Utile come un guscio d’uovo: alcuni consigli d’uso domestico di uno scarto che è invece una risorsa

Con una produzione nazionale di oltre 12,6 miliardi di uova, l’Italia è il quarto produttore europeo, come rivela il recente report di Ismea. 41 milioni di galline, di cui quasi la metà allevate a terra, in oltre 2.600 allevamenti distribuiti in tutte le regioni garantiscono un prodotto finale di eccellente qualità e dalla filiera interamente rintracciabile.  Il consumo pro-capite è notevolmente cresciuto negli utili anni e nel 2022 è arrivato a circa 220 uova, il 40% delle quali consumate in prodotti che le contengono.

 

Ciascuno di noi produce una media annua di più di 130 gusci d’uovo che, nella maggior parte dei casi, destina al contenitore dell’umido. Invece no! È possibile realizzare una piccola economia domestica all’insegna delle potenzialità circolari dei gusci d’uovo, che davvero si prestano a moltissimi interessanti utilizzi.

 

Eccone alcuni, molto semplici da realizzare e davvero vantaggiosi.

 

I gusci d’uovo sono efficaci fertilizzanti e antiparassitari naturali per le piante.

Ricchi di calcio come sono, una volta ridotti in polvere e mescolati al terriccio dei vasi promuovono la crescita robusta delle nostre piante. Tritati grossolanamente invece e messi in superfici sono degli efficaci dissuasori per le lumachine e le formiche; mentre conservati a metà, i gusci possono essere utilizzati per mettere a dimora i semi, che troveranno nei Sali minerali di cui il guscio è ricco dei nutrienti necessari per germogliare e svilupparsi.

 

I gusci d’uovo sono ottimi integratori di calcio.

Aggiunti ogni tanto alla consueta alimentazione dei nostri cani, i gusci d’uovo, meglio se biologici, possono essere una buona fonte di calcio per i nostri amici a quattro zampe, a partire dall’anno di età. Importante è lavarli bene e porli in forno ad alta temperatura per sterilizzarli, quindi ridurli in polvere finissima ed aggiungerli nella misura di mezzo cucchiaino alla volta. In caso di diarrea del cane, invece, due cucchiaini di guscio polverizzato aggiunto al pasto, può ristabilire velocemente l’equilibrio intestinale.

 

I gusci d’uovo sono utili per le pulizie di casa.

Triturati e lasciati in ammollo in acqua calda possono eliminare gli aloni dalle stoviglie, mentre se raccolti in un sacchettino di cotone ben chiuso e uniti al detersivo possono essere degli efficaci sbiancanti, sia nel lavaggio a mano sia in quello in lavatrice.

 

I gusci d’uovo sono alleati di bellezza.

Un’ottima maschera nutriente si ottiene aggiungendo all’albume d’uovo montato a neve il guscio dell’uovo, ridotto in polvere finissima. Una volta stesa sul viso (escluso il contorno occhi) con un leggero movimento rotatorio, la maschera va lasciata in posa fino a che si secca. Quindi risciacquare con acqua tiepida e procedere stendendo la propria crema abituale. Invece, aggiungere i gusci polverizzati ad un comune smalto per unghie, magari la notte, significa donargli delle interessanti proprietà rinforzanti. 

 

 

Due litri d’acqua al giorno levano l’insonnia di torno

Che bere molta acqua ed essere ben idratati sia un presupposto necessario per il nostro benessere lo sapevamo. Ma che bere in modo insufficiente possa voler dire anche dormire poco e male, è una correlazione meno evidente, messa però chiaramente in luce da una specifica ricerca.

 

Pubblicata sulla rivista Sleep, e intitolata Short sleep duration is associated with inadequate hydration, la ricerca ha riguardato 20000 giovani adulti in buona salute negli Usa e in Cina e ha rivelato che un corretto tasso di idratazione del corpo ed un adeguato numero di ore di sonno sono due fattori interdipendenti.  Dall’analisi delle loro urine, è emerso infatti che i valori elevati di densità urinaria (maggiori di 1.020 g/ml) e di contenuto salino (maggiore di 831mOsm/kg) legati a una insufficiente idratazione portano anche a una riduzione della durata del sonno, che può arrivare fino a due ore.

 

In mancanza di una buona idratazione, infatti, il nostro organismo produce un ormone antidiuretico per trattenere i liquidi, chiamato vasopressina, che purtroppo ha degli effetti negativi anche su durata e qualità del nostro riposo.

 

Ma il sonno ci è necessario per la nostra buona salute psicofisica, perché al riposo sono legati la resistenza alla fatica e allo stress, il metabolismo, la concentrazione, il buon umore e anche la nostra creatività. Pertanto comprometterlo con comportamenti scorretti come una scarsa idratazione significa esporsi a diverse conseguenze negative.

 

Un adeguato apporto di acqua è infatti fondamentale per il funzionamento fisiologico e la nostra salute. Le conseguenze a breve termine del deficit idrico corporeo possono essere mal di testa, affaticamento, irritabilità, difficoltà di concentrazione, secchezza delle fauci, acuità visiva. Per questo, la ricerca si è posta l’obiettivo di identificare gli aspetti biologici e comportamentali della vita quotidiana, correlati allo stato di idratazione del nostro corpo, che sono modificabili per promuovere il nostro benessere generale e ridurre il rischio di patologie come calcoli renali e infezioni del tratto urinario, che nella stagione calda possono essere più frequenti e fastidiosi.

Ricordiamo che per mantenersi in forma un ragazzo e un adulto devono assumere almeno due litri di acqua al giorno – fatte salve le variabili legate al sesso, all’età e al peso – e che come regola generale, il 20-30% dell’acqua di cui abbiamo bisogno deriva dal nostro cibo.

Pertanto consumare una dieta bilanciata, con una grande varietà di frutta e verdura, è già un primo passo verso una corretta idratazione. Allo stesso modo, oltre all’acqua, è possibile idratarsi grazie a brodi, minestre, tisane, infusi e acque aromatizzate (rigorosamente senza zuccheri aggiunti).

BIS!, la campagna nazionale contro lo spreco alimentare passa dalla food-bag

Nel 2021, nella pattumiera sono finiti in media 595,3 grammi pro capite a settimana di cibo, ovvero 30,956 kg annui, quasi il 15% in più sull’anno precedente. Il tutto per un valore complessivo di 7,37 miliardi di spreco alimentare, che corrisponde a 1,8 milioni di tonnellate di cibo l’anno. E se si include anche lo spreco alimentare di tutta la filiera, dalla produzione al commercio, si arriva a superare i 5 milioni di tonnellate pari a quasi 10,5 miliardi. È il quadro che emerge dal rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher International che ha analizzato gli 8 Paesi più spreconi. Nella hit degli alimenti più spesso sprecati svetta la frutta fresca (27%), seguita da cipolle aglio e tuberi (17%), pane fresco (16%), verdure (16%) e insalata (15%). Secondo l’83% degli italiani, sprecare cibo significa anche sprecare denaro e, quindi, una gestione oculata va di pari passo con quella del bilancio familiare. Senza dimenticare anche l’effetto diseducativo per i giovani (83%), l’immoralità di gettare cibo (80%) e risorse (78%) e l’ inquinamento ambientale (76%).

 

Il cibo che resta dopo pranzi e cene rappresenta una fetta rilevante degli sprechi alimentari e, quindi, promuovere, attraverso una vera e propria alleanza tra istituzioni pubbliche e Associazioni, una maggiore consapevolezza del valore del cibo è un’operazione importante. Che si può svolgere, ad esempio, attraverso la diffusione della food-bag nella ristorazione, ovvero di uno di quei contenitori che servono a portarsi a casa ciò che abbiamo avanzato al ristorante. Questo il senso della Campagna Nazionale BIS! contro lo spreco alimentare, realizzata da Anci e finanziata dal MITE:

 

“La campagna, prevista dalla Legge 166/2016 sugli sprechi alimentari, intende coinvolgere gli esercizi di ristorazione verso l’adozione di misure e strumenti di comunicazione – rivolti ai propri clienti – che promuovano attivamente la pratica virtuosa dell’asporto del cibo avanzato nella ristorazione commerciale, la cosiddetta food-bag”.

 

Grazie alla collaborazione con il CIAL (Consorzio Nazionale Imballaggi in Alluminio), le prime 250 attività di ristorazione che aderiscono alla campagna ricevono un kit di benvenuto composto da circa 200 contenitori da asporto, e materiali di comunicazione da utilizzare nel proprio locale. A supporto della campagna e delle attività di sensibilizzazione attivate dai ristoratori nei confronti dei propri clienti, sono stati infatti predisposti spot audio, pillole video, banner web e materiale grafico liberamente scaricabili dal sito web del progetto.

 

La Campagna Nazionale BIS! fa parte di un progetto più ampio sulla riduzione degli sprechi alimentari finanziato dal Ministero della Transizione Ecologica (MITE), che prevede anche altre attività per la prevenzione nella ristorazione scolastica. Spiega il sindaco di Lecce Carlo Salvemini, delegato Anci per Energia e Rifiuti: “Rinunciare a portare a casa il cibo che non finiamo di consumare al ristorante è come uscire lasciando le luci accese. Occorre maturare questa consapevolezza per avere la corretta percezione dell’impatto che lo spreco alimentare genera sull’ambiente e sull’economia. E siccome la lotta agli sprechi è un fondamento delleconomia circolare, Anci, MITE, Cial e Federazione Italiana Cuochi lanciano questa campagna che punta a caratterizzare come virtuoso un comportamento oggi ancora troppo poco adottato. Per produrre ciò che viene sprecato impieghiamo risorse, energie e denaro sottratti ad altri scopi: dovere civico di tutti noi è non gettare, insieme al cibo, tutti questi sforzi e queste risorse nella pattumiera. Luso della food-bag deve diventare una consuetudine e sono felice che già numerose attività di ristorazione abbiano aderito, dimostrando che la sensibilità e la buona volontà per compiere passi in avanti sono già mature”.

 

Quella benefica “Wild Dozen”: una miniera di proprietà ma alcune piante selvatiche sono a rischio

L’olio di argan è un toccasana per capelli e pelle, il burro di caritè viene utilizzato in molti prodotti da forno, la liquirizia aromatizza tisane e caramelle. Le piante selvatiche sono un ingrediente diffuso in tanti prodotti che usiamo quotidianamente, tanto che la domanda negli ultimi venti anni è cresciuta del 75%. E la pandemia sembra che la stia facendo ancora crescere, soprattutto nei paesi più ricchi: solo negli USA nel 2020 sono stati spesi circa 11,3 miliardi di dollari in integratori alimentari a base di erbe. Complessivamente, secondo un recente studio della Rhodes University in Sud Africa, si stima che a livello globale fino a 5,8 miliardi di persone possano utilizzare piante selvatiche o semi-selvatiche.

 

Ma questo sta mettendo in pericolo tantissime specie. A lanciare l’allarme è un Rapporto della Fao dal titolo WILDCHECK: Valutare i rischi e le opportunità del commercio di ingredienti ricavati da piante selvatiche. Sotto i riflettori dodici specie, o “Wild dozen”, diventate vulnerabili, per l’eccessivo sfruttamento da parte dell’uomo, ma non solo. Anche i cambiamenti climatici e la perdita del loro habitat naturale gioca un ruolo negativo nella loro sopravvivenza.

 

Le dodici piante scelte come simbolo di criticità sono candelilla (Euphorbia antisyphilitica), idraste (Hydrastis canadensis), noce brasiliana (Bertholletia excelsa), ginepro (Juniperus communis), liquirizia (Glycyrrhiza glabra), nardo (Nardostachy jatamansi), pigeo africano (Prunus africana), karité (Vitellaria paradoxa), acacia senegal (Senegalia senegal), argania (da cui si ottiene l’olio di argan), baobab (Adansonia digitata), Boswellia sacra (da cui si ricava l’incenso).

 

Attraverso il Rapporto, elaborato in collaborazione con Traffic, organizzazione non governativa che opera nel settore del commercio mondiale di animali e piante selvatici, e con l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, la FAO intende promuovere un impiego sostenibile delle piante selvatiche, dato che all’interno del 21% delle piante selvatiche valutate, ben il 9% rischia l’estinzione.

 

Senza dimenticare le conseguenze socio economico della perdita di biodiversità, perché dalla raccolta e commercializzazione di queste varietà dipende il sostentamento di molte popolazioni. Si calcola che circa 1 miliardo delle comunità più vulnerabili del pianeta dipendano da tali specie per la propria sussistenza.

“L’uso delle piante selvatiche ha implicazioni per la sicurezza alimentare e per la sussistenza di milioni di persone in tutto il mondo – ha affermato Sven Walter, che dirige il team Fao per i prodotti forestali –. È tempo che le piante selvatiche siano prese in seria considerazione nei nostri sforzi per proteggere e ripristinare gli habitat, promuovere sistemi agroalimentari sostenibili e costruire economie inclusive, resilienti e sostenibili, in particolare mentre i Paesi lavorano alla ripresa post-Covid”.

 

Il Rapporto evidenzia anche un problema non secondario di tracciabilità e di corretta informazione perché gli ingredienti ricavati dalle piante selvatiche sono spesso nascosti ai consumatori e sfuggono alla due diligence delle aziende a causa della mancanza di consapevolezza e tracciabilità.

Il miglioramento della sostenibilità della intera filiera potrebbe dunque passare per la trasparenza e la certificazione della provenienza, della qualità e delle finalità d’impiego.

 

La sostenibilità delle cozze: curare il mare per salvare la terra

E se vi dicessero che farvi una bella impepata di cozze potrebbe aiutare a contrastare il surriscaldamento globale? I molluschi d’allevamento sono un’alternativa alimentare più sostenibile rispetto a carne e pesce. Cozze e vongole non richiedono, infatti, mangimi e antibiotici per la loro coltivazione e le emissioni di gas a effetto serra per la loro produzione sono decisamente più ridotte.

 

Per esempio, quanta CO2 produce la carne tra allevamento, lavorazione e distribuzione per ogni chilogrammo di prodotto che mangiamo? Secondo l’European Data Journalism network circa 60 chili. Per la stessa quantità di cozze e vongole, il peso in CO2 è solo di 0,6 chili.

 

Merito del carbon sink, ovvero della capacità che hanno i mitili di assorbire l’anidride carbonica contribuendo, appunto, a diminuire la quantità di CO2 nell’atmosfera e di conseguenza anche il riscaldamento del pianeta causato dal cosiddetto effetto serra.

 

Insomma, proprio come le foreste catturano l’anidride carbonica nell’aria, così le conchiglie di cozze e vongole, che sono fatte di carbonato di calcio, sottraggono all’atmosfera l’anidride carbonica. Su questo tema è stato avviato un progetto specifico che si chiama “Molluschicoltura 4.0”, portato avanti dall’Associazione Mediterranea Acquacoltori (AMA). Si tratta di un’iniziativa che ha come scopo quello di sostenere lo sviluppo del comparto della molluschicoltura, non solo per quanto riguarda il settore alimentare ma anche per la sua funzione di ecosostenibilità. In fondo, l’indirizzo impresso dall’Unione Europea in tema di lotta ai cambiamenti climatici è da tempo concentrato anche sulla produzione di alimenti con un minore impatto ambientale, sia in termini di riduzione delle emissioni di CO2 che in termini di minor spreco energetico a livello produttivo e distributivo.

 

In questo senso, lo stesso Green Deal, il piano strategico Ue per l’adozione di varie misure di diversa natura da attuare tramite leggi, decreti e investimenti per contrastare l’attuale surriscaldamento globale e il cambiamento climatico, assegna proprio all’acquacoltura un ruolo chiave. Parliamo, infatti, di un settore economico con elevato potenziale di innovazione nel campo della sostenibilità, in grado di rispondere alle sfide del cambiamento climatico. Gli allevamenti italiani di molluschi rappresentano il comparto produttivo con la minor impronta ambientale. Soprattutto per quanto riguarda il basso consumo di energia, il mantenimento di habitat e biodiversità e, appunto, per le sue potenzialità in termini di sequestro di CO2 dall’atmosfera.

 

Oggi in Italia la produzione annuale di molluschi bivalvi sfiora le 100mila tonnellate. Secondo studi presi in esame dall’Associazione Mediterranea Acquacoltori, almeno il 20% di questo peso è dovuto alle conchiglie dei mitili e, quindi, è composto principalmente da carbonato di calcio. Il che fa ritenere che la capacità di sequestro della CO2 sia proprio di oltre 20mila tonnellate all’anno. Una bel peso  e un bel risparmio per il nostro ambiente.

Quando (anche) il packaging fa il prodotto sostenibile

Attenti a non sprecare, oculati nelle scelte, senza rinunciare alla qualità dei prodotti alimentari, sensibili alle questioni ambientali. Dall’Osservatorio Packaging del Largo Consumo di Nomisma, realizzato in collaborazione con Spinlife-Università di Padova, emerge il profilo degli italiani come consumatori consapevoli, decisi magari a un decluttering del carrello, a causa della incerta situazione che stiamo vivendo, ma fermi nel difendere la qualità e la sostenibilità delle proprie scelte alimentari. Del resto per l’84% degli italiani la sostenibilità dipende proprio dagli acquisti alimentari. Non a caso le aziende che hanno registrato performance migliori sono quelle che, nel periodo 2021-2023, si sono orientate verso eco-investimenti, risultando premiate dalla fiducia e della propensione all’acquisto da parte dei consumatori.

 

Perché per gli Italiani oggi essere sostenibili significa essere responsabili verso le generazioni future (43%). E per questo l’89% dichiara di adottare ogni giorno scelte finalizzate al contenimento degli sprechi idrici ed energetici.

 

Ma quando è che un prodotto si può considerare sostenibile? Anche qui le idee sono chiare: è sostenibile il prodotto realizzato contenendo il suo impatto ambientale, ovvero riducendo le emissioni di CO2, il consumo idrico (65%) ed energetico (63%).

Anche la sostenibilità del packaging è ritenuto un requisito importante, che contribuisce a definire la eco-compatibilità. Il sondaggio rivela che è ritenuto il secondo per importanza dopo il metodo di produzione e anche più rilevante della filiera e dell’origine delle materie prime.

 

Soprattutto il packaging è apprezzato quando è riciclabile (62%), oppure realizzato con materiali sostenibili (59%), senza overpackaging (46%) e plastic free (41%). Nella definizione di sostenibilità incide anche significativamente la presenza del marchio bio (57%).

 

Tra le soluzioni più ecologiche, spicca il pack compostabile, cioè riciclabile insieme ai rifiuti umidi. Si tratta di innovazioni che richiedono investimenti da parte delle aziende che hanno scelto di affrontare questa sfida, in particolare per le linee di prodotto rivolte a un pubblico più attento alle tematiche ambientali, come quelle del mondo biologico.

Altri fattori che spingono i consumatori a mettere nel carrello un prodotto alimentare sono l’italianità delle materie prime (40%), ritenuta garanzia di qualità e sicurezza alimentare, e la presenza di offerte o promozioni (38%),

Ciò che la ricerca di Nomisma mette in luce con chiarezza è che nell’attuale contesto, fatto di numerose ragioni di insicurezza e propensione al risparmio, il consumatore italiano intende salvaguardare il proprio budget familiare e al contempo affidarsi a un ben delineato sistema di valori da perseguire in tutte le scelte di consumo.

Nel corso del 2021, il 70% degli italiani dichiara di aver acquistato prodotti da aziende attive sul piano ambientale e il 63% da imprese delle quali era condivisa la strategia di sviluppo all’insegna della sostenibilità.

Perché sostenibile è davvero buono in tutti i sensi.

 

A maggio il Pecorino Toscano DOP apre le porte dei suoi caseifici alla scoperta di sapori antichi e inconfondibili

Dopo il lungo stop di questi ultimi due anni, riprende l’iniziativa “Caseifici Aperti”, organizzata dal Consorzio tutela Pecorino Toscano DOP, con il contributo della Regione Toscana, che prevede visite guidate presso i caseifici del Consorzio per vedere da vicino dove si produce questo squisito formaggio, con tutti i segreti della antica arte casearia.

Si tratta di un’iniziativa fortemente voluta dal Consorzio, che oggi riunisce 900 allevatori di cui circa 200 associati e 17 caseifici consorziati, e che dal 1985 è impegnato nella difesa e promozione di questa eccellenza regionale: «Valorizzare il Pecorino Toscano DOP significa anche questo: aprire le porte dei caseifici per dare a tutti la possibilità di conoscere la filiera produttiva del nostro formaggio», ha spiegato il direttore Andrea Righini.

All’edizione 2022 di Caseifici Aperti aderiscono: Caseificio Busti (Pisa); Caseificio Sociale Manciano (Grosseto); Caseificio Follonica (Grosseto); Salcis (Siena); Cooperativa Agricola il Forteto (Firenze).

 

Luoghi di produzione tradizionale che apriranno le loro porte a tutti i visitatori che potranno vedere da vicino tutti i passaggi necessari per ottenere un formaggio, le cui radici affondano nella prima pastorizia di Etruschi e Romani e che veniva citato anche da Plinio il Vecchio per il sapore e la sua tipica forma.

 

È un formaggio che nasce da un legame forte con il territorio, che dal 1996, quando il Pecorino ha ottenuto il riconoscimento DOP, è stato individuato in tutta la Toscana, ma anche nei Comuni di Allerona e Castiglione del Lago in Umbria e quelli di Acquapendente, Onano, San Lorenzo Nuovo, Grotte di Castro, Gradoli, Valentano, Farnese, Ischia di Castro, Montefiascone, Bolsena e Capodimonte nel Lazio.

Ottenuto da latte intero esclusivamente di pecora a pasta tenera o semidura, il Pecorino Toscano può essere fresco o stagionato, entrambi con marchio DOP:

il Pecorino Toscano fresco è un formaggio a pasta tenera con una maturazione cha va dai venti giorni ai due mesi. La crosta è sottile e morbida, di colore giallo chiaro uniforme. La pasta, di colore chiaro, presenta occhiature irregolari e ben distribuite. Il profumo è delicato di burro e fieno e il sapore è dolce;

il Pecorino Toscano stagionato è a pasta semidura con una maturazione che va dai 4 mesi all’anno intero. La crosta è sottile e di colore giallo paglierino, la pasta giallo chiaro; il profumo ricorda la frutta secca e il fieno, mentre il sapore è deciso e morbido al tempo stesso.

Molto apprezzato in tutto il territorio nazionale, il Pecorino Toscano DOP sta riscuotendo un successo sempre crescente soprattutto all’estero, con un vero e proprio boom sia in Europa sia negli Usa. In particolare, nel Regno Unito, Germania, Belgio, Austria, Paesi Bassi e Svizzera, mentre oltreoceano si conferma sempre più apprezzato negli Stati Uniti, primo mercato nell’export extraeuropeo, seguiti da Canada, Australia e Asia.

Perciò, visto che c’è la possibilità, perché non approfittare della bella stagione per organizzare un weekend alla scoperta delle bellezze toscane, con una tappa gourmet alla scoperta di questo gustoso formaggio?

 

 

Energia e benessere per una vita attiva: il croccante gusto a tutto pasto delle Gallette di Mais Bio Ohi Vita

Prive di glutine e colesterolo, ideali come croccante accompagnamento a tutto pasto, le Gallette di Mais Bio Ohi Vita sono una valida alternativa a pane e cracker per la prima colazione o per spuntini gustosi durante il giorno. Il benessere dei carboidrati complessi, in particolare dell’amido, è tra i principali nutrienti apportati dal mais soffiato, un alimento facilmente digeribile che rientra a pieno titolo in una dieta varia e bilanciata.

 

Come ottima fonte di carboidrati, il mais soffiato è un alimento fortemente energetico, utile per sostenere una vita attiva nel segno del benessere. La quota di proteine che contiene ne arricchisce, inoltre, il profilo nutrizionale.

 

Insomma, il mais soffiato, essendo completamente privo di glutine, è indicato nella dieta di chi è sensibile o intollerante a questo componente. Ed è anche un alimento che contribuisce alla corretta funzionalità dell’apparato cardiocircolatorio, non contenendo colesterolo.

 

Alla base delle gallette c’è, ovviamente, il mais, il cui nome scientifico è Zea Mays L. mentre la sua pianta appartiene alla famiglia delle Graminacee. Ma come si è diffuso in Europa? In Messico e nellAmerica Latina il mais veniva già ampliamente sfruttato per le sue proprietà nutritive e il suo gusto al tempo dei nativi americani allepoca dellarrivo di Colombo. Queste popolazioni si servivano della sua pianta in molti modi: con spighe, foglie e gambi ricavavano bevande alcoliche e zucchero, nutrivano il bestiame e ricoprivano i tetti delle capanne, mentre le pannocchie venivano abbrustolite sul fuoco e macinate fino a ricavarne una farina. Questa pianta è talmente importante che la tradizione Maya riporta come gli esseri umani, nella loro ultima e più perfetta incarnazione, siano stati creati proprio a partire da un impasto di farina di mais e acqua.

 

Quando arriva in Europa, il mais viene inizialmente coltivato in alcune zone dell’Andalusia, della Francia e dell’Italia dove, a metà del Cinquecento, la coltura è già fiorente e soppianta rapidamente altre colture divenendo la base dell’alimentazione dei contadini padani. Sono loro a chiamarlo granoturco, così da indicare la sua origine misteriosa e lontana. Ma in italiano il mais ha numerosi sinonimi come frumentone, formentone, formentazzo, granone, grano siciliano, grano d’India, granturco, melica, meliga e pollanca.

Così lontana da farsi presagio del destino che non si può rifiutare come nel ritornello della canzone di Giorgio Gaber Il Granturco.

 

Eppure il granoturco che ha scelto di esser giallo

Non si domanda niente, non ricorda

Chissà se poi continua a presentarsi giallo

Per essere fedele a chi lo guarda.

 

ll mais utilizzato per preparare le Gallette biologiche della linea Ohi Vita viene coltivato senza limpiego di concimi chimici, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi e OGM, contribuendo alla tutela della fertilità dei suoli, riducendo il rischio di esposizione a residui di sostanze chimiche indesiderate e garantendo qualità e sicurezza alimentare del prodotto finale. Oltre che valorizzando appieno le proprietà nutritive di un alimento che fa della sua versatilità, dalla colazione al pranzo, dalla merenda alla cena e in tutte le occasioni che serve un po’ di energia spezzafame, la sua caratteristica principale.