Contro lo spreco alimentare, la Spagna chiede l’impegno di tutti gli attori della filiera, dal produttore al consumatore

1,5 miliardi di tonnellate di cibo commestibile buttate via ogni anno a livello globale: i numeri della Fao (Food and agriculture organization) rivelano che lo spreco alimentare sta diventando un fenomeno sempre più grave e allarmante. Da un lato, mette in luce gli squilibri nella distribuzione delle risorse tra i diversi Paesi, con le zone più sviluppate del pianeta che si distinguono per gettare via dai 179 kg di cibo pro capite in Europa fino ai 280-300 kg pro capite negli Usa; dall’altro, si intreccia con le diverse forme che la malnutrizione può assumere nei paesi più ricchi per la diffusione di patologie come l’obesità, spesso legata al consumo di alimenti eccessivamente lavorati e dalla scarsa qualità nutrizionale.

 

Il fatto è che lo spreco alimentare è destinato a crescere, e, se non si pone un argine al fenomeno, da qui al 2030 potrebbe superare i 2 miliardi di tonnellate di cibo buttato. Una produzione che ha avuto un impatto ambientale su suolo, biodiversità, inquinamento e risorse idriche, senza aver però contribuito a sfamare le persone: “gli sprechi alimentari nutrono solo il cambiamento climatico”, è il monito delle Nazioni Unite.

 

Se a livello europeo, la Francia è stata tra i primi paesi ad affrontare il problema con una serie di interventi legislativi, ora la Spagna appare intenzionata a dotarsi di una legge anti-spreco all’avanguardia e in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU. Come ha affermato il ministro all’Agricoltura spagnolo Luis Planas: “Lo spreco di cibo è il risultato di una inefficienza di tutta la filiera alimentare, dalla produzione al consumo, con conseguenze economiche, sociali ed ambientali che vanno dallo spreco di lavoro, risorse e denaro all’aumento dei rifiuti, senza mettere da parte la questione etica”.

 

Ispirata ad un approccio sistemico, la legge spagnola, già votata dal governo e ora al vaglio del Parlamento, si concentra infatti sui diversi passaggi del cibo, dai produttori ai supermercati ai negozi alimentari, che devono impegnarsi a elaborare piani di prevenzione per minimizzare gli sprechi. È prevista una gerarchia di azioni da mettere in campo, che va dalla commercializzazione a prezzi ridotti dei prodotti “meno belli”, ma comunque buoni e nutrienti, che troppo spesso vengono gettati all’applicazione di sconti per i prodotti prossimi alla scadenza; dalla trasformazione dei prodotti del reparto ortofrutticolo rimasti invenduti e non più freschissimi, ma ancora commestibili, alla loro donazione a realtà come ONG e banchi alimentari, che possono distribuirli garantendo sempre la loro tracciabilità e la sicurezza alimentare. Gli alimenti “scaduti”, invece, secondo i principi dell’economia circolare, dovranno essere destinati ad altre filiere come quella del pet food o della produzione di fertilizzanti, compost o biocarburanti.

 

A bar e ristoranti viene invece chiesto di offrire ai propri clienti la possibilità di portare a casa il cibo avanzato, grazie ad appositi contenitori riutilizzabili o facilmente riciclabili, secondo il modello degli avanzi da asporto già elaborato nel nostro Paese e in Francia dal 2016. Mentre tutti i locali di ristorazione e i punti vendita di generi alimentari con una superficie superiore ai 1.300 metri quadrati dovranno convenzionarsi con un banco alimentare o una Ong impegnata nel recupero di alimenti invenduti, in modo da creare un sistema di donazioni.

 

Per chi non si doterà dei piani di prevenzione anti-spreco, le multe previste dalla legge spagnola sono severe: dai 2mila ai 60mila euro, che in caso di recidiva potrebbero diventare 500mila euro.

 

Con le erbe aromatiche in cucina c’è più gusto … con meno sale

Se pensiamo che per insaporire i nostri piatti sia per forza necessario aggiungere il sale, stiamo dimenticando il ruolo prezioso che possono giocare le erbe aromatiche. Utilizzate già dall’antichità per il loro sapore e le virtù benefiche, le erbe aromatiche infatti conferiscono sapidità alle pietanze, arricchendole di profumi che rappresentano la cifra inconfondibile della nostra tradizione gastronomica mediterranea.

 

Dal momento che limitare l’impiego di sale nella nostra alimentazione è una pratica raccomandata per ridurre l’incidenza di alcuni disturbi, come ipertensione, cattiva circolazione sanguigna e ritenzione idrica, imparare ad utilizzare le erbe aromatiche, abbinandole in modo armonico e creativo alle diverse pietanze, può rivelarsi una avventura del gusto salutare, oltre che molto stimolante e gratificante.

 

Vediamo caratteristiche e abbinamenti d’elezione delle principali erbe aromatiche della nostra cucina.

Basilico: con una potenza aromatica intensa che si sprigiona soprattutto in estate, il basilico è il compagno inseparabile del pomodoro, in tutte le sue declinazioni, dalla passata alla bruschetta, dall’insalata alla pizza. Ma non solo, insaporisce gradevolmente molti ortaggi estivi come melanzane, zucchine, peperoni, fagiolini e cetrioli. Unito a ingredienti oleosi come oli vegetali frutta secca e formaggio acquisisce un sapore intenso e inconfondibile: da qui nasce la magia unica del pesto alla genovese.

Origano: pianta di poche pretese, l’origano cresce spontaneo in collina e in montagna, anche in contesti aridi. Ha un sapore deciso che si conserva bene anche quando viene essiccato. Molto versatile in cucina, è indicato per molte preparazioni: bruschette, insalate, farciture di verdure, pizze focacce pasta mozzarella e pesce alla griglia.  Con un’unica accortezza, nel caso di pietanze calde è bene aggiungerlo alla fine della cottura, per evitare che assuma un gusto amarognolo.

Salvia: dall’aroma fresco e intenso, la salvia si abbina soprattutto a piatti salati e come fondo di cottura al burro e al lardo, piuttosto che agli oli vegetali. Insieme al rosmarino, viene utilizzata per aromatizzare carni e legumi. Deliziosa anche fritta come contorno o antipasto, la salvia può vantare interessanti proprietà benefiche come antiinfiammatorio naturale.

Rosmarino: profumo pungente e sapore deciso caratterizzano il rosmarino che si sposa bene con le patate, i legumi dal sapore delicato come i ceci e i fagioli, i funghi, il cavolfiore, la zucca. Indicato per aromatizzare piatti a base di carne, sia bianca sia rossa, si accompagna bene anche a piatti a base di pesce. Il rosmarino viene impiegato anche per focacce, pizze e dolci a base di castagne, soprattutto.

Prezzemolo: è forse la più versatile tra tutte le erbe aromatiche perché dal sapore non dominante che si presta ai più diversi abbinamenti. Crudo o cotto, può arricchire in modo fresco e armonioso piatti a base di verdure, uova, carne e pesce.

Il nuovo Centro di ricerca italiano sulla biodiversità per tutelare l’incredibile varietà biologica e alimentare del nostro Paese

L’Italia è un laboratorio a cielo aperto di biodiversità, anche alimentari. L’irregolarità del nostro territorio, con le montagne, le valli, le isole e il Mediterraneo che rappresenta già di suo un moltiplicatore di varietà biologiche, racconta di un Paese che il tempo ha trasformato fino rendere il nostro paesaggio unico e inimitabile. Parliamo, quindi di diversità non solo biologiche ma anche culturali: basti pensare al numero dei dialetti, di minoranze linguistiche, di tradizioni gastronomiche che abbiamo.

 

A partire da frutta, verdura, carni, formaggi e da ogni produzione alimentare del nostro Pese che è in grado di esprimere e di raccontare una varietà di specie, colori e sapori che costituisce una ricchezza da tutelare. Secondo l’ultimo Rapporto di Ismea e Qualivita sulla sola Dop Economy italiana, ovvero l’insieme del food & beverage Made in Italy tutelato dall’Unione Europea con le denominazioni d’origine (Dop, Igp e Stg), esprime una varietà di 841 prodotti, con 286 consorzi e circa 200mila operatori di filiera. Generando, nel complesso, un valore alla produzione di 16,6 miliardi di euro, pari al 19% dell’intero fatturato dell’agroalimentare italiano. L’export ha raggiunto quota 9,5 miliardi di euro, che equivale al 20% delle esportazioni food & beverage italiane. Qualcosa di simile rileva anche l’Osservatorio Immagino, secondo il quale il Made in Italy e le sole indicazioni geografiche europee (come Igp, Dop, Docg e Doc) negli ultimi 12 mesi hanno segnato ancora un +2% e valgono il 26,9% delle vendite del paniere alimentare.

 

Un panorama ricco e complesso quello della nostra biodiversità che, anche aldilà del settore alimentare, secondo Ispra ci tocca da vicino: “LItalia oltre a essere tra i Paesi europei con maggior ricchezza floristica e faunistica, è caratterizzata da elevatissimi tassi di endemismo, ovvero dalla presenza di specie che vivono solo all’interno dei confini italiani. Gli elevati numeri di specie esclusive del nostro Paese comportano una grande responsabilità in termini di conservazione”.

 

Ed è per studiare e tutelare questa incredibile varietà del nostro territorio che è stato costituito il nuovo Centro di ricerca italiano sulla biodiversità. Un progetto imponente, finanziato con i fondi del PNRR, a cui partecipano 50 soggetti tra università, enti pubblici di ricerca, enti privati e imprese.

 

Più di 320 milioni di euro di finanziamento, di cui il 44% al Sud, per i primi tre anni di attività e con la prevista partecipazione di 1300 ricercatori e ricercatrici delle università e degli enti di ricerca coinvolti: questi i numeri del Centro che vede, come capofila, il CNR. Elemento chiave saranno le tecnologie abilitanti come le biotecnologie, l’intelligenza artificiale, le tecnologie per le scienze della vita. La finalità del Centro è quella di aggregare la ricerca italiana di eccellenza e le tecnologie più innovative a supporto di interventi operativi per monitorare, preservare e ripristinare la biodiversità negli ecosistemi marini, terrestri e urbani. Una biodiversità che sostiene alla base anche la grande varietà delle nostre produzioni alimentari.

 

Maria Chiara Carrozza, presidente del CNR, ha spiegato che l’organizzazione del Centro prevede un punto centrale in Sicilia, nell’università di Palermo e otto snodi distribuiti sul territorio nazionale, per monitorare la situazione del Mediterraneo e “individuare soluzioni tecnologiche e strategie efficaci per raggiungere gli obiettivi del Green Deal relativi alle emissioni di CO2 e per potenziare l’economia circolare. Il Centro potrà rappresentare, negli anni a venire, un punto di riferimento per la comunità globale, chiamata a reagire e agire di fronte alle imponenti sfide imposte dal cambiamento climatico. Quello a cui puntiamo è un obiettivo ambizioso e altamente significativo per il comparto della ricerca, con ricadute positive sul ruolo del nostro Paese all’interno della scena internazionale e sulle azioni di rilancio dell’economia nazionale”.

Un tocco di gusto anche per le ricette più semplici: ecco i semi di lino, un pieno di benessere e di sapore

Un tocco di gusto anche per le ricette più semplici: ecco i semi di lino, un pieno di benessere e di sapore

 

Arricchiscono muesli, insalate, torte salate e dolci, pane e grissini. E, con il loro apporto di Omega-3 e di acido linoleico Omega-6, integrano il nostro benessere. Sono i semi di lino, un piccolo alimento dalle grandi potenzialità: grazie all’alto contenuto di minerali come magnesio, rame, fosforo e manganese, oltre che di proteine e lipidi, rappresentano una vera e propria miniera di salute. Il buon apporto di mucillagini e fibra garantisce, se assunti con una buona quantità di liquidi, un ottimo aiuto per regolarizzare l’attività dell’intestino. Inoltre, i semi di lino sono una buona fonte di vitamine: oltre a quelle del gruppo B, necessarie per sostenere il metabolismo, contengono anche vitamina C ed E.

 

I semi di lino provengono dai frutti della pianta Linum usitatissimum, originaria del Nord Africa. Il termine lino deriva dal greco e significa filo per il suo uso precoce nellindustria tessile sin dallantichità: in Georgia esistono tracce del suo utilizzo come fibra risalenti a oltre 30mila anni fa e sappiamo che gli Egizi avvolgevano le loro mummie in bende di semi di lino.

 

Dal punto di vista alimentare, i semi di lino possono essere utilizzati sia interi che ridotti in farina così da renderne più semplice l’assimilazione.

 

Con il loro gusto delicato simile alla nocciola, entrano da protagonisti nelle insalate, nelle minestre, nello yogurt. Hanno una grande versatilità e possono essere utilizzati anche al posto delle uova nei dolci vegani: tre cucchiai di semi macinati uniti a tre cucchiai di liquido sostituiscono un uovo in ogni preparazione.

 

I semi di lino hanno anche una grande fascinazione letteraria, soprattutto per la loro natura di seme, ovvero di origine di uno sviluppo potenziale. Il filosofo statunitense Henry David Thoreau riporta la relazione naturale di speranza nelle persone nel significato di questa parola: “Ho una grande fiducia in un seme. Convincimi che hai un seme, e sono pronto ad aspettarmi meraviglie”. Nel linguaggio comune si usa anche dire: Perdere il seme a proposito di qualcosa che non si può più riprodurre (per esempio: Di persone oneste se ne è perduto il seme, per dire che di persone così non ne nascono più).

 

I semi oleosi sono un alimento dall’elevata densità nutrizionale per la ricchezza di sostanze nutrienti e antiossidanti che contengono. Una dieta che introduca abitualmente il consumo di semi oleosi promuove il benessere dell’uomo e insieme tutela l’ambiente. Tracciando un bilancio tra l’apporto nutrizionale dei semi e l’impatto ambientale che genera la loro produzione, si vede quanto siano vantaggiosi, sia per variare in modo salutare le fonti proteiche alimentari, sia in termini di risparmio di emissioni di CO2. Scegliere i semi oleosi significa scegliere un alimento ricco, gustoso e sostenibile, oggi e per il nostro futuro. I Semi di Lino Ohi Vita sono certificati con logo Euro leaf che ne attesta la provenienza da agricoltura biologica così da rendere chiaro e sostenibile il patto di fiducia tra produzione, territorio e consumatore. I semi biologici provengono da coltivazioni che non prevedono trattamenti con fitofarmaci e non contengono OGM. Questa particolare modalità di coltivazione rende i semi più sensibili ai trattamenti naturali. Il che conferisce al gusto del prodotto il massimo delle sue potenzialità organolettiche, in grado di essere valorizzato al meglio in ogni ricetta o preparazione alimentare.

Cibi locali, cucina tipica e voglia di prossimità: l’estate degli italiani nel segno del Made in Italy enograstronomico

Solo tra luglio e agosto sono andati in vacanza oltre 23 milioni di italiani, circa il 70% di tutte le partenze dell’anno. Secondo  Demoskopika, il 67% degli italiani ha scelto il mare mentre la vacanza verde (ovvero montagna, lago e campagna) ha raccolto il 21,5% delle preferenze e le città d’arte o i borghi sono stati indicati come scelta da poco meno del 9%.

 

Per Coldiretti, tra tutti gli italiani che sono andati in vacanza, ben il 77% ha scelto il proprio stesso Paese come destinazione, soprattutto per una voglia di prossimità e per avvantaggiarsi anche del Made in Italy relativo al cibo e al vino che costituisce la principale voce di spesa per molti vacanzieri. Come spiega Ettore Prandini, presidente di Coldiretti: “L’Italia è il solo Paese al mondo che può contare primati nella qualità, nella sostenibilità ambientale e nella sicurezza della propria produzione agroalimentare. La difesa della biodiversità non ha solo un valore naturalistico, ma è anche il vero valore aggiunto delle produzioni agricole nazionali e un motore trainante della vacanza Made in Italy”.

 

Anche secondo Doxa il trend di quest’anno è la scoperta dei cibi locali con una storia da raccontare: per 1 italiano su 2 (48%) la cucina tipica locale esprime la vera identità dei luoghi in cui è nata.

 

Un altro fattore di attrazione è la varietà territoriale ed enogastronomica del nostro Paese: per 4 italiani su 10 (38%) la cucina locale è sempre diversa, a seconda della cultura e della tradizione del territorio e per il 33% parla di autenticità, in quanto specchio della memoria locale.

 

In Italia si contano ben 5333 tipicità regionali, tra pane, pasta, formaggi, salumi, conserve, frutta e verdura, dolci e liquori tradizionali. Tipicità che compongono il patrimonio enogastronomico nazionale, tanto da essere nel 2021 la prima ricchezza del Paese con un valore di 575 miliardi. Tra questi, il settore dei prodotti tipici a marchio certificato (Dop, Igp, Stg) è riconosciuto in tutto il mondo, con 314 prodotti tra DOP, IGP, STG, senza contare i 526 vini DOCG, DOC, IGT. Dietro ognuno di questi prodotti c’è una storia di cultura, tradizione e trasmissione di un sapere antico legato ai territori che fa di ogni viaggio un percorso mai del tutto completo se non ci si immerge anche nell’offerta gastronomica e nella scoperta delle tradizioni territoriali.

 

Ben il 92% delle produzioni tipiche nazionali nasce nei comuni italiani con meno di cinquemila abitanti. Sul podio delle regioni più ambite per lestate 2022, troviamo il mare e le bellezze della Puglia, seguita da Sicilia e Toscana. Per gli amanti dei laghi e della montagna, sono in Lombardia, Trentino-Alto Adige e nelle Marche le mete preferite. In generale, come riporta anche il “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano” curato da Roberta Garibaldi, la scoperta della cultura del cibo e del vino di un territorio e delle possibili esperienze da provare attorno a questi due mondi rappresenta un’attrattiva per oltre il 60% dei turisti italiani. I dati diffusi dall’Osservatorio Nomisma-Unicredit confermano come per un viaggiatore su due la scelta della meta turistica sia effettuata alla ricerca del contatto con la natura. Ma, subito dietro, con il 39% delle preferenze,  è lenogastronomia a rappresentare l’attrattiva principale, seguita dalla conoscenza delle tradizioni locali che coinvolge il 21% delle scelte. Sul versante dell’offerta, il 27% degli operatori propone tour sul territorio per scoprire proprio le tradizioni enogastronomiche.

 

Cremoso, all’onda e profumato di bosco: il risotto ai funghi preannuncia l’autunno

Il risotto: un piatto e tante ricette. Anche se quello ai funghi è senz’altro uno dei più conosciuti e diffusi. In generale, il risotto viene considerato una preparazione tipicamente settentrionale perché le più grandi superfici agricole coltivate a riso sono concentrate in Lombardia e in Piemonte che da sole fanno il 90% della produzione nazionale. Ma è ormai diventato un piatto che nel tempo ha conosciuto diffusione e successo in tante regioni italiane, consumato con lo zafferano e il formaggio ma anche con le verdure e, perché no, con la frutta: basti pensare al risotto con le pere.

 

Ma, con l’avvicinarsi dell’autunno, il risotto per antonomasia è senz’altro proprio quello con i funghi. Che siano porcini, finferli, chiodini, champignon o misti. Che siano secchi o freschi. Che vengano cucinati da soli, con lo zafferano o con un buon pezzo di morbida salsiccia.

 

In tutti i casi e in tutte le varianti locali, il risotto ai funghi è un piatto culto che segna il passaggio dall’ultima estate al primo autunno, quando i boschi si colorano e si arricchiscono di profumi intensi. Un piatto anche semplice da preparare, a patto che si scelga la giusta varietà di riso, in grado di cedere lentamente l’amido durante la cottura. I chicchi devono, infatti, restare avvertibili sotto i denti ma creare un insieme cremoso, più o meno denso a seconda dei gusti personali: c’è, infatti, chi lo preferisce più asciutto e chi, invece, si richiama alla tradizione di una cottura all’onda. Le tipologie di riso che vengono abitualmente utilizzate in questa preparazione sono il Carnaroli, il Vialone Nano, l’Arborio, il Roma e il Baldo. Ne proponiamo una versione con i porcini freschi.

Risotto al funghi

Ingredienti per 4 persone

  • 300 g di riso Carnaroli o Vialone Nano
  • 4 porcini freschi
  • 1 scalogno
  • 250 cl di brodo vegetale
  • 1/2 bicchiere di vino bianco
  • 50 g di burro
  • 100 g di Parmigiano Reggiano, metà grattato e metà tagliato a lamelle sottili
  • prezzemolo pulito e tritato finemente
  • olio extravergine d’oliva
  • pepe
  • 1 rametto di basilico per decorare

 

Procedimento

Pulite i funghi porcini senza lavarli, raschiando con un coltello il gambo ed eliminando le parti più legnose. Con un pennello togliere con cura la terra da tutta la superficie.

Tritare lo scalogno e soffriggerlo in poco olio. Aggiungere il riso e lasciare tostare per qualche minuto, poi sfumare con il vino bianco a fiamma alta mescolando con un cucchiaio di legno fino a quando non sarà assorbito.

Bagnare il riso con il brodo poco alla volta fino a cottura, aggiungendo subito i gambi dei funghi tagliati a cubetti.

Tagliare a lamelle i cappelli dei porcini e aggiungere al riso quando è quasi cotto.

Spegnere il fuoco, aggiungere il burro, il formaggio grattugiato e il formaggio a lamelle. Aggiungere anche il prezzemolo, mescolare e lasciare riposare per qualche minuto.

Completare il risotto nel piatto con una spolverata di pepe nero e, volendo, un piccolo rametto di basilico al centro per decorare.

Quell’agro e quel dolce che assieme fanno meraviglie: tutto il sapore autentico della caponata di melanzane

Un piatto composto di varie cose. Così si può intendere, fin dalle sue origini, la caponata che è senz’altro una delle preparazioni più rappresentative della cucina siciliana. E, come tanti piatti che affondano la propria tradizione nella storia più antica, anche la caponata racchiude in sé una grande varietà di interpretazioni sull’origine del nome. Si va da una possibile ascendenza spagnola che sembra risiedere proprio nel termine “caponada”

 

fino al chiaro riferimento al pesce capone o lampuga che, avendo una carne apprezzata ma un poco asciutta, veniva condito con alcune salse agrodolci come quella tipica e attuale della caponata.

 

Il popolo, non potendo permettersi quel costoso pesce, pensò bene di sostituirlo con le più economiche melanzane. Infine, una terza tradizione vorrebbe ricondurre il nome di questa pietanza alle caupone, ovvero alle taverne di tradizione latina.

 

La caponata è inserita nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali siciliani riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole e alimentari e, come tutti i piatti della tradizione italiana, ne esistono tante varianti almeno quanti sono i campanili che svettano in Sicilia. La caponata alterna ingredienti, tagli delle verdure e piccole personalizzazioni di famiglia, spesso molto distanti dalle varianti antiche, soprattutto di tradizione aristocratica, che prevedevano la presenza anche del pesce: alici, sgombri, cefalo, merluzzo, ma anche polipetti, pesce spada e aragoste. Forse la versione più conosciuta è quella palermitana con melanzane tagliate a tocchetti e olive intere, schiacciate e denocciolate. Ma sono decisamente famose anche la ricetta trapanese, quella messinese e quella catanese. La ricetta che proponiamo è una gustosa versione con il tocco ricco e intenso dell’uva passa e dei pinoli.

 

Caponata di melanzane

Ingredienti per 4 persone

  • 1 kg di melanzane
  • 2 coste di sedano
  • 2 cipolle
  • 8 pomodorini privi di semi e sfilettati
  • 20 olive verdi denocciolate
  • 2 cucchiai di capperi
  • 30 g di pinoli
  • 100 g di uva passa ammollata in acqua
  • 2 cucchiai di zucchero
  • Qualche foglia di basilico
  • Olio extravergine d’oliva
  • 60 g di aceto di vino bianco
  • Sale e pepe

 

Procedimento

Tagliare le melanzane a fette spesse e metterle in una ciotola dopo averle cosparse di sale grosso e coperte con un peso. Dopo circa un’ora si possono sciacquare bene e asciugare prima di tagliarle a cubetti e farle friggere nell’olio fino a doratura. Scolarle e metterle a raffreddare.

Tagliare a cubetti il sedano, tritare finemente la cipolla e rosolare il tutto in poco olio. Aggiungere i capperi dissalati e le olive tagliate, lasciare insaporire, poi aggiungere anche i pomodori, le melanzane, il sale, il pepe, l’uva passa, i pinoli tostati prima per qualche minuto in una padella antiaderente senza condimento.

Sciogliere lo zucchero assieme all’aceto e incorporare. A fiamma vivace mescolare fino a quando non scompare l’odore dell’aceto, poi spegnere.

Servire la caponata fredda o tiepida aggiungendo qualche foglia di basilico.

Ricchi di proteine e fibre vegetali, i Fagioli cannellini biologici Ohi Vita portano a tavola il buon sapore di una dieta salutare e sostenibile

Dalla forma allungata e dalla consistenza gradevolmente farinosa, i fagioli cannellini biologici già lessati della linea Ohi Vita si distinguono per il sapore delicato, che si presta a abbinamenti diversi e alla preparazione di pietanze leggere e molto nutrienti.

 

Oltre ad essere ricchi di proteine e fibre vegetali, i fagioli cannellini rappresentano infatti una buona fonte di vitamine del gruppo B, utili per il corretto funzionamento del metabolismo e del sistema nervoso, e di sali minerali, come ferro, potassio, fosforo e magnesio. Un consiglio per aumentare l’assorbimento del ferro che contengono? Condirli con abbondante succo di limone e olio extravergine di oliva, a loro volta ricchi di vitamina C e di vitamina E.

Ma le proprietà nutrizionali dei fagioli cannellini non finiscono qui.

 

Per la quantità di fibre, favoriscono il controllo dell’indice glicemico e il buon funzionamento dell’apparato gastrointestinale, oltre a indurre un gratificante senso di sazietà che li rende consigliati anche nelle diete a basso contenuto calorico.

È da sottolineare inoltre che, rispetto ad altri alimenti proteici, apportano una quantità minima di grassi e non contengono colesterolo, il che rappresenta un vantaggio della salute dell’apparato cardiocircolatorio.

 

Importati in Europa nel corso del 1500, i fagioli americani soppiantarono velocemente il gruppo di fagioli del mondo antico di provenienza sub sahariana, fin a quel momento consumati, perché più facili da coltivare e con una resa maggiore. E se per il costo contenuto e la facile reperibilità, i legumi in genere sono sempre stati uno dei pilastri dell’alimentazione soprattutto delle classi popolari, il fagiolo americano ebbe anche fautori illustri come l’imperatore come Carlo V, papi, come Clemente VII, e nobili, come Caterina de Medici, tutti lungimiranti estimatori delle sue notevoli proprietà nutritive, grazie alle quali furono superate molte delle gravi carestie che colpirono l’Europa. “Aumenta il contributo di proteine, si diventa più robusti, si muore meno giovani, si fanno più bambini, l’Europa si ripopola… se noi siamo ancora qui, voglio dire noi Europei, figli di quei nostri antenati, ma anche quegli Americani delle tre Americhe, figli dei Padri pellegrini o dei conquistadores spagnoli, questo è dovuto ai fagioli”, ha scritto in proposito Umberto Eco.

 

Oggi la coltivazione del fagiolo è diffusa in tutto il mondo con oltre 25 milioni di ettari dedicati, soprattutto in Asia. In Europa, il maggiore produttore è la Spagna, seguita da Portogallo, Italia e Grecia. Una coltivazione, quella dei fagioli, che ha anche il pregio della sostenibilità perché può contribuire alla tutela della fertilità dei suoli agricoli: le leguminose, infatti, hanno la capacità di fissare grandi quantità di azoto nel terreno, rendendolo molto più produttivo.

Una dieta che comprende i fagioli, soprattutto se coltivati in modo biologico, senza l’impiego di sostanze chimiche di sintesi, è una dieta salutare che varia in modo equilbrato le fonti proteiche per chi la sceglie, oltre ad avere un impatto ambientale ridotto in termini di consumo di risorse ed energie a vantaggio dell’ambiente.

 

I fagioli cannellini Ohi Vita sono un prodotto certificato con logo Euro-leaf che ne attesta la provenienza da agricoltura biologica.

Utili come la buccia di mele: alcuni consigli per non sprecare

Se si può, è bene mangiare le mele con la buccia, vista la sua ricchezza di sostanze benefiche come fibre, vitamine e antiossidanti naturali, soprattutto se si consumano frutti biologici, coltivati senza l’impiego di sostanze chimiche. Ma se invece l’abitudine è di levare la buccia, allora potrà essere interessante scoprire che possiamo farne alcuni impieghi utili, invece di buttarla via.

 

In primo luogo, possiamo rendere le bucce di mela protagoniste di una deliziosa merenda a base di frittelle. Per prepararle, sono sufficienti le bucce di due mele, 150 grammi di farina, 150 cl di acqua gassata, un pizzico di sale, olio per friggere e zucchero semolato. Preparare la pastella unendo la farina con l’acqua e il sale. Quando il composto è liscio immergervi le bucce e poi friggerle in padella fino a quando non sono dorate. Scolarle su una carta assorbente e servirle calde con una spolverata di zucchero.

 

Oltre ad un uso goloso, delle bucce di mela si può fare anche un uso dietetico. Alcune ricerche scientifiche hanno infatti rivelato che l’acido ursolico, di cui sono particolarmente ricche, possiede spiccate proprietà benefiche, perché aiuta a combattere il colesterolo cattivo ed è un valido alleato delle diete dimagranti favorendo il metabolismo dei grassi.

 

Consumare un infuso di bucce di mele può dunque diventare una sana abitudine e un momento piacevole di cura di sé all’insegna della lotta allo spreco. Occorrono le bucce di 2/3 mele bio, 1 litro d’acqua, il succo di un limone, e se gradito, un po’ di miele per dolcificare. Porre le bucce in 1 litro di acqua e portare ad ebollizione per 5 minuti. Spento il fuoco lasciare le bucce in infusione per una mezz’ora, quindi filtrare e aggiungere il succo di limone ed eventualmente il miele. Bere nel corso della giornata a temperatura ambiente.

 

Ma possiamo utilizzare le bucce di mela anche per usi domestici, come per esempio pulire utensili e oggetti in alluminio, grazie al loro potere sgrassante.  Basta mettere le bucce in una pentola con l’acqua necessaria per immergervi completamente gli oggetti da lucidare. Far bollire per 20 minuti, quindi spegnere il fuoco e, una volta raffreddata l’acqua, asciugare gli oggetti con un panno morbido.

“I love San Marzano DOP”: è un successo il tour della stampa straniera alla conoscenza di questa eccellenza europea

È chiamato l’“oro rosso” dell’agro Sarnese-nocerino. Il pomodoro San Marzano è una produzione apprezzata in tutto il mondo per il suo gusto e le sue proprietà nutrizionali. E ora è diventato il protagonista di “I love San Marzano DOP “, il programma di valorizzazione realizzato negli Usa, cofinanziato dall’Unione Europea e promosso dal Consorzio di tutela del pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino dop e dall’Anicav – Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali.

 

Coltivato nell’Agro Sarnese-Nocerino, in provincia di Salerno, ma anche nell’Acerrano-Nolano e nell’area Pompeiana-Stabiese, in provincia di Napoli e nel Montorese, in provincia di Avellino, per un totale di 41 Comuni, caratterizzati dalla presenza di fertile terreno vulcanico ricco di fosforo e potassio, il pomodoro San Marzano è stato riconosciuto un DOP dal 1996. Oggi il Consorzio di tutela conta 14 cooperative di produzione e 16 aziende di trasformazione per circa 200 mila quintali l’anno di prodotto, di cui l’80% dell’export è assorbito proprio dagli Usa, dove il San Marzano DOP è stato definito la “Bibbia dei pomodori” dal Washingoton Post. Con i dati che raccontano una crescita significativa del valore dell’esportazione, passato dai 3,2 milioni di euro del 2019 ai 4,6 del 2021.
Tutto merito del loro sapore fresco ed equilibrato, del giusto livello di acidità, della polpa soda ed elastica, dei pochi semi e della buccia facile da rimuovere,  che ne fanno un’eccellenza gastronomica unica e irrinunciabile.

 

“La presenza di una serie di fattori concomitanti – ha spiegato Tommaso Romano, presidente del Consorzio di tutela del pomodoro San Marzano DOP dell’Agro Sarnese-Nocerino, – quali il clima mediterraneo, il suolo estremamente fertile e di ottima struttura, l’abilità e l’esperienza acquisita dagli agricoltori dell’area di produzione nel corso dei decenni, ha contribuito al suo successo nel mondo, coronato, nel 1996, dal riconoscimento dell’Unione Europea come DOP”.

 

Per conoscere meglio il prodotto e i luoghi dove viene coltivato e trasformato, sette giornalisti statunitensi partecipano dunque a uno speciale tour di una settimana tra Napoli e l’Agro Sarnese-Nocerino fatto di incontri con i produttori e degustazioni di piatti a base di pomodoro, oltre a un corso per imparare a preparare la pizza, condita con il San Marzano Dop. Per tutti anche un ricettario con i piatti dello chef Andrea Bastianella e i dolci della pastry chef Elena Rossi.

“Anicav dà sostegno alle imprese – ha affermato Giovanni De Angelis, direttore dell’Associazione – e promuove progetti come questo sul pomodoro, che hanno il valore comunicativo di spiegare a un mercato importante come quello degli Stati Uniti un pomodoro di nicchia, precursore del pomodoro italiano nel mondo. La coltivazione è quella antica ai pali, le caratteristiche chimico-fisiche, lo rendono inconfondibile, sia allo stato fresco che trasformato ed è il prodotto alimentare tra i più imitati al mondo. Per tutto questo motivo cura e preservazione sono fondamentali”.

 

Il programma si concluderà nel 2023 con una manifestazione a Las Vegas.