di euro.

 

Per quanto riguarda il food, vince l’italianità in tutte le declinazioni, dal 100% italiano alle indicazioni geografiche, fino alla presenza di un richiamo alla regione di provenienza. Emerge anche l’attenzione al metodo di lavorazione: trafilato al bronzo o non fritto, non filtrato o a lievitazione naturale.

 

Entrando, poi, nei regimi alimentari, crescono le proteine nel carrello della spesa degli italiani. Sono aumentate dell’1,7% in un anno, come anche le fibre (+1,4%), e si confermano ancora una volta il nutriente in maggiore ascesa. Stabili o quasi i carboidrati (+0,2%), mentre calano grassi (-1,2%) e zuccheri (-0,8%). Intanto si fa sempre più lunga la lista degli ingredienti benefici, che valgono quasi 3,8 milioni (+12,7%), con diverse new entry come l’avena, il cacao, l’acqua di cocco e l’olio di riso.

 

Nel comparto prodotti free from e delle intolleranze i richiami più importanti sono quelli senza zuccheri o senza antibiotici, senza glutine e senza lattosio, ma anche senza latte o senza uova. Mentre nei rich-in quelli ricchi o arricchiti, come proteine o fibre. Tra i 34 ingredienti benefici più di successo che vanno dalle spezie alla frutta, dai cereali ai dolcificanti, si affermano tanti prodotti tradizionali e radicati nei consumi italiani. E, quindi, non solo matcha, goji o spirulina, ma semi di zucca, noci, nocciole e caramello.

 

In ambito plant-based, invece CiboCrudo ha identificato alcuni alimenti di punta per il 2023 intrecciando le ricerche e i trend su TikTok e Instagram con gli studi scientifici e i temi più studiati dagli esperti del settore. individuando otto superfood di tendenza: dalla moringa (una pianta sub-himalayana molto ricca di vitamine che si usa aggiungere in polvere ai frullati di frutta o verdura) ai semi di canapa con il loro aroma di nocciola e la riserva di acidi grassi omega-3 e vitamine. Dalle proteine vegetali in polvere come integratore alimentare ideale per gli sportivi alla clorofilla, con le sue proprietà antiossidanti, che si trova in abbondanza nell’erba di grano. Dai grassi buoni, presenti nel burro di cacao o di cocco, ai funghi shiitake come insaporitore di piatti crudi o cotti da gustare anche in accordo con la paprika affumicata. Senza dimenticare le erbe ayurvediche alle alghe Irish moss che hanno numerosi effetti benefici per il corpo umano, a partire da una certa efficacia nel supporto alla produzione di collagene.

Si chiama acido butirrico ed è uno dei migliori amici del nostro metabolismo

Acido butirrico, questa è una molecola che dobbiamo tenere a mente. Al centro di diverse indagini scientifiche, sta rivelando proprietà benefiche molto preziose per il nostro corpo. Sembra infatti sia in grado di assicurare la salute del nostro intestino, regolando il buon funzionamento del sistema immunitario, del metabolismo e del sistema nervoso a tutte le età. In particolare, una recente ricerca in ambito pediatrico, condotta dall’Università degli Studi di Napoli Federico II in collaborazione con il laboratorio di Immuno-nutrizione del CEINGE, ha messo in luce il suo ruolo nel contrastare in modo efficace l’obesità infantile.

“È un metabolita ‘centrale’ per il nostro stato di salute implicato nella regolazione di numerose e importanti funzioni del nostro organismo sia a livello intestinale che extra-intestinale: sistema immunitario (ci protegge dalle infezioni e dalle allergie), metabolismo (regola il metabolismo degli zuccheri e dei lipidi, e il senso di fame), sistema nervoso centrale, e molto altro”, ha spiegato in una recente intervista  Roberto Berni Canani, Direttore del Laboratorio di Immunonutrizione del CEINGE Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli e del Centro di Allergologia Pediatrica del Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali – Università degli Studi di Napoli Federico.

Lo studio clinico ha riguardato 60 bambini affetti da obesità di età compresa tra 5 e 17 anni, che hanno ricevuto, oltre al trattamento standard che comprendeva modifiche delle abitudini alimentari e dello stile di vita, la somministrazione per bocca di acido butirrico per 6 mesi.

 

Aggiungendo l’acido butirrico a una dieta sana e equilibrata, priva di prodotti ultra processati, il gruppo di ricerca napoletano ha così scoperto che questa molecola facilita la perdita di peso, riduce il senso di fame e migliora il metabolismo dei grassi e degli zuccheri. Data la funzione centrale che svolge nel nostro metabolismo corporeo, l’acido butirrico può dunque essere considerato un “anti-obesogeno” naturale.

 

L’acido butirrico, che in termini scientifici è un acido grasso saturo a catena corta, rappresenta infatti una fonte energetica importantissima per le cellule delle nostre mucose intestinali e per l’equilibrio del microbioma, fondamentale per assicurarci un buono stato di salute. All’acido butirrico si associano anche proprietà antiinfiammatorie e di contrasto all’insulino-resistenza.

L’acido butirrico può essere assunto consumando cibi come il burro crudo e altri prodotti lattiero-caseari quali latte e formaggi. Ma anche il nostro corpo è in grado di produrlo: i batteri presenti nel tratto gastrointestinale, come quelli probiotici, possono infatti produrre quantità significative di acido butirrico fermentando fibre alimentari e carboidrati non digeribili. Pertanto consumare cibi ricchi di fibre come orzo, avena, riso integrale e crusca, frutta e verdura, come carciofi, aglio, cipolle, asparagi, patate, banane, mele, albicocche, carote è un altro modo salutare per ottenere questo prezioso metabolita. Particolarmente utile si è rivelato l’amido resistente, che si trova nel pane raffermo o nella pasta fredda. Per concludere, anche il Parmigiano reggiano, la carne rossa, l’olio extravergine di oliva, l’aceto e i cibi fermentati garantiscono la sintesi di questo nutriente essenziale per il nostro benessere.

 

 

 

Non è vero che il caffè fa alzare la pressione: il risultato in contro tendenza della ricerca dell’Università di Bologna e IRCCS

Sembra impensabile, visto che è diventata l’abitudine più diffusa da Nord a Sud nel nostro Paese, ma il caffè espresso è una invenzione relativamente recente. Si afferma infatti a partire dal secondo dopoguerra. Al nord è più lungo, al sud più corto e servito in tazza bollente, a Roma nel bicchierino di vetro, ma ovunque e per tutti prendersi un caffè rappresenta un appuntamento quotidiano davvero irrinunciabile. Con anche dei benefici per la salute, visto il potere energizzante di questa bevanda, e una certa protezione che può esercitare rispetto al rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e del fegato, diabete di tipo 2 e morbo di Alzheimer.

Oggi, la più recente ricerca scientifica giunge a sfatare una convinzione radicata che invece vedeva una correlazione negativa tra consumo di caffè e ipertensione.

Un nuovo studio, realizzato dal Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna ed IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola, ha scoperto che bere caffè può aiutare a tenere sotto controllo la pressione sanguigna.

 

Secondo la ricerca pubblicata sulla rivista Nutrients, infatti, chi ne beve due o tre al giorno ha la pressione più bassa rispetto a chi ne beve una sola tazza o a chi non ne prende affatto. Un dato che vale sia a livello periferico che per la pressione aortica centrale, quella più vicina al cuore.

 

“I risultati che abbiamo ottenuto mostrano che chi beve regolarmente caffè ha una pressione sanguigna significativamente più bassa, sia a livello periferico che a livello centrale, rispetto a chi non ne beve”, spiega Arrigo Cicero, professore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna e primo autore della ricerca.

“Si tratta del primo studio ad osservare questa associazione sulla popolazione italiana, e i dati confermano l’effetto positivo del consumo di caffè rispetto al rischio cardiovascolare“, sottolineano i ricercatori.

Prendendo in considerazione un campione di circa 1500 persone, tra uomini e donne, per ognuna sono stati confrontati i livelli della pressione sanguigna e le abitudini di consumo del caffè, insieme a una serie di altri dati clinici.

I risultati di questo studio “osservazionale” hanno mostrato che la pressione arteriosa periferica è decisamente più bassa nei soggetti che consumano da una fino a tre tazze di caffè al giorno rispetto ai non consumatori di caffè. Un consumo in linea con il parere scientifico dell’EFSA (Autorità Europea per la sicurezza alimentare), che afferma che 400mg di caffeina al giorno sia la dose corretta per la maggior parte degli individui.

“La caffeina è solo uno dei diversi componenti del caffè e certamente non è l’unico che ha un ruolo attivo: effetti positivi per la salute umana sono stati registrati infatti anche tra chi consuma caffè decaffeinato – conclude Cicero -. Sappiamo che la caffeina può contribuire ad aumentare la pressione sanguigna, ma altri componenti bioattivi nel caffè sembrano controbilanciare questo effetto, con un risultato finale positivo rispetto ai livelli della pressione”.

 

 

Nutrienti e digeribili, le patate sono amiche del nostro benessere se le consumiamo lesse: lo rivela una ricerca australiana

Un alimento ricco di vitamine, minerali e con una quota proteica che ne completa il profilo nutrizionale: le patate sono un alimento molto versatile e gradito per le tante possibilità che offrono in cucina. Si possono preparare arrosto, fritte, lessate, calde, fredde, come ingredienti di impasti e ripieni. Del resto ricche come sono di carboidrati complessi, fibre e proteine vegetali, vitamine e sali minerali, a fronte di un contenuto calorico non elevato (con 72 Kcal per 100 grammi di alimento) le patate sono un ingrediente fondamentale della nostra dieta, capace di indurre sazietà e tenere sotto controllo la fame.

 

Ma non tutti i modi di prepararle le rende ugualmente vantaggiose per il nostro benessere. Una recente ricerca condotta dalla Edith Cowan University (ECU), in Australia, ha rivelato che la cottura migliore per godere delle proprietà nutrizionali delle patate consiste nel lessarle intere e consumarle una volta che si sono raffreddate.

 

Le patate lessate sono dunque un alimento altamente digeribile, tanto da essere definite amiche dello stomaco e indicate anche nell’alimentazione di chi soffre di gastriti, ulcere e coliti, per le loro virtù depurative e disinfiammanti dell’apparato digerente. Ottima fonte di vitamine, le patate contengono Vitamina C, che in parte viene però perduta con la cottura, e vitamine del gruppo B, essenziali per trasformare il cibo in energia e sostenere le funzioni del nostro organismo. Significativa è la presenza di potassio per cui le patate costituiscono un aiuto contro l’ipertensione. Presenti anche altri oligoelementi come fosforo, magnesio, calcio e zinco, che sono micronutrienti fondamentali per promuovere i processi metabolici, favorendo e migliorando il nostro stato di salute complessivo.

Ma quando lessiamo le patate è meglio conservarne la buccia? La risposta è sì, perché questo evita la dispersione nell’acqua di cottura di alcune delle preziose sostanze che contengono. Dunque il consiglio è quello di scegliere patate biologiche, come quelle della linea Ohi Vita, un prodotto 100% italiano e proveniente da colture biologiche certificate. Un’attenzione alla salute e al benessere tanto più significativa in presenza di un alimento come le patate che, essendo tuberi, possono facilmente assorbire le sostanze chimiche contenute nel terreno in cui vengono coltivate. Produrre secondo il rigoroso disciplinare biologico vuol dire infatti applicare tecniche agronomiche che preservano i suoli, escludono l’impiego di sostanze chimiche di sintesi e garantiscono l’assenza di additivi nel prodotto finale.

Una volta scelte patate dalla buccia liscia, integra e senza germogli, occorre sciacquarle e spazzolarle con cura. Poste in una pentola con abbondate acqua fredda a ricoprirle, si lasciano bollire per circa 20-30 minuti, anche se il tempo di cottura dipende in buona parte dalle loro dimensioni (per essere sicuri che le patate siano cotte al punto giusto, si possono infilzare delicatamente con una forchetta o uno stuzzicadenti). L’importante è sbucciarle quando sono ancora tiepide per procedere più velocemente.

E con le bucce che avanzano? Una buona idea, ma tutt’altro che dietetica, è metterle su una teglia con un po’ di olio e rosmarino e farne delle deliziose chips per l’aperitivo. Oppure si può seguire il consiglio del romanzo epistolare Il Club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey di Mary Ann Shaffer e Annie Borrows, in cui le bucce di patate diventano l’ingrediente di un dolce di fortuna preparato con quel poco che si può trovare in un’isola sotto l’occupazione nazista in uno stato di fame, povertà e degrado.

 

Più frutta e verdura per i bimbi che danno una mano in cucina

Coinvolgere i bambini nella preparazione dei pasti in modo giocoso li convince a consumare più frutta e verdura superando il rifiuto per alcuni cibi. Un team di ricercatori del Crea Alimenti e Nutrizione ha portato in evidenza come circa il 95% dei bambini che consuma maggiormente questi alimenti effettua entrambi i pasti principali nel nucleo familiare. Questo, anche perché i bambini (non tutti, ma tanti) rifiutano l’assaggio di alimenti nuovi, soprattutto verdura e frutta. Proprio questa diffidenza verso nuovi alimenti e nuovi sapori può essere superata attraverso strategie educative che passano proprio dal coinvolgimento dei più giovani nella preparazione del pranzo e della cena.

 

Facendoli partecipare in modo giocoso alla pulizia, al taglio e alla disposizione delle verdure nei piatti si offre, infatti, ai bambini una maggiore familiarità con frutta e verdura e una più evoluta consapevolezza dell’importanza di un’alimentazione completa. Un’alimentazione come quella indicata dalla dieta mediterranea che può anche contribuire al controllo del peso perché le fibre di cui sono ricci i frutti e le verdure contribuiscono a rallentare lassorbimento di zuccheri e grassi e apportano un senso di sazietà. In più, i vegetali sono fonte di minerali fondamentali per l’organismo e antiossidanti che aiutano a proteggere l’organismo. Anche perché la dieta mediterranea, oltre ai vegetali dà spazio a cereali, olio di oliva, pesce, semi, legumi, carne bianca, latticini e uova.

 

Proprio per questo la dieta mediterranea si è classificata per la sesta volta consecutiva prima nella classifica annuale delle diete stilata dall’U.S. News&World’s Report’s. Dal confronto tra le 24 diete analizzate, ne è uscita vincitrice proprio perché “varia, gustosa e sana”.

 

È anche risultata la la migliore dieta plant-based, la migliore per la salute delle ossa e delle articolazioni e prima classificata anche come dieta adatta a tutta la famiglia. Insomma, un modello dietetico in grado anche di adattarsi alle altre culture e aree geografiche del mondo.

 

Una dieta che è anche un grande insegnamento per la formazione di una cultura alimentare corretta e soddisfacente, come ben presente anche ai 69 istituti scolastici afferenti a tutto il territorio della Asl Napoli 3 sud, per un totale di 10.469 alunni e rispettive famiglie, che hanno ricevuto e praticato il Gioco della Dieta Mediterranea. Una sorta di Gioco dell’Oca che nasce con l’intento di unire l’educazione alimentare e l’educazione motoria conducendo i bambini alla scoperta dei cibi e dei sapori e facilitando l’apprendimento di uno stile di vita sano e attivo. Stesso intento anche per il progetto EST DIEM – Dieta Mediterranea all’estero, che porta in classe leducazione alimentare attraverso attività divulgative e pratiche per sensibilizzare studenti, insegnanti e famiglie sulla Dieta Mediterranea come modello culturale sano, sostenibile e fondamentale per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili. Il progetto didattico Dieta Mediterranea come modello, promosso dal Ministero della Salute in collaborazione con il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, lIstituto Superiore di Sanità e la ASL Città di Torino, punta a offrire agli studenti delle scuole gli strumenti per operare una scelta consapevole e controllata attraverso la proposta di specifici modelli e contenuti didattici relativi proprio ai principi della Dieta Mediterranea.