Metti nel piatto cibi anti-caldo: per essere idratati e fare la scorta di vitamine e Sali minerali

Quando il caldo e l’afa ci mettono a dura prova come in questi giorni, anche l’alimentazione può fare la sua parte per aiutarci. È infatti fondamentale consumare in abbondanza cibi di facile assimilazione e ricchi di acqua, vitamine e Sali minerali.

 

Alcuni alimenti più di altri sono consigliati per le loro virtù rinfrescanti, ma prima di tutto è importante rispettare alcuni semplici accorgimenti circa i cibi da evitare nelle ore più calde della giornata, come insaccati, formaggi stagionati, bevande zuccherate e alcolici.

 

Vediamo quali sono i migliori alimenti con cui comporre i nostri menu anti-caldo, facendo attenzione a consumare preferibilmente prodotti stagionali e di produzione locale, conservandoli bene per evitare il facile deperimento legato alle alte temperature.

Cetrioli: con il 96% di acqua, il cetriolo contiene Vitamina C e Sali minerali. Grazie al bassissimo contenuto calorico, è l’ideale per preparare delle fresche insalate o, insieme allo yogurt, la deliziosa salsa tzatziki da abbinare a piatti di carne o di pesce .

Zucchine: ricche di potassio, fosforo e ferro, vitamine A e C e con il 95% di acqua, le zucchine sono un ortaggio molto versatile per preparare ottimi primi piatti, contorni, frittate

Pomodori: come ottima fonte di licopene, beta- carotene e vitamina E, il pomodoro ha proprietà antiossidanti e aiuta a proteggere la pelle dai danni solari.

Peperoni: per l’alto contenuto di vitamine A e C, betacarotene e potassio i peperoni hanno virtù antiossidanti, oltre a essere diuretici e depurativi.

Melanzane: il basso contenuto calorico unito alla riccheza in fibre e potassio a fronte della ricchezza di fibre e di potassio rende questo ortaggio un alimento irrinunciabile della nostra dieta anticaldo.

Anguria: zuccherina e dissetante, l’anguria è ricca di vitamina A e C e di Sali minerali come magnesio e potassio, rivelandosi un vero toccasana nelle calde giornate estive.

Pesche: con il 90% di acqua, e il contenuto di vitamine, le pesche risultano utili per combattere la disidratazione e i fenomeni di stanchezza legati al caldo.

Fichi: Ricchi di acqua e fibre, i fichi hanno proprietà rinfrescanti e lassative. Non mancano le vitamine, come quelle del gruppo B e i minerali come potassio, calcio, fosforo e magnesio.

E se si parla di proteine, in estate sono ottime fonti di questi preziosi nutrienti: il salmone, che apporta acidi grassi Omega3, vitamine del gruppo B e minerali; il pollo che contiene fra l’altro sodio, fosforo, potassio, selenio, magnesio; le uova (consigliate dalle 2 alle 4 a settimana), ricche di vitamine A e D. Cibi facilmente digeribili che si prestano ad una grande varietà di preparazioni calde e fredde.

Infine una curiosità: aggiungere un cucchiaino di prezzemolo fresco alle nostre ricette può rivelarsi anche una efficace strategia anti-caldo, per il contenuto di Vitamina A, C, E, B6 e K, che questa erba aromatica presenta, oltre a potassio, calcio, sodio, magnesio, fosforo, ferro, zinco e manganese, tutti Sali minerali utili a mantenere in equilibrio il nostro metabolismo.

 

Un frutto che canta l’estate e, in forma di composta, addolcisce ogni momento della giornata

Uno dei frutti estivi per eccellenza per eccellenza, l’albicocca, ha anche una natura perfetta, grazie al suo sapore zuccherino e lievemente acidulo, per essere lavorata in una cremosa composta bio come quella Ohi Vita. Parliamo, infatti, di un frutto prezioso che presenta una grande varietà di caratteristiche nutritive importanti per il nostro benessere:

 

Ricca di vitamine e sali minerali, la composta cremosa di albicocche bio unisce proprietà nutrizionali e gusto per accompagnare colazioni e spuntini sani e golosi.

 

La ricchezza di acqua, di vitamine e di sali minerali rende l’albicocca un frutto utile per reintegrare i liquidi e i sali minerali perduti. Inoltre, le albicocche contengono una buona quantità di carotenoidi, responsabili del colore arancio acceso di questi frutti: come precursori della vitamina A forniscono al nostro organismo capacità antiossidanti e protettive. La vitamina A è anche importante per la salute degli occhi, in particolare della retina, e per rafforzare la risposta immunitaria dell’organismo. Senza dimenticare che il buon contenuto di potassio fa dell’albicocca un rimedio interessante contro la ritenzione idrica, mentre le sue fibre contribuiscono a regolarizzare le funzioni intestinali.

 

L’albicocco è una pianta originaria della Cina e la sua diffusione risale a più di 5000 anni fa. I suoi frutti vengono consumati freschi durante l’estate, disidratati nelle altre stagioni oppure preparati in vari modi, proprio come la composta. Ovvero una preparazione d’epoca medioevale che deve il suo nome al termine francese compôte, derivato, a sua volta, dal latino composita. Nel 70 a.C., furono i Romani che introdussero in Italia questo frutto: il suo nome pare infatti trovare la sua origine nel latino praecocum, letteralmente precoce per le sue caratteristiche di primizia estiva.

 

Le qualità preziose dei frutti dell’albicocco ne determinarono una rapida diffusione all’interno del bacino del Mediterraneo, anche grazie agli Arabi che chiamavano le albicocche al-berquq, aprendo la strada verso il francese abricot, linglese apricot, lo spagnolo albaricoque e il tedesco Aprikose. Alessandro Magno fu il primo a scoprire la bontà delle albicocche in Armenia, tanto che il nocciolo del frutto, in diversi dialetti soprattutto dell’Italia del Nord, viene ancora chiamato armellina. Ci sono, poi, alcune interpretazioni che vorrebbero riconoscere nella mela colta da Eva nel giardino dellEden, una bella albicocca: la Mesopotamia, leggendaria sede del paradiso terrestre, era infatti ricca di questi alberi. Alberi sotto i quali, secondo la tradizione, Confucio teneva le sue lezioni: per questo motivo l’ideogramma che, ancora oggi, significa cerchio dell’educazione contiene la parola albicocca.

 

La Composta cremosa di albicocche Ohi Vita è un prodotto che testimonia e garantisce un percorso rispettoso dellambiente in tutte le sue fasi: dalla produzione agricola fino alla trasformazione, dal trasporto al confezionamento, conservando intatte le proprietà organolettiche della frutta. Le albicocche biologiche sono prodotte senza l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, nel pieno rispetto dell’ecosistema dei territori da cui provengono. L’intera filiera produttiva è controllata in ogni passaggio e perfettamente tracciabile secondo gli standard di qualità del settore biologico.

 

 

 

 

Food4Future: la sostenibilità alimentare per il futuro, nostro e del nostro Pianeta

Viviamo in un mondo “in cui un miliardo di persone soffre ancora la fame cronica”. Un mondo con risorse sempre più limitate, in cui “i sistemi alimentari non sostenibili non danneggiano soltanto lambiente, ma minacciano anche la salute, listruzione, leconomia, la sicurezza e la pace”.

 

L’obiettivo della campagna Food4Future del WWF è quello di “modificare i sistemi alimentari, dalla produzione al consumo, per renderli più resilienti, più inclusivi, più sani e più sostenibili, tenendo conto delle necessità umane e dei limiti del Pianeta. Il cibo è la leva più potente per migliorare la salute umana e degli ecosistemi”.

 

Secondo il programma, sono quattro le sfide da affrontare, dal campo al mare, dalla tavola alla riduzione di perdite e sprechi alimentari: coltiva sostenibile, pesca sostenibilmente, mangia sostenibile e riduci gli sprechi alimentari. Perché un pasto sostenibile ha bisogno di circa mille litri d’acqua per essere prodotto fino al suo consumo e allo smaltimento. Uno meno sostenibile, magari non di stagione e molto ricco di proteine animali, può invece arrivare a consumarne anche 3mila litri. A questo, si aggiunga il fatto che una dieta ricca di frutta, verdura e, in generale, di alimenti di origine vegetale aiuta a migliorare la salute delle persone.

 

Si tratta di sfide da affrontare con urgenza e che richiedono l’impegno di tutti i cittadini in prima persona: ognuno può fare da subito la propria parte. Secondo gli 8 consigli sul cibo del Manifesto Food4Future:

 

  1. Mangia vegetale. Scegli una dieta prevalentemente a base vegetale con moderate quantità di carne, pesce, uova e latticini.
  2. Scegli bio. Prediligi alimenti biologici che tutelano la biodiversità, non fanno uso di input chimici e mantengono la fertilità dei suoli.
  3. Acquista locale. Privilegia prodotti stagionali a filiera corta che riducono il trasporto e diversificano stagione per stagione i tuoi menù.
  4. Paga giusto. Evita di acquistare alimenti a prezzi troppo bassi che spesso nascondono un costo per l’ambiente e per i lavoratori.
  5. Mangia sano. Scegli cibi salutari e nutrienti e riduci al minimo gli alimenti trasformati che hanno impatti molto elevati per l’ambiente e anche per te.
  6. Mangia vario. Diversifica gli alimenti, ti aiuterà ad avere un apporto adeguato di energia e nutrienti.
  7. Diversifica il consumo di prodotti ittici, rispetta la stagionalità e scegli solo pesce adulto con un’etichettatura chiara e trasparente.
  8. Riduci gli sprechi. Compra frutta e verdura dall’aspetto “brutto”, fai attenzione alle etichette e alle scadenze, ricicla gli avanzi.

 

Proprio su quest’ultimo tema, la campagna Food4Future evidenzia come uno dei paradossi inaccettabili del nostro tempo sia proprio  “la perdita e lo spreco alimentare: cibo buttato via, perso, lasciato marcire o degradato da organismi infestanti. Cibo che ha richiesto energia, terra, acqua, tempo, carburante, risorse naturali e umane, denaro e una certa quantità di inquinanti per essere prodotto, trasportato, trasformato, confezionato, conservato, venduto e acquistato. Le perdite e gli sprechi aggravano l’insicurezza alimentare e la malnutrizione in un momento in cui la fame nel mondo è in aumento. Fondamentale è ridurre sensibilmente le perdite alimentari sul piano della produzione e gli sprechi alimentari sul piano del consumo”. In questa direzione i principali obiettivi sono senz’altro quelli di ridurre fino a eliminare le perdite lungo le filiere, in campo e in mare. Ed eliminare anche gli sprechi domestici.

 

 

 

 

 

 

Un abbinamento consigliato dal medico personale dell’Imperatore romano Marco Aurelio: il prosciutto e melone, matrimonio dell’estate

Sembra facile, ma mettere assieme una componente dolce e una salata nel pieno equilibrio dei sapori non è cosa così immediata. Prosciutto è melone sono, assieme, un abbinamento che risale ai tempi dei Romani, uno sposalizio del gusto e della freschezza che sembra doversi al medico personale dell’imperatore Marco Aurelio, quel Galeno che vedeva nel calore del corpo umano il fuoco interno che ci tiene in vita. Un’energia che va tenuta accesa e non sopita immettendo nel corpo troppi cibi freddi e umidi.

 

Considerando che la dieta degli antichi Romani era ricca prevalentemente di cereali, latticini, verdura e di frutti come il fragrante melone estivo, ecco che per tenere il fuoco dentro acceso occorreva affiancargli un cibo caldo e secco, proprio come il prosciutto crudo di cui i Romani andavano, comunque, ghiotti. Di certo, dopo l’epoca romana di questo piatto non si sa più molto, sparisce dai radar dei grandi banchetti rinascimentali per poi ricomparire nel celebre libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, la cui prima edizione risale al 1891.

 

All’interno di un menu dedicato all’agosto, Artusi propone “Popone col prosciutto e vino generoso”. Perché, dice il proverbio: “Quando sole est in leone/ pone muliem in cantone/ bibe vinum cum sifone”

 

Insomma, quando fa tanto caldo meglio lasciare perdere le donne e dedicarsi al vino, ancora meglio se con un buon piatto, appunto, di prosciutto e melone. Dopo questo passaggio, la ricetta torna nell’oblio ricomparendo di nuovo negli anni Sessanta imponendosi definitivamente nella cucina tradizionale italiana.

 

Prosciutto e melone

 

Ingredienti (per 4 persone)

2 meloni adatti. Vanno bene il melone giallo, quello bianco, il melone retato arancione o il cantalupo. A maturazione media, fresco di frigo.

2 etti di buon prosciutto crudo. San Daniele o di Parma i più utilizzati ma l’importante è che abbia un buon equilibrio tra sapidità e dolcezza.

 

Procedimento

Dividere in due i meloni per il senso della lunghezza e togliere tutti i semi.

Ricavarne otto fette per melone e separare la polpa dalla buccia.

Prendere una fetta di prosciutto crudo e avvolgerla attorno alla fetta di melone o appoggiare il prosciutto sopra il melone dopo averlo adagiato sul piatto. Quattro fette di melone a testa.

 

 

Arrivano i mocktail e l’aperitivo si fa trendy e salutare

12Un cocktail in mano da sorseggiare lentamente e sembra di essere già in vacanza. È questa la più autentica ragione del grande successo degli aperitivi, una volta terminata la giornata di lavoro o nel fine settimana o durante le ferie: circoscrivere un momento di pieno relax, fatto di sapori aromatici e inusuali, dolci oppure contrastati, da ritagliare nei tanti impegni e preoccupazioni che riempiono la nostra quotidianità. Il mondo è radicalmente cambiato da quando Ippocrate nel IV secolo a.C. si proponeva di trovare una bevanda che potesse spingere gli inappetenti al cibo. Da qui proviene infatti il termine “aperitivo” (dal latino aperitivus, “che apre”) a indicare una bevanda capace di stimolare l’appetito e che per Ippocrate doveva essere a base di vino bianco, assenzio, fiori di dittamo e ruta, dal sapore un po’ amaro e dalle sperimentate proprietà benefiche.

 

Ma c’è un ma… perché il consumo di alcol va limitato, in ogni stagione, e soprattutto d’estate, quando può intensificare gli effetti negativi delle alte temperature per il nostro corpo, oltre a tutti gli altri danni che può causare. Non a caso, qualche anno fa un gruppo di ricercatori delle Midlands aveva pubblicato sul British Medical Journal un rapporto accurato su James Bond, che tutti ricordiamo con l’immancabile drink in mano a punteggiare le straordinarie avventure: «Probabilmente malato di cirrosi epatica, destinato a morire intorno ai 50 anni e certamente incapace di compiere le imprese che gli vengono attribuite, dal punto di vista fisico, mentale e in effetti anche sessuale», era stata l’amara e inappellabile diagnosi fornita.

Per fortuna in queste calde serate estive possiamo continuare a coltivare il piacere e anche l’estetica del drink senza correre alcun rischio, grazie alle versioni analcoliche dei cocktail, sempre più diffuse e sempre più amate da una platea di consumatori attenti a uno stile di vita più equilibrato e salutare.

 

Sono i mocktail, drink “sobri” che consentono di non rinunciare a gusto e convivialità, in tutta sicurezza. Largo dunque a succhi, estratti e bitter vari a cui abbinare frutti, erbe aromatiche o verdure e cercando sempre più di raffinare la proposta per ridurre la quantità di zuccheri di cui questi analcolici sono comunque piuttosto ricchi.

 

Ed è possibile prepararli anche a casa con risultati davvero soddisfacenti, dopo aver rodato con un po’ di pratica i dosaggi e la temperatura di servizio.

Qui ne proponiamo uno, il Virgin Bellini, che è la versione analcolica del famoso cocktail inventato nel 1948 da Giuseppe Cipriani, quando lavorava all’Harry’s Bar di Venezia, per celebrare la ricostruzione post bellica e la bellezza della vita quando regna la pace e tacciono le armi.

L’ingrediente base resta il succo di pesca, che nella versione originale era di pesca bianca veronese pestata nel tumbler, ma va benissimo anche quello che si trova sugli scaffali del supermercato.

In un bicchiere da cocktail un po’ alto poniamo qualche cubetto di ghiaccio, versiamo il succo di pesca, un po’ di succo di pompelmo (o di limone, secondo i gusti) e un cucchiaino di succo di melograno. Mescoliamo e in ultimo aggiungiamo la soda, dando una seconda e ultima mescolata al drink. Volendo possiamo anche arricchirlo con dello zenzero fresco pestato per dare un tocco aromatico e piccante. Ora il nostro Virgin Bellini è pronto per essere gustato.

Buon mocktail a tutti!

 

A Km 0, biologico, da energie rinnovabili e con il controllo degli sprechi: il cibo italiano cresce e riduce l’impatto ambientale

Il cibo è un settore centrale della nostra economia che, nel 2021, è cresciuto del 6,8%, ovvero più del nostro stesso Pil che ha segnato nello stesso anno un +6,6%. Il più recente Food Industry Monitor (FIM), lOsservatorio sul settore food realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors, spiega come la crescita si protrarrà anche nel 2022 e nel 2023 con tassi intorno al 4% annuo, più del doppio sempre del Pil previsto. L’Osservatorio è quest’anno dedicato in modo particolare all’analisi del rapporto tra innovazione e crescita sostenibile delle aziende alimentari, con un focus sulle aziende familiari e le specificità dei loro modelli di business.

 

L’analisi delle performance di sostenibilità evidenzia che il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime a ridotto impatto ambientale. Circa l’88% delle aziende usa in via esclusiva o prevalente packaging sostenibili. Circa il 57% ha ottenuto una o più certificazioni inerenti alla sostenibilità ambientale e il 30% circa pubblica un bilancio di sostenibilità, mediamente da almeno tre anni.

 

“Materie prime a ridotto impatto ambientale significa che sono state prodotte secondo criteri quali il km zero o l’agricoltura biologica, con fonti di energia rinnovabile e/o packaging da materie prime riciclate. La tendenza è molto diffusa, anche se utilizzata in modo non esclusivo”, ha precisato Carmine Garzia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, docente di Management presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. “Se, dunque, il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime sostenibili, solo un 22% le utilizza in modo prevalente. Rispetto ai dati dello scorso anno, le imprese stanno comunque incrementando in modo significativo gli investimenti in sostenibilità”.

 

Un altro tema centrale della sostenibilità del cibo è quello connesso allo spreco alimentare che è diventato negli ultimi anni una delle emergenze ambientali e sociali con un impatto a livello mondiale. Se guardiamo agli ultimi dati disponibili (2019) forniti dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), si sono sprecate circa 931 milioni di tonnellate di cibo. Molti sono i progetti e gli interventi a livello internazionale che stanno operando in questo ambito per il raggiungimento del target 12.3 dimezzamento dello spreco alimentare globale a livello di produzione e consumo entro il 2030 – all’interno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite.

 

Partendo da questi presupposti il progetto LIFE FOSTER, avviato 4 anni fa in quattro Paesi Europei (Italia, Spagna Franca e Malta) grazie al cofinanziamento del programma LIFE della Commissione Europea, ha avuto come finalità la riduzione degli scarti del settore della ristorazione attraverso la formazione professionale, l’educazione e la comunicazione. L’impegno comune è stato quello di attivare il trasferimento di conoscenze e competenze green ai professionisti della ristorazione di domani, allo scopo di innescare comportamenti virtuosi. E, in questi 4 anni, si sono ottenuti importanti risultati: dagli oltre 6500 studenti formati in presenza e 4000 formati tramite e-learning ai 60 centri di formazione professionale coinvolti, da più di 50 eventi organizzati alla segnalazione del progetto come Best Practice per l’Economia Circolare in Italia ICESP e UNI.

 

La farina di semi di zucca, uno straordinario superfood proteico adatto per tutte le stagioni

Seguire una dieta varia ed equilibrata come forma di prevenzione e cura del proprio benessere significa anche imparare a conoscere tutte le proprietà nutrizionali degli alimenti che per noi sono più facilmente reperibili, perché appartengono alla nostra tradizione produttiva e gastronomica. E qualche volta significa anche imparare qualcosa di nuovo circa questi alimenti.

Per esempio, se conosciamo bene le zucche, le diverse varietà, i loro molteplici impieghi, le ricette più golose e il loro valore nutritivo, ancora poco noti sono gli usi e le proprietà della farina ricavata dai semi di zucca. Un alimento che potrebbe rappresentare l’emblema della economia circolare applicata in cucina, perché ottenuto senza buttare via niente della zucca, un ortaggio diffuso a tutte le latitudini e dalle mille virtù.

La farina di semi di zucca è infatti una preziosa fonte nutrizionale a basso contenuto di carboidrati, naturalmente priva di glutine e ricchissima di aminoacidi essenziali come lisina, leucina e arginina, fondamentali per la costruzione e il metabolismo muscolare, rivelandosi pertanto una eccellente fonte proteica tanto da qualificarsi come un vero e proprio superfood.

 

Da circa 30 grammi di farina di semi di zucca, la quantità giornaliera consigliata, si possono assumere quasi 20 grammi di proteine vegetali e circa 4 grammi di fibra alimentare, importante per il buon funzionamento dell’intestino e per la salute del cuore.

 

La medesima porzione è inoltre capace di garantire il 35% del fabbisogno giornaliero di ferro, e l’80% di quello di magnesio, utile per il rilassamento muscolare. Senza dimenticare il contenuto di flavonoidi e vitamina E che, come antiossidanti naturali, aiutano a contrastare gli effetti dei radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento, e la presenza dell’acido linoleico, che tiene a bada il colesterolo cattivo.

Ma non finisce qui. Perché introdurre la farina di semi di zucca nella propria dieta può aiutare anche a contrastare insonnia e stress per il contenuto di triptofano, un amminoacido coinvolto nella produzione della serotonina, mentre sono note le sue proprietà vermifughe e antiparassitarie in grado di prevenire e contrastare eventuali disturbi alle vie urinarie.

 

Come si può impiegare la farina di semi di zucca? Sicuramente può essere aggiunta alle farine tradizionali per preparare prodotti da forno, dolci e salati, ad alto contenuto proteico, ma, essendo molto versatile, può essere impiegata anche in pietanze veloci e fresche, più indicate nella stagione estiva, come insalate, zuppe, yogurt e frullati.

 

Dunque, largo alla nostra creatività in cucina! Alla scoperta di tutti i molteplici usi di questo prezioso alimento, per poi perfezionarsi sempre di più in quelle che saranno le nostre ricette preferite.

Basta non superare la quantità quotidiana indicata per persona, pari a circa due cucchiai da minestra, e inserirla nell’ambito di una dieta varia e bilanciata che alterni in modo salutare le diverse fonti proteiche.

 

Suona italiano ma purtroppo è un falso: l’Italian sounding rappresenta più del 50% del mercato internazionale rispetto all’export autentico

Dici Parmigiano Reggiano, aceto balsamico Prosciutto di Parma, sugo di pomodoro, pasta, vino e ti sembra di “sentire” l’eccellenza alimentare italiana, ma spesso sui mercati esteri si tratta solo di un’illusione. Un’ illusione che si chiama Italian sounding: suona italiano, ma non lo è. Però sfruttando un mix di nomi italiani, loghi, colori, immagini riconducibili al nostro Paese, quel prodotto, preparato da tutt’altra parte, viene commercializzato con successo.

Per fare qualche esempio, il Parmesan richiama il nostro Parmigiano, la Zottarella o Mozarella la nostra mozzarella, la Salsa pomarola il nostro sugo….
Non si può parlare di contraffazione vera e propria, che è un fenomeno diverso e illegale, quanto di una strategia di evocazione di italianità come fattore di attrazione (e inganno) del consumatore. Anche perché i foodies, come vengono chiamati i consumatori internazionali più attenti alle tipicità enogastronomiche, spesso non hanno conoscenze e strumenti così approfondite da saper distinguere provenienza e caratteristiche dei prodotti davvero Made in Italy.

Sul fenomeno dell’Italian sounding si è soffermata la sesta edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” organizzato da The European House – Ambrosetti, quantificandone il valore, in collaborazione con Assocamerestero.

Se l’export del settore alimentare italiano è cresciuto nel 2021, superando la soglia dei 50 miliardi di euro e centrando per la prima volta un valore record finora mai raggiunto, la crescita è stata però ridotta rispetto ad altri settori e soprattutto largamente influenzata proprio dall’Italian sounding.

 

Nello specifico, ragù (61,4%), parmigiano (61,0%) e aceto balsamico (60,5%) sono i prodotti italiani più imitati nel mondo. Attraverso una ricerca che ha coinvolto oltre 250 retailer internazionali della Gdo di 10 Paesi diversi e i prodotti del Made in Italy agroalimentare più colpiti, si è rilevato addirittura come in Giappone (70,9%), seguito a brevissima distanza da Brasile (70,5%), e Germania (67,9%) la presenza di prodotti Italian Sounding sia maggiore rispetto a quelli realmente italiani.

 

Elaborando un moltiplicatore da utilizzare a livello globale, si può affermare che il fenomeno possa giungere ad un valore superiore ai 51 miliardi di euro. Se si sommasse questa cifra al dato reale di export, il settore agroalimentare italiano potrebbe raggiungere un giro di affari doppio rispetto all’attuale e superiore ai 100 miliardi di euro.

Poche regole e molto semplici: quando la flessibilità incontra la sostenibilità nasce dieta flexitariana

Il suo nome unisce flexible (flessibile) e vegetarian (vegetariano), ed è una dieta che sta riscuotendo un successo crescente, anche perché scelta da molte celebrità per mantenere o riconquistare il peso desiderato. Tra gli ultimi, Megan Markle ha recentemente dichiarato di essere tornata in forma proprio grazie alla dieta flexitariana. Ma ricordiamoci che quando parliamo di dieta, noi parliamo di un regime alimentare inteso come stile di vita e come selezione dei cibi con cui costruire il proprio menu quotidiano, senza riferimento a quantità, né tantomeno a privazioni. La dieta flexitariana infatti si inserisce in un quadro di scelte individuali che mettono al primo posto il benessere psico-fisico, nel segno dell’equilibrio, del rispetto della natura e del contenimento dell’impatto ambientale della filiera alimentare.

Del resto, la dieta flexitariana viene elaborata alla fine degli anni Novanta con questa promessa: poche regole e un compromesso tra la dieta vegetariana, la più sostenibile in termini di consumo di risorse naturali, e l’introduzione di proteine di origine animale, utile a correggere le eventuali mancanze nutrizionali legate ad una scelta tutta vegetale, come carenze di calcio, ferro, vitamina D e vitamina B12. Oggi possiamo delineare il profilo del flexitariano come quello di “un vegetariano che mangia occasionalmente carne”, facendo trascorrere almeno cinque giorni tra un consumo e l’altro. Dunque via libera ad un consumo moderato di carne bianca e rossa e di uova, in modo tale che rappresentino circa il 20% della nostra alimentazione e che siano preferibilmente biologici e a chilometro zero.

 

Verdura e frutta, fresca e secca insieme a cereali integrali, legumi e semi oleosi rappresentano la base della alimentazione quotidiana, a cui va aggiunto un consumo contenuto di proteine animali di qualità, mentre non c’è alcuna limitazione per il pesce.

 

Seguire questo regime alimentare genera molti vantaggi perché consente di controllare la pressione sanguigna e i livelli di colesterolo cattivo, a tutto vantaggio della salute del nostro sistema cardiocircolatorio. Inoltre, l’elevato apparto di vitamine e Sali minerali, insieme alle fibre, promuove il buon funzionamento dell’intestino ed un generale effetto antiossidante, a favore del nostro benessere psico-fisico e della nostra bellezza.

Proprio perché si tratta di una dieta fondata su poche regole a cui attenersi e su una adattabilità da modellare in base alle proprie esigenze, la flexitariana prevede anche diversi livelli di adesione: un livello base, in cui si procede con la riduzione progressiva delle proteine animali  da consumare dopo due giorni di sospensione; un livello intermedio, in cui vi si rinuncia per tre o quattro giorni; ed infine il livello avanzato, in cui le proteine di origine animale, per un quantitativo pari ai  250 grammi complessivi, vengono consumate dopo cinque giorni caratterizzati da menu interamente vegetariani.

 

Per seguire la dieta flexitariana, sono consigliatissimi yogurt vegetale con cereali aggiunti, macedonia di frutta fresca di stagione con integrazione di semi oleosi (come sesamo, zucca, chia, lino ecc.) spremute, tisane rinfrescanti, acqua aromatizzata e te, senza l’aggiunta di zuccheri, primi piatti di pasta con le verdure, minestroni e zuppe di legumi, magari da consumare fredde, pesce preparato con condimenti leggeri, insalatone miste e spuntini a base di frutta secca. Sempre riducendo al minimo il consumo di cibi industriali preconfezionati, di dolci e di bevande zuccherate e gassate.

 

Fra tutte le stagioni, l’estate, ricca di verdure da consumare crude e di frutta succosa e piena di vitamine è proprio la stagione più adatta per cominciare a seguire la dieta flexitariana con un certo impegno, ma soprattutto con tanto gusto. E con la certezza che questo regime alimentare fa bene a noi e fa bene al pianeta.

Il latte e la carne irlandesi parlano il linguaggio universale della sostenibilità: i traguardi del programma governativo Origin Green

Dopo dieci anni, Bord Bia, l’ente governativo irlandese che promuove l’industria del food & beverage nazionale, può vantare i risultati tangibili e documentati di Origin Green, il programma di produzione agroalimentare sostenibile che ha voluto e finanziato, a partire da un’operazione formativa e culturale con agricoltori e produttori primari, trasformatori e rivenditori del settore. Tanto che oggi ben il 90% dell’intero comparto alimentare irlandese è sottoposto alla supervisione del programma Origin Green, con l’Irlanda che può candidarsi a diventare il paese modello per la qualità e la sostenibilità dell’intera filiera agroalimentare.

 

E i traguardi raggiunti raccontano di 300 imprese, 55 mila aziende agricole, 71 mila membri che, grazie alle attività svolte nell’ultimo decennio – articolate in 2.600 obiettivi e 13.600 iniziative sostenibili – sono riusciti con uno sforzo comune e a ridurre di oltre il 6% le emissioni di CO2 per unità di carne e di latte animale prodotta. Un risultato davvero interessante che soprattutto promette di costituirsi come modello da studiare e da esportare anche in altre realtà produttive.

 

Le proteine di origine animale, infatti, rappresentano una componente importante delle diete equilibrate, varie e salutari. Produrle garantendo attenzione al benessere animale, controllo della filiera, riduzione dell’impatto ambientale significa compiere un passo fondamentale nel percorso verso quella sostenibilità nutrizionale che si misura con la tutela delle risorse naturali, l’aumento della popolazione a livello globale e la risoluzione dei problemi di malnutrizione (per mancanza di cibo o eccesso di cibo di scarsa qualità) che ci affliggono.

 

Oltre al fatto che, dati alla mano, produrre in modo sostenibile conviene anche sul piano economico e della produttività: Origin Green è un programma che ha sempre messo al centro tutte e tre le dimensioni della sostenibilità, ambientale, sociale ed economica. “Un numero crescente di agricoltori irlandesi sta riconoscendo che il miglioramento delle pratiche di sostenibilità è positivo anche per le imprese – commentano dal Bord Bia –. Un’agricoltura sostenibile e un’agricoltura efficiente vanno di pari passo e possono anche preservare la vostra azienda agricola e l’ambiente per le generazioni future.” Per esempio, è stato elaborato lo Standard Grass Fed per la carne bovina irlandese, per tracciare e verificare la percentuale di erba consumata nella dieta delle mandrie di bovini irlandesi sulla base di prove riscontrabili a sostegno dell’affermazione secondo cui la carne bovina irlandese proviene tradizionalmente da animali allevati al pascolo. Una garanzia che viene associata ad un trattamento più etico verso gli animali e a una maggiore qualità del prodotto finale: “Quasi la metà dei consumatori a livello globale associa l’Irlanda all’allevamento al pascolo – ha dichiarato Francesca Perfetto, di Bord Bia Italia –. Quindi abbiamo sviluppato questo standard come risposta diretta alla crescente domanda internazionale da parte di consumatori che scelgono di affidarsi a prodotti premium, sani e creati secondo i dettami della natura”.

 

Se il programma Origin Green è nato dalla definizione e misurazione della sostenibilità come traguardo per i prodotti lattiero-caseari e di origine bovina, i piani si sono poi estesi a carne suina, pollame, uova, orticoltura e cereali, secondo una visione onnicomprensiva e strutturata dell’intero settore del food&beverage irlandese.

“Si tratta di un programma molto ‘organico’ sulla sostenibilità, nel senso che abbraccia tutto il sistema agroalimentare; poi l’approccio di misurazione degli indicatori che valutano i progressi ottenuti ha una base scientifica molto solida; infine, i dieci anni di esperienza (e miglioramenti) lo rendono effettivamente unico nel suo genere”, ha commentato Andrea Segre, economista e professore di politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna, auspicando anche un confronto a livello tecnico-scientifico della straordinaria esperienza irlandese con quella italiana, che pure può vantare una crescita del comparto biologico superiore alle medie europee, la riduzione delle perdite agricole e degli sprechi alimentari, e iniziative innovative di Agricoltura 4.0.