Per i giorni di festa, un classico gustoso e irrinunciabile della tradizione ligure: le lasagne al pesto

I Romani chiamavano laganum le sfoglie quadrate di farina di grano, cotte al forno o sul fuoco e condite con le carne. Il formaggio entra nella ricetta codificata delle lasagne in un ricettario della Corte Angioina di Napoli del Quattordicesimo secolo, mentre il pomodoro deve attendere, sempre a Napoli, la fine dell’Ottocento. La lasagna a strati, così come ancora oggi la mangiamo alternando i quadrati di pasta con il formaggio e la carne, si deve, invece, sempre nell’Ottocento, all’emiliano-romagnolo Francesco Zambrini.

 

Si tratta di un formato di pasta che attraversa l’Italia venendo declinata in una varietà incredibile di ricette: una sorta di piatto delle domenica e delle feste che non può mancare sulle nostre tavole.

 

È su Il cuciniere italiano moderno del 1844 che appaiono per la prima volta le ricette delle lasagne alla genovese, nella versione di grasso e in quella di magro, indicata per quel periodo del calendario liturgico in cui non era consentito il consumo di carne. Le lasagne di grasso prevedevano un sugo di carne rimasto ancora oggi nella tradizione napoletana con il nome di sugo alla genovese, servito spesso con gli ziti spezzati a mano. La variante di magro, con basilico, aglio e formaggio, è quella che proponiamo, oggi, con il condimento ligure per eccellenza: il pesto. E con l’aggiunta di patate e fagiolini, secondo il tradizionale abbinamento con questo tipo di sugo.

 

Lasagne al pesto con patate e fagiolini

Ingredienti (4 persone)

  • Sfoglia fresca all’uovo 300 gr
  • Pesto alla genovese 400 gr
  • Patate 200 gr
  • Fagiolini 200 gr
  • Parmigiano reggiano grattugiato 100 gr

Per la besciamella

  • Latte 500 ml
  • Burro 50 gr
  • Farina 50 gr
  • Sale e noce moscata

Procedimento

Mettere una casseruola sul fuoco e sciogliere lentamente il burro. A fiamma bassa incorporare poco a poco la farina mescolando con la frusta per non formare grumi. Versare il latte a temperatura ambiente, poco alla volta, mescolando con cura. Aggiustare di sale e noce moscata e cuocere fino a alla giusta composizione: la besciamella deve restare morbida.

Sbucciare le patate e tagliarle a dadini, pulire i fagiolini. Lessare il tutto per alcuni minuti in acqua salata e scolare.

Scottare le lasagne in acqua bollente salata.

In una pirofila da forno disporre sul fondo uno strato di besciamella, poi le lasagne senza sovrapporle.

Sopra alle lasagne disporre uno strato di pesto e uno di besciamella. Finire con qualche pezzetto di patata, qualche fagiolino e uno strato sottile di Parmigiano grattugiato. Poi, ancora, uno strato di lasagne, di pesto, di besciamella, di verdure e di formaggio, procedendo così fino ad esaurire tutti gli ingredienti.

Terminare con uno strato di besciamella e di pesto.

Cuocere le lasagne al pesto in forno preriscaldato ventilato a 200 gradi per circa 30 minuti.

 

 

Prelibatezza amata fin dall’antichità, la frutta secca porta il sapore dell’abbondanza e dell’energia sulla tavola imbandita a festa

Noci, mandorle, pistacchi, nocciole, fichi, albicocche, prugne e datteri: non c’è pranzo o cena delle feste di Natale e Capodanno che non li preveda, ad accompagnare i dolci della tradizione. Retaggio di un’usanza antica, che risale all’epoca romana, quando nessun banchetto poteva dirsi davvero raffinato se non si fosse concluso con abbondante frutta secca.

 

Senza esagerare con le quantità, per via dell’elevato apporto calorico, si tratta anche di una abitudine salutare, oltre che golosa. La frutta secca è ricca di sostanze nutritive come vitamine, fibre, proteine nobili, sali minerali e acidi grassi Omega 3 che, soprattutto nella stagione fredda, rappresentano validi alleati per mantenersi in forma, apportando straordinari benefici per la salute.

 

Un tempo considerata troppo calorica per il consumo quotidiano, negli ultimi anni ha conquistato un posto di prestigio anche nella nostra dieta quotidiana, grazie alle sue riconosciute proprietà benefiche per la salute. Un’elaborazione di Coldiretti su dati Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), ha rivelato che negli ultimi dieci anni i consumi degli italiani sono praticamente raddoppiati, raggiungendo i tre chilogrammi all’anno per persona.

 

La frutta a guscio, come noci, nocciole, mandorle e pistacchi, è infatti ricca di fibre e grassi buoni Omega 3, utilissimi per contrastare la fame e per combattere il colesterolo cattivo.  Mangiarne una manciata a colazione, oppure come spuntino rompi-digiuno in mattinata o al pomeriggio è una buona pratica per fare il pieno di energia in modo salutare. L’importante è consumarla essiccata al naturale e non tostata o salata, perché non conserverebbe integre le stesse proprietà nutrizionali

 

Anche la frutta disidratata o essiccata, come i fichi, le albicocche, i datteri e le prugne costituisce una preziosa fonte di energia.

Nello specifico, i datteri sono un’ottima fonte di fibre, di vitamine come la A e la C e di minerali come ferro e potassio. A fine pasto, visto il loro gusto intenso e molto gratificante, possono essere consumati, in quantità limitata, visto l’apporto calorico, in alternativa al dolce, riducendo quell’effetto di sonnolenza tipico dei pranzi delle feste.

Ricchi anch’essi di zuccheri e calorie, di minerali, e flavonoidi dalle proprietà antiinfiammatorie, i fichi secchi contengono fibre, calcio e potassio. Estremamente energizzanti, possono avere anche un effetto lassativo, così come le prugne essiccate. Caratterizzate da virtù depurative, le prugne, inoltre, data la buona quantità di fibre che contengono, aiutano la gestione degli zuccheri, oltre a garantire il buon funzionamento dell’intestino.

 

È bene ricordare che la frutta essiccata contiene molti zuccheri che possono incidere sul carico glicemico e sull’apporto complessivo di carboidrati. Chi soffre di diabete o deve seguire un regime alimentare ipocalorico, dovrebbe consumarla con moderazione. Per conservare al meglio la frutta secca, si consiglia di porla in barattoli di vetro a chiusura ermetica, in luoghi freschi e asciutti, lontani da fonti di calore e umidità.

 

Ma quando va portata a tavola, secondo il Galateo? La sequenza prevede che la frutta secca vada servita dopo quella fresca, di solito presentata in vassoi di ceramica o in cestini tradizionali. A Napoli vengono chiamati ‘o spassatiempo, perché la frutta secca durante le feste diventa la gustosa compagna delle chiacchierate, dei giochi e dei momenti lieti e rilassati del periodo natalizio.

 

Cotechino con lenticchie: dall’antica Roma, passando per il Rinascimento italiano, ecco il piatto che saluta l’anno che verrà

È la ricetta del buon auspicio per l’anno nuovo: cotechino e lenticchie. Il piatto gustoso e nutriente che augura abbondanza, secondo una tradizione che affonda le sue radici nell’Antica Roma. L’ultimo giorno dell’anno era infatti usanza regalare una scarsella (borsello di cuoio da attaccare alla cintura), piena di lenticchie a simboleggiare le monete che si sarebbero guadagnate nell’anno nuovo e la ricchezza dei pasti che non sarebbero mai mancati, dato l’alto potere nutriente delle lenticchie.

 

Ma anche il cotechino (o zampone) vanta origini lontane nel tempo: sembra infatti che sia stato “inventato” nei primi del Cinquecento da Pico della Mirandola quando, durante un assedio delle truppe pontificie, suggerì ai suoi concittadini di macellare i maiali rimasti e condirne la carne con molte spezie per conservarla più a lungo all’interno delle budella dello stesso animale (cotechino), come era già in uso nel nord Italia, e anche nelle zampe degli animali (da qui il nome zampone, un po’ più grasso del cotechino). Mirandola, che si trova in provincia di Modena, venne alla fine conquistata, ma la fama della nuova preparazione si diffuse rapidamente e, nel 1600, si parlava già degli “zampetti alla modenese”, come ricetta conosciuta.

 

Oggi l’impasto di cotechino e zampone di Modena, diventati prodotti IGP dal 2001 e tutelati dall’apposito Consorzio che ne custodisce la ricetta, prevede l’impiego per il 60% di carni magre fresche selezionate, il 20% di cotenna tenera e il 20% di gola, guanciale e pancetta. Per gli aromi, a parte le varianti di ciascun produttore, chiodi di garofano, pepe e noce moscata sono immancabili.

 

 

Circa il periodo in cui è iniziato l’uso di associare lenticchie e cotechino non ci sono notizie dettagliate. Certo è che oggi questo piatto è entrato nella nostra tradizione da nord a sud, diventando una presenza irrinunciabile sulla tavola degli italiani per il cenone del 31 dicembre.

Ecco la ricetta per preparare questo piatto di festa, che proponiamo in due versioni a seconda del tempo che si ha disposizione, scegliendo di impiegare il cotechino fresco oppure quello precotto, e le lenticchie secche oppure quelle già lessate.

 

Ingredienti:

  • 1 cotechino da 600 g
  • 400 g di lenticchie verdi secche bio Ohi Vita oppure 600 g di lenticchie bio già lessate Ohi Vita
  • 1 cipolla
  • aglio
  • alloro
  • 2 coste di sedano
  • 2 cucchiai di olio extra vergine di oliva bio Ohi Vita
  • concentrato di pomodoro
  • Sale e pepe q.b.

 

Porre iI cotechino in una casseruola colma d’acqua. Se si è scelto quello fresco, occorre bucherellarlo, avvolgerlo nella carta stagnola e farlo bollire per almeno due o tre ore a fuoco basso.  Se invece si è scelto quello precotto, basta porlo per una mezz’ora in acqua bollente. In un’altra pentola con acqua fredda porre a cuocere le lenticchie (messe in ammollo la sera precedente se si sono scelte quelle secche) con uno spicchio di aglio, una foglia di alloro e qualche foglia di prezzemolo fresco, per una circa tre quarti d’ora. Passaggio che va saltato se si impiegano le lenticchie già lessate. Preparare un trito di verdure fatto con aglio, cipolla, sedano e carota posto a rosolare in un tegame con l’olio evo (si può utilizzare anche il burro, se si preferisce). Unire le lenticchie e insaporire con un cucchiaio di concentrato di pomodoro e un cucchiaio di acqua, aggiustare di sale e pepe a piacimento. Non appena il cotechino è pronto, estrarlo dall’acqua, levare il budello e tagliarlo a fette. Sistemato un letto di lenticchie sul vassoio da portata, adagiarci sopra le fette e servire caldo.

 

Buon appetito e soprattutto… Buon Anno Nuovo!

 

Con proteine vegetali, fibre e vitamine, le Lenticchie bio Ohi Vita arricchiscono la nostra tavola delle feste in modo sostenibile

A Capodanno sono un augurio di prosperità, ma per tutto l’anno sono una miniera di nutrienti preziosi per il nostro benessere. Proteine vegetali e carboidrati complessi, ferro, fosforo e vitamine del gruppo B: le lenticchie sono un alimento indicato per dare energia, anche in situazioni di stanchezza e affaticamento, e per sostenere i ritmi frenetici della vita quotidiana.

Se poi sono biologiche, 100% italiane e già lessate, come le Lenticchie verdi Ohi Vita, la loro versatilità consente di non dover mai rinunciare al gusto, alla qualità certificata e alla varietà per una dieta completa ed equilibrata.

Consumate in abbinamento con i cereali, le lenticchie hanno un contenuto proteico ancora più elevato, contenendo aminoacidi che si completano tra loro, aumentando il complessivo valore nutrizionale.

 

Ricche di vitamine del gruppo B, sono un alimento utile per favorire il corretto funzionamento del sistema nervoso e l’integrità dei tessuti, mentre la presenza di flavonoidi conferisce alle lenticchie ottime proprietà antiossidanti. La quantità di fibre e il moderato contenuto calorico le rendono indicate nei regimi dimagranti e per regolarizzare l’intestino, contribuendo anche a modulare l’assorbimento degli zuccheri per un miglior controllo della glicemia.

 

I primi semi di leguminose coltivate erano proprio lenticchie e cicerchie, risalenti a circa 8000 anni fa, nel sud Italia, dove ancora oggi la produzione di lenticchie è principalmente localizzata, con l’83% che proviene da Marche, Puglia, Umbria, Sicilia e Toscana. Del resto, i legumi hanno accompagnato la storia dell’alimentazione umana, a tutte le latitudini, insieme ai cereali, per il loro elevato potere nutritivo, la facilità di coltivazione e la resa produttiva. E se nell’antichità i legumi erano un’abitudine alimentare comune a tutte le classi sociali (tranne i fagioli, considerati un cibo da poveri anche dai Romani), nel Medioevo la connotazione di cibo popolare dei legumi si accentuò, per poi essere riportati sulla tavola di tutte le classi sociali il secolo dei Lumi.

Arrivarono così anche alla mensa della ricca famiglia Buddenbrock, protagonista dell’omonimo romanzo di Thomas Mann: “I piatti furono cambiati di nuovo. Comparve un enorme prosciutto dalla crosta impanata, rosso mattone, affumicato e cotto, con salsa di scalogno bruna e aspretta e con

 

Consumare lenticchie nell’ambito di una dieta varia, costituisce una scelta alimentare sostenibile: secondo i dati della FAO, la produzione di lenticchie richiede soltanto un consumo di 50 litri di acqua per chilo. Le leguminose poi sono piante miglioratrici, perché capaci di fissare azoto nel terreno, aumentando la fertilità del suolo e riducendone il rischio di erosione.

La coltivazione con metodo biologico, come nel caso delle Lenticchie verdi Ohi Vita, escludendo l’uso di sostanze chimiche di sintesi, consente di promuovere tutti questi benefici sostenibili, a vantaggio della conservazione della biodiversità.

 

 

 

 

Tra una festa e l’altra un giorno detox come regalo di benessere a base di pochi semplici accorgimenti

Dopo gli stravizi di Natale, in cui a ragione non ci siamo negati nessuna delle golosità e delle ricette tradizionali che imbandiscono le nostre tavole, almeno un giorno detox in attesa del cenone del 31 dicembre può essere un’abitudine salutare, che molti esperti consigliano. Obiettivo dichiarato? Godersi il buon cibo delle feste, spesso molto sostanzioso e ricco di grassi e carboidrati, senza che questo incida sul nostro benessere o, in modo eccessivo, sulla bilancia.

 

L’importante è non digiunare, ma alimentarsi in modo leggero e bilanciato. E bere molto, almeno due litri di acqua o tisane. Come la Tisana Detox biologica Ohi Vita, ottima per depurare l’organismo ed eliminare i liquidi in eccesso, dalle proprietà rilassanti e purificanti grazie all’azione sinergica di menta piperita, liquirizia ed ortica.

 

Largo dunque a frutta e soprattutto verdura fresche e bando agli zuccheri complessi di pane, pasta e riso, alle pietanze elaborate, ai condimenti e alle bevande zuccherate e alcoliche: la nostra giornata detox sarà soprattutto a base di generose porzioni di verdure crude, che soddisferanno il nostro desiderio di mangiare – perché è vero il proverbio quando dice che l’appetito vien mangiando –, senza sovraccaricare il nostro metabolismo, ma anzi contribuendo a riequilibrarlo.

 

Non solo: un’alimentazione che comprende frutta come ananas e agrumi, verdura come cavoli, broccoli, sedano, carciofi, ma anche peperoncino, zenzero, curcuma e ci può consentire di bruciare più velocemente le calorie che assumiamo. Senza dimenticare la buona abitudine di praticare almeno mezz’ora di attività fisica, con una passeggiata a ritmo sostenuto o semplicemente rinunciando all’uso della macchina per brevi tragitti o dell’ascensore in favore delle scale di casa.

 

Ecco una proposta di alimenti da inserire nel menu del nostro giorno detox “intra-festivo”.

Una colazione depurante può essere a base di tè verde senza zucchero, o una spremuta di agrumi fresca, cereali integrali, yogurt bianco magro, ottimo per riequilibrare l’equilibrio intestinale, e frutta fresca, ricca di vitamine, anche in forma di frullato.

Come spuntino di metà mattina e pomeriggio un pinzimonio di verdure fresche, sedano e carota per esempio, da masticare lentamente può saziarci senza un significativo apporto calorico.

A pranzo e a cena, un pasto leggero e facilmente digeribile può prevedere pesce azzurro cotto alla griglia o legumi o un uovo, o verdura di stagione cruda, o ancora una zuppa o un passato vegetale con un filo di olio extravergine di oliva.

Circa i condimenti, è sempre bene limitare l’uso di sale, che favorisce tra l’altro la ritenzione idrica, e abituarsi a insaporire le pietanze con spezie ed erbe aromatiche, limone, aceto di mele.

Se poi proprio non riusciamo a rinunciare a qualche piccolo sfizio, un quadretto di cioccolato fondente fa al caso nostro, 10-15 grammi al massimo per godere, oltre che del suo gusto, anche della sua potente azione antiossidante ed energizzante.

 

 

 

 

Leggera, digeribile, tenera, nutriente e OGM free: è la Fesa di tacchino a fette 100% italiana della linea Ohi Vita

Per portare in tavola un alimento di qualità, gustoso, 100% italiano e con tutta la sicurezza alimentare di una filiera certificata, niente di meglio della Fesa di tacchino a fette della linea Ohi Vita, prodotta da animali allevati a terra senza l’uso di antibiotici e nutriti con un’alimentazione che non prevede l’uso di OGM.

 

Magra, digeribile, ricca di ferro, leggera e nutriente, la carne di tacchino è una carne bianca che rappresenta un alimento dalle preziose caratteristiche nutrizionali indicato per tutte le età.

 

In primo luogo, per l’elevato contenuto di proteine ad alto valore biologico che la contraddistingue, insieme alla ricchezza di ferro, essenziale per la buona salute del nostro organismo e per lo svolgimento delle sue funzioni metaboliche di base. La sua consistenza tenera, unita alla facile digeribilità, la rende un’ottima soluzione da integrare nel regime alimentare dei bambini, degli anziani, e delle persone convalescenti. Inoltre povera di grassi com’è, la carne di tacchino è spesso consigliata nelle diete ipocaloriche e per coloro che praticano sport e una vita attiva.   

 

Originario del Messico e dell’America centrale, il tacchino venne importato dall’America in Spagna e da qui si diffuse rapidamente in tutta l’Europa. Fu probabilmente Cristoforo Colombo il primo europeo a fare la conoscenza con questo animale quando, il 14 agosto 1502, raggiunse le coste dell’attuale Honduras ricevendo dai nativi diversi doni e, tra questi, alcune di quelle che subito decise di chiamare “gallinas de la tierra”.

Il tacchino (Meleagris gallopavo) veniva tradizionalmente utilizzato dai Maya non solo per la sua gustosa carne, ma anche per le penne e le ossa che erano impiegate per costruire frecce o diversi altri strumenti. Quello che è sicuro è che nei primi anni del Cinquecento il tacchino arrivò in Spagna dal Nuovo Mondo e, di lì, si diffuse rapidamente in tutta Europa grazie alle tecniche di allevamento degli uccelli che nel Vecchio Continente a quel tempo erano già molto sviluppate.

Dal Seicento in poi, la carne di tacchino divenne una prelibatezza ricercata, al punto di essere ritenuta, in molti ricettari della cucina anche italiana, allo stesso livello, se non superiore, rispetto a quella di pavone. Arrosto, allo spiedo, al forno, ripieno o in pasticcio: i grandi chef dell’Ottocento si appassionarono così tanto a questo animale che cominciarono a considerarlo come un vero e proprio scrigno magico all’interno del quale confezionare le più prelibate farciture a base di porcini, tartufi e perfino ostriche.

 

E da cosa deriva il suo nome?

Il termine inglese “Turkey” fa probabilmente riferimento ai mercanti turchi che furono i primi a portare l’animale in Inghilterra. In Francia, all’inizio della sua storia, il tacchino veniva chiamato “Coq d’Inde” o gallo d’India, sempre per l’idea che Cristoforo Colombo fosse arrivato alle Indie Orientali e non certo al Nuovo Mondo; il termine venne poi cambiato dall’uso comune in “dinde” o “dindon”. Anche in Italia all’inizio fu chiamato “Gallo d’India” ma, nel tempo, si privilegiò il termine “Tacchino”, forse per il verso, “toc, toc” che la tacchina fa quando conduce i suoi piccoli.

 

Oggi che la domanda di carne bianca è in continua crescita perché sempre maggiore è la richiesta di proteine ad alto valore biologico e a costi accessibili, il settore avicolo italiano sta rispondendo alla domanda di sostenibilità con elevati standard di qualità con un’attenzione crescente al benessere animale.

 

Per questo è fortemente impegnato nella transizione ecologica per contenere il proprio impatto ambientale in termini di consumi di energia, sempre più proveniente da fonti rinnovabili, di recupero degli scarti di lavorazione da destinare ad altri settori produttivi come per esempio il pet food, nella riduzione dei consumi idrici, attraverso la depurazione e il recupero delle acque reflue. Allo stesso modo, prosegue l’impegno a favore del benessere animale, con l’allevamento a terra, l’aumento dello spazio vitale a disposizione degli animali, che potendosi muovere sono più sani, l’attenzione al loro riposo e l’introduzione di arricchimenti ambientali come balle di fieno, che favoriscono i comportamenti naturali.

 

Un’alimentazione vegetale priva di OGM e di antibiotici risponde alla richiesta di pratiche di allevamento e di produzione della carne secondo i più alti standard igienico-sanitari, che prevedono uno scrupoloso controllo di filiera per garantire la produzione di un alimento sicuro e sostenibile. Come la Fesa di tacchino a fette della linea Ohi Vita, prodotta nel pieno rispetto dell’ambiente e della salute delle persone.

 

 

Un pasticcio di classe che attraverso la storia e le tradizioni diventa un classico delle feste: ecco il Paté di Natale

Di agnello, fegatini di pollo, di brasato, di anatra e di coniglio. Ma anche di trota, di nasello, di gamberetti, di tonno o di avocado, hummus, lenticchie:

 

il paté è una preparazione versatile, colorata e per tutti i gusti, vegetariani compresi. Un piatto festoso che, sotto Natale, trova ancora più sfumature e sapori che variano da regione a regione, da paese a paese, da casa a casa.

 

Perché il paté non è solo quello di fegato grasso alla francese ma racconta tante storie e tante tradizioni, a dirla tutta non ha nemmeno un luogo di nascita ben preciso: è una preparazione che, fin dal medioevo, si diffonde in tutta Europa e che da noi si è sempre chiamato pasticcio.

 

Si dice che già i macellai greci ricorressero al trucco della carne macinata per usare al meglio anche le parti meno nobili e gli scarti, mentre alle tavole dei Romani il paté risultava una preparazione raffinata. Basti pensare che la stessa parola fegato deriva dal latino ficatum e indica il fegato degli animali che si ingozzavano con i fichi, la base di tante preparazioni gastronomiche costruite a partire non solo dal fegato d’oca ma anche da quello di polli, maiali e perfino pesci.  Anche se, a dirla tutta, i pasticci che amavano gustare i Romani erano prevalentemente a base di carne di maiale, mentre nel Medioevo andava di moda la selvaggina. L’allevamento delle oche veniva invece praticato dagli Ebrei che lo avevano appreso dagli Egizi diffondendolo poi in tutta Europa.

 

Restava, invece, da risolvere il problema delle carni che, non conservate in modo adeguato come adesso, emanavano forti odori, compensati solo in parte dall’abbondanza di spezie, aromi come lo zenzero e il pepe, oltre che da fumigazioni profumate. Oggi, in cucina, il paté si differenzia dalle terrine, dalle mousse e dalle rillettes per diversi particolari, a partire dalla cottura preliminare dell’ingrediente di base, dai grassi usati come legante e dalla consistenza più granulosa. Ecco una ricetta intramontabile per i giorni delle feste.

 

Patè di Natale

(ingredienti per 4 persone)

  • 400 gr di fesa di vitello
  • 200 r di fegato di vitello
  • 100 gr di lardo
  • 200 gr di burro
  • 1 gambo di sedano, mezza cipolla e 1 carota piccola puliti e tritati
  • 2 chiodi di garofano
  • 2 rametti di timo e 1 foglia di alloro
  • 1 bicchiere di Marsala
  • Sale e pepe
  • Olio extravergine di oliva

 

Procedimento

Soffriggere in una padella con un filo d’olio le verdure tritate, assieme ai rametti di timo e alla foglia di alloro.

Tagliare la carne di vitello e il lardo a pezzetti e aggiungere al soffritto, rosolare bene. Poi, versare il Marsala, lasciarlo evaporare e continuare a cuocere a fuoco dolce per altri 10 minuti aggiustando di sale e di pepe.

Aggiungere il fegato a pezzetti e cuocere per altri 10 minuti, regolando ancora di sale.

Eliminare gli aromi e frullare le carni, quando si sono intiepidite, con un mixer a immersione.

Rivestire con la pellicola trasparente uno stampo da plum cake da un litro o un contenitore a bordo alto, versare al suo interno le carni passate al mixer, compattare bene con il fondo di un cucchiaio e lasciare riposare in frigo per almeno 5 ore.

 

 

 

Per un Natale all’insegna della sostenibilità: i consigli di Legambiente per fare un regalo alle generazioni future

Anche le feste di Natale possono essere un’occasione per rendere concreta la nostra sensibilità verso i temi della tutela dell’ambiente e della riduzione degli sprechi di risorse. Anzi, forse questa attenzione a scelte che siano sempre meno impattanti può rappresentare uno dei regali più preziosi da fare a noi stessi e ai nostri figli e nipoti. Senza contare che l’aumento dei prezzi e dei costi energetici rende virtuose qui e oggi tutte le buone pratiche di risparmio e di riscoperta del “fai da te”. Legambiente ha stilato una serie di suggerimenti per un Natale all’insegna del contenimento delle spese e dell’impatto ambientale.

 

Addobbi sostenibili: utilizzare illuminazioni a led per far brillare alberi e presepi e decorazioni natalizie vuol dire risparmiare energia, mentre realizzare addobbi con materiale di recupero è un modo creativo e divertente per rendere festose le nostre case.

 

Prodotti agroalimentari a filiera corta: scegliere cibi provenienti dalla propria regione e comunque made in Italy significa risparmiare, riscoprire cibi tradizionali e sostenere le realtà imprenditoriali del territorio.

 

Regali ‘pre-loved’: se desideri regalare capi d’abbigliamento o accessori, un’ottima scelta possono essere oggetti che sono già appartenuti a qualcuno che li ha scelti e amati prima di noi.

 

Tecnologia rigenerata: i regali hi-tech usati ma ricondizionati costano meno e spesso hanno la stessa durata di oggetti nuovi.

 

Ricette di recupero per lo spreco zero: tutti gli avanzi dei pasti festivi, solitamente prelibati e di ottima qualità, possono essere recuperati in tantissime preparazioni golose, tradizionali o innovative per arginare lo spreco domestico.

 

Tavola vintage: il recupero di tutti i complementi d’arredo e stoviglie sottoutilizzati consente di creare delle apparecchiature delle feste originali, fantasiose e tutte uniche, secondo quello stile mix&match che rappresenta la vera tendenza sostenibile del Natale 2022.

 

Regali personalizzati: un dono goloso e all’insegna del “fai da te”? Porre in un barattolo di vetro (riciclabile al 100%) tutti gli ingredienti utili a realizzare biscotti e dolci, corredando il dono di un biglietto con la ricetta per cucinarli.

 

Tombola del riuso: il gioco della tombola può diventare l’occasione per rimettere in circolazione oggetti ancora utili (rigorosamente impacchettati) da abbinare ai premi in palio.

 

Regalo green: un corso per il riconoscimento delle erbe spontanee, un weekend fuori porta, o laboratori di cucina organizzati da agriturismi e associazioni del territorio possono essere opzioni a ridotto impatto ambientale.

 

Tempo per sé: prendersi cura del proprio benessere con un libro, una passeggiata o un’attenzione particolare rappresenta un gesto che porta sempre armonia e benessere.

 

Abete di Natale: la tradizione si fa ecosostenibile e, anche, commestibile

Meglio vero, con illuminazioni a led e decorazioni di recupero, anche alimentari. E, dopo Natale, l’albero va portato negli appositi centri di raccolta per la messa a dimora. Anche perché, secondo una ricerca del Dipartimento di scienze forestali dell’Università di Firenze, l’acquisto di alberi naturali è più sostenibile rispetto a quelli in plastica sia dal punto di vista delle emissioni sia per i migliori effetti che si possono generare su scala locale. Dallo studio emerge che “Per pareggiare l’impatto, l’albero di Natale artificiale andrebbe riutilizzato per 37 anni”.

 

Per scegliere un abete o, comunque, un albero di Natale vero occorre fare riferimento a quel circa 90% proveniente da coltivazioni vivaistiche specializzate, mentre il restante 10% è rappresentato dalle punte di abete cimate nella normale pratica forestale.

 

 Sono circa 3,5 milioni le famiglie italiane che scelgono un albero vero, meglio se a km 0 e collocato in un luogo luminoso e fresco, lontano da fonti di calore come caloriferi e camini.

 

Per decorarlo in modo ecosostenibile, prima di tutto occorre pensare all’illuminazione: se non è possibile evitarla, meglio ricorrere a led per dare un taglio non solo alle emissioni collegate alla produzione di energia ma anche alle spese. Gli addobbi? Meglio leggeri e con materiali di recupero come ritagli di stoffe, lana di vecchi maglioni o cartone. Terminato il periodo natalizio, l’albero stesso, se curato bene e in buona salute, può trovare nuova vita nei centri di raccolta che possono occuparsi di provvedere a una sua messa a dimora nei luoghi ritenuti più adatti.

 

Ma, per decorare l’abete di casa esistono anche tante soluzioni alimentari, belle da vedere e buone da gustare. Come, ad esempio,

 

I festoni di marshmallow che possono essere creati applicandoli a stringhe di liquirizia impiegate come dei veri e propri festoni;

i coni gelato che possono anche essere riempiti con caramelle, cioccolatini o con sempre nuove sorprese;

le fettine di arancia essiccate che conferiscono anche all’ambiente attorno all’albero un piacevole aroma di agrume;

le meringhe che si prestano bene a diventare in mille modi delle curiose decorazioni natalizie molto simili a vere e proprie palle di neve;

il riso soffiato che si presta a essere modellato e decorato per ottenere tutte le forme preferite;

i biscotti, non solo di marzapane, per delle decorazioni che, durante i giorni di Natale, diventano anche l’occasione per svegliarsi presto la mattina e fare colazione…;

la pasta frolla e la pasta di zucchero, infine, per realizzare decorazioni commestibili, con la possibilità anche di utilizzare colori edibili per un effetto natalizio ancora migliore.

 

Una vera insalata di tradizioni e ingredienti diversi che attraverso la storia arriva puntuale sulle nostre tavole per le feste: l’insalata russa

Noi la chiamiamo insalata russa ma è questo il suo nome anche in Russia? Uno degli antipasti freddi più diffusi anche sulle nostre tavole a Natale è questo grande classico allestito con verdure fragranti e una buona maionese, meglio se preparata in casa. Ed è subito festa. Ma quella che da noi prende il nome di insalata russa, appena si va in Danimarca, Norvegia e Finlandia diventa insalata italiana, in Slovenia e Ungheria insalata francese e in Lituania insata bianca.  Proprio in Russia, viene invece chiamata insalata alla Olivier.

 

Una delle più accreditate origini del nome ne fa infatti risalire la storia a Lucien Olivier, un cuoco belga che nella seconda metà dell’Ottocento aprì un ristorante di cucina francese di lusso a Mosca. Abituato a preparare luculliani banchetti per gli aristocratici della capitale, in un’occasione allestì un grande pasticcio di petti di pernici, quaglie e code di gamberi coperti da maionese, gelatina e con l’aggiunta di tartufi, sottaceti, patate e uova. Insomma, una creazione molto diversa dall’attuale ma che ebbe subito un grande successo al punto di attraversare il tempo accogliendo anche alimenti di grande lusso come caviale e polpa di granchio. Solo dopo la rivoluzione russa del 1917, l’influenza francese in cucina perse di interesse nel Paese e anche gli ingredienti della nostra insalata cominciarono a venire sostituiti con i ben più reperibili pollo al posto delle pernici, carote, piselli in scatola e ancora patate.

 

Ma ci sono tante altre tradizioni che attraversano la storia e riportano l’origine di questa insalata anche in Italia come, ad esempio, quella che a fine Ottocento la colloca alla corte dei Savoia allorquando per omaggiare gli importanti dignitari in visita veniva preparato un piatto simile con la panna come legante di tutti gli ingredienti. Oppure, risalendo fino al Sedicesimo secolo, troviamo  Bona Sforza, figlia del duca di Milano, che diventando regina di Polonia unendosi in matrimonio con Sigismondo I, ebbe in dono dai cuochi di corte un piatto freddo di verdure, poi reso più ricco con l’aggiunta della maionese.

 

Insomma, l’origine di questa preparazione è proprio una bella insalata di tradizioni e possibilità, così come la sua ricetta che registra mille varianti locali e casalinghe che nulla tolgono al suo successo e alla sua esplosione di gusto ogni volta che viene servita. Soprattutto alla Vigilia o per per il giorno di Natale. Ne proponiamo uan versione piuttosto classica e molto saporita…

 

Insalata russa

Ingredienti (per 4 persone)

 

  • 300 g di maionese oppure
  • 2 tuorli freschissimi a temperatura ambiente
  • il succo di 1 limone
  • 250 g di olio di semi
  • 2 cucchiaini di aceto di vino bianco
  • Sale e pepe nero
  • 2 patate lesse
  • 150 g di carote lesse
  • 150 g di piselli lessi
  • 100 g di cetrioli sott’aceto
  • 2 uova sode
  • olio extra vergine di oliva
  • 1 cucchiano di senapa
  • sale e pepe nero

 

Procedimento

Per preparare la maionese aprire i tuorli in una ciotola alta e aggiungere qualche goccia di succo di limone. Con uno sbattitore elettrico a velocità media cominciare a sbattere i tuorli versando l’olio a filo a più riprese e con calma. A metà dell’olio aggiungere il resto del succo di limone e proseguire, poi, di nuovo con l’olio.

Aggiustare di sale e di pepe, aggiungere anche l’aceto sempre mescolando con la frusta.

Tagliare tutte le verdure lessate separatamente e lasciate croccanti a cubetti piccoli, unire i piselli e condire con qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva e 1 cucchiaino di senape.

Amalgamare delicatamente anche le uova sode tagliate a fette spesse per il lungo, poi la maionese e lasciare riposare l’insalata russa in frigorifero per almeno un’ora prima di servirla.